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David Donatello

David di Donatello: la seconda giovinezza del cinema italiano

Ieri sera si è cerimonia di consegna dei David di Donatello. Una premiazione in pieno stile notte degli Oscar, condotta da Alessandro Cattelan

6 minuti di lettura

Si è tenuta ieri la cerimonia di consegna dei David di Donatello. Diretta tv su Sky e Canale 8 (l’ex Mtv, per intenderci), in pieno stile notte degli Oscar con conduttore rampante al seguito. Alessandro Cattelan non sbaglia un colpo, rendendosi simpatico persino a coloro che, vedendolo a X Factor, continuavano ad aver stampato in mente il sorriso irritante di quando faceva il Vj con Giorgia Surina. C’è comunque da dire che Sky sembra essere sempre più re Mida, capace di rendere oro tutto ciò che tocca specialmente se ereditato da una Rai che più che Mamma appare Nonna col bastone; il passaggio alla tv di casa Murdoch riesce infatti nella difficile impresa di rendere godibile una serata di premiazione che da anni ci costringeva al sonno profondo in prima serata e, attraverso la perfetta scansione dei tempi dettati da uno svizzero Cattelan versione golden boy, condensa il meglio della cerimonia in sole due ore di puro intrattenimento. C’è spettacolo al David di Donatello, tanto che nella prima parte della serata lo sketch tra il conduttore e i The Jackal riesce finalmente a cancellare la vergogna dello squallore delle scorse edizioni, quando Paolo Ruffini diede della “bella topa” a Sophia Loren davanti a un impietrito Valerio Mastandrea. Furba ma ottima la trovata del red carpet hollywoodiano in salsa italiana, con i migliori attori del cinema nostrano che, per una volta almeno, sembravano aver poco da invidiare agli Eddie Redmayne e Alicia Vikander visti di recente a Los Angeles.

David Donatello
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Il momento delle premiazioni del David di Donatello ha registrato un leggero calo del ritmo senza però far mai desiderare di cambiare canale e guardare un’isola di pseudo famosi pur di non sorbirsi la soporifera cerimonia. Cattelan svecchia e i grandi chiamati ad eleggere il vincitore si adeguano alla leggerezza senza perdere la faccia e il personale aplomb. Cascata di premi per Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, vera e propria rivelazione dell’anno. Meritatissimo il riconoscimento al cineasta (dimenticate i tempi in cui recitava in Un medico in famiglia) come miglior regista esordiente e doverosi i premi a Ilenia Pastorelli e Luca Marinelli. Quest’ultimo, miglior attore non protagonista, è il villain che aspettavamo da tempo; allucinato, cattivissimo, capace di dare spessore a un personaggio che con un altro volto sarebbe apparso esagerato. Amiamo odiarlo, ed è per questo che buca lo schermo con dirompenza. Premiato anche il supereore “cacio e pepe” Enzo Ceccotti, alias Claudio Santamaria, bravo e convincente nonostante l’inevitabile ombra gettatagli sul personaggio dalla rivelazione Marinelli.

Niente da obiettare sui riconoscimenti a Matteo Garrone e al suo Il racconto dei racconti, trasposizione squisita di Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, sciaguratamente ignorata a Cannes. Regista serio e mai sopra le righe a differenza del supposto rivale Paolo Sorrentino, finalmente vede dato a Cesare quel che è di Cesare ricevendo anche il premio per la miglior regia. Inspiegabile il digiuno del neo Orso d’oro Fuocoammare di Gianfranco Rosi, forse troppo di nicchia per la giuria dei David che, in linea con il successo al botteghino, decide di premiare come miglior pellicola la commedia degli smarphone Perfetti Sconosciuti. Concordemente riconosciuta come riflessione di successo sull’amore, i tradimenti e l’amicizia, il film di Paolo Genovese è un bell’esempio di rinascita del cinema nostrano. Buoni gli attori, geniale l’idea di tirare fuori gli scheletri che dall’armadio hanno traslocato nel telefonino. Tuttavia, confrontato con le altre pellicole in nomination, risultava essere forse il più debole.

Una menzione speciale sarebbe dovuta andare a Non essere cattivo, altro film con Marinelli e gioiello cinematografico dell’ultimo anno. Invece, in accordo con il silenzio che ha sempre accompagnato la produzione di Claudio Caligari, ci si è accontentati del premio ad Angelo Bonanni come miglior fonico. Poco, troppo poco. Forse la morte di Caligari è stata un’arma a doppio taglio, capace di far (ri)scoprire il lavoro di un grande regista ma costringendo al contempo i giurati a muoversi con i piedi di piombo. Assegnare un riconoscimento a chi non c’è più può creare imbarazzo, a volte persino suonare come compensazione per la sempre ignorata produzione del suddetto. Eppure Mastandrea e il team che si è preso l’onere e l’onore di portare a termine l’impresa contro qualsiasi logica di mercato avrebbero meritato qualche attenzione in più, soprattutto perché se il merito c’è non esiste alcuna supposizione che tenga. Fortuna che i grandi film sopravvivono al tempo e alla vita dei loro padri; Caligari lo sapeva e di certo non si sarebbe aspettato niente di più neanche ora.

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Lo chiamavano Jeeg Robot, Gabriele Mainetti
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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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