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ESCLUSIVA – Intervista alla Speranza

10 minuti di lettura

di Aurelio Lentini

A tu per tu con la speranza

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Capita spesso di incontrarla nel sogno, o nei momenti speciali. E’ sempre da qualche parte nei corridoi dell’università, nelle aule delle scuole, nei reparti degli ospedali. Spesso ci commuove, la ritroviamo negli occhi  pieni di gioia delle persone; a volte sembra persa per sempre, e scovarla di nuovo è un’impresa.

Noi abbiamo avuto la fortuna di poter intervistare la Speranza, ci ha accolto in una casa stracolma di colori, di un piacevole sfarfallio dei raggi di luce che filtravano da una finestra affacciata su di un orizzonte mai visto, uno scenario così vasto da sembrare infinito, dove si affastellavano ricordi, dolori, passioni e progetti futuri.

 

Inizierei da una domanda che sono sicuro chiunque avrebbe voglia di porle, come si sente?

Giusto per non entrare subito in antipatia ti prego innanzitutto di darmi del tu. La domanda che mi poni non è una delle più semplici, dubito però che molti avrebbero voglia di chiedermelo davvero. Me ne accorgo dalle domande che le persone si fanno tra loro, e soprattutto dalle loro risposte; da quei come stai pieni di disinteresse che non intendono certo cogliere il fondo dei sentimenti, e da quei bene che sono spesso una menzogna accampata non si capisce se più per sfiducia, o più perché a rispondere “male” si proverebbe troppa vergogna. Non è detto neanche che si debba per forza stare male, ma sfido io a trovare una persona profonda che oggi sia in grado di rispondere soltanto e pienamente bene.
Come sto io? Sono stata peggio, non lo nego, ma sono stata anche molto meglio. Dipende dalle giornate, dalle passioni che mi sconvolgono, a volte dipende pure dai dolori. Spesso mi ritrovo più nei grandi dolori che nella normalità ovattata, quando si soffre ma si soffre per qualche cosa che si ama, mentre il dolore oggi sembra una cosa da scansare come la morte.

 

life-is-beautiful-905867_640Ovviamente sapevo che non sarebbe stata una risposta facile, e qui sorge un dubbio annoso: molti intellettuali e uomini e donne di indubitabile spessore hanno speso parole non troppo incoraggianti nei tuoi confronti, come se la speranza fosse un palliativo che invece di sollevare le persone dalla loro miseria le fa permanere in una sopportazione passiva e quasi mistica. Tu cosa ne pensi?

Io credo che la questione sia piuttosto delicata. Ho molta stima, lo confesso, delle persone che si sono espresse in questo modo nei miei confronti. Ma dobbiamo qui sgombrare il campo da un’ambiguità di fondo: c’è speranza e speranza. C’è per esempio la speranza nella misericordia di Dio che ci salverà da tutti i mali; oppure quella piuttosto egoistica di prevalere su qualcuno per ragioni che possono essere svariate, dal denaro al lavoro, dalla fama ai sentimenti. Ci sono in altre parole speranze che condannano all’inazione, alla sofferenza persuasa di qualche finalismo che giungerà a fare non si sa cosa per salvarci, oppure ci sono quelle speranze che prevaricano in maniera egoistica: entrambe sono false speranze, io credo, perché mi sento invece come una delle passioni più forti da contrapporre al potere in vista di una rivolta per la felicità collettiva.

 

Ti riconosci in qualche corrente di pensiero in particolare?

Non è facile identificarsi con una corrente o una forza di preciso. Tra i tanti credo che uno di quelli che abbia colto maggiormente nel segno sia Ernst Bloch, con il suo principio speranza, in quanto ha ben sottolineato l’importanza della Speranza come motore dell’azione, come anticipazione di un mondo, di una bellezza che non è ancora ma che è già in noi è può benissimo essere, se ci crediamo. E’ quello che forse ha messo più nettamente in relazione la speranza con la sua natura progettuale, sottraendola a una vasta critica che invece mi relegava piuttosto nel sogno, nell’onirico, nell’utopico impossibile. Quando invece si sa bene che ogni Utopia è possibile, se diventa progetto, se, per dirla appunto con Bloch, diventa sogno diurno, capacità e voglia di proiettarsi al di là del dato. Perciò credo di essere la chiave di volta principale nella critica del Potere repressivo.

 

cycling-960027_640Inoltre questa è una delle cose di cui oggi si sente un grande bisogno.

Esattamente. Per questo ti dicevo prima che nonostante in passato si siano toccati abissi che non oso riproporre, io oggi non mi sento molto bene. Da questo punto di vista è molto utile incrociare le interpretazioni di uno come Bloch a un sociologo che ha speso parole bellissime sul concetto di precarietà, Pierre Bourdieu. Se alla Speranza in un futuro migliore sostituiamo, come orizzonte di vita, la precarietà, sfido chiunque a riuscire ad avere delle grandi speranze. Viene meno il terreno da sotto i piedi, la possibilità di sognare, di proiettarsi al di là, di porre le basi per un progetto, fosse anche una cosa piccola, perché il peso delle contingenze è sempre troppo forte.

 

Allora forse non ci sono più grandi speranze?

Vorrei poterti dare una risposta univoca. Ci sono stati momenti della storia in cui insieme a un dolore molto più grande di quello che si vive oggi si sono conosciute le speranze più grandi. Ci sono stati migliaia, milioni di uomini e donne, partigiani della vita, che hanno sacrificato quanto avevano di più caro per una speranza di libertà, di giustizia e di bontà. In questo senso, in questa parte del mondo, oggi non ci sono più quei grandi dolori, ma nemmeno quelle speranze, che però non sono state attese. Tuttavia questo non è vero in ogni parte del mondo, e in particolare non è vero nemmeno qui, perché quelle stesse speranze che sono state uccise, che non si sono realizzate, benché non si muovano più nel mondo sono vive sotto la cenere, dentro a molti cuori che ogni giorno sento sussultare.

 

Mi stai dicendo che oggi in Italia c’è chi ancora sogna cose grandissime?

Resteresti sorpreso se sapessi quante persone sarebbero pronte a dare la vita domani per un sogno in cui ancora sanno di credere sebbene sembra che se ne siano dimenticate. Sebbene io sia circondata di disillusioni, di fallimenti, di speranze tradite c’è ancora una sopravvivenza di quelle speranze che non ha eguali. Sono fortissime, e bruciano sul fondo. C’è una tale bontà che si agita sotto le azioni normali, lo scorrere lento e insopportabile di una vita di cui sembra perdersi ogni senso. C’è tanta e dolce pienezza nelle azioni che compiamo, un’ostinazione insopprimibile ad andare avanti, nonostante tutto, per strappare al mondo un pezzetto di mondo migliore. C’è una dose enorme di amore negli occhi delle persone.

 

tandem-744565_640Oseresti quindi dire che c’è ancora Speranza?

Assolutamente sì. Ci sarà sempre Speranza di un mondo migliore, di un mondo più felice, finché qualcuno si sentirà stretto in questo mondo, finché l’amore per gli altri trionferà sulle contingenze, sugli egoismi e sulle ingiustizie. Ci sarà sempre Speranza finché ci saranno adulti che si ricorderanno di quando sono stati bambini, e sognavano sempre, e si abbracciavano di continuo.
Ci sarò sempre, finché gli innamoramenti annulleranno le distanze e faranno battere i cuori. Perché alla fine è questo che è, innamorarsi: amare qualcosa che ancora non abbiamo.

foto: alexas_fotos

 

 

 

 

 

 

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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