Ci scrive un lettore:
«Ci si chiede, giustamente, a cosa serve spaccare vetrine, bruciare auto e banche. La “devastazione” di Milano non ha senso. Come la vita in sè, che senso non ne ha. Siamo noi a darglielo.
A cosa è servita dunque quella “devastazione”, a niente? Dipende. Dipende da noi. Se ci limitiamo alla ferma, comoda condanna dei fatti, senza se e senza ma, allora sì: non è davvero servita a niente. Se viceversa facciamo lo sforzo di trasformare la minaccia in opportunità, opportunità di aprire un dibattito e interrogarci su quale sia la vera violenza, subdola, quotidiana che avvelena le nostre vite, allora forse potremmo dare un senso a quella ‘devastazione’, considerarla non certo una soluzione, ovviamente, ma una mossa politica finalizzata a innescare un processo di presa di coscienza.
Se servisse a farci aprire gli occhi sulla grande menzogna del potere, le sue manipolazioni. A disvelare i dispositivi di dominio che determinano l’evidente iniquità di questa società. A imparare a indignarci in proporzione ai danni che ci vengono effettivamente arrecati. A indirizzare la nostra rabbia nei confronti dei veri colpevoli, a nuocere a chi ci nuoce.
Se servisse a tutto questo allora direi: ben vengano dieci, cento, mille “devastazioni”».