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Hostiles: (de)costruire il nemico

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Nel suo saggio Costruire il Nemico (2011) il compianto filosofo Umberto Eco sosteneva che innanzitutto per avere una idea precisa della propria identità, di chi si è, occorre avere un nemico a cui contrapporre una condotta, una linea di pensiero e una tavola di valori. Per definirsi nel conflitto e per mezzo del conflitto, se non lo si ha già, occorre costruirsi un nemico contro cui lottare e con esso si vedono comparire ideali e modalità di azione e di pensiero ben definiti e da difendere. Scopo dichiarato del film Hostiles, ultimo lavoro del regista statunitense Scott Cooper (Crazy Heart, 2009; Black Mass, 2015) è quello di (de)costruire il nemico.

Un film western sui generis

Le vicende si svolgono tra il New Mexico e il Montana nel 1892, quasi vent’anni dopo la famosa battaglia di Little Big Horn e quasi trenta anni dopo l’altrettanto noto massacro del Sand Creek: i due eventi capitali delle guerre tra Stati Uniti e popoli nativi. A differenza dei film cult sull’argomento che o demonizzano i nativi come selvaggi oppure stigmatizzano gli “americani” come avidi conquistatori senza scrupoli, come vengono rappresentati in Little Big Man (1970, Arthur Penn), Hostiles supera queste convenzioni e si pone di gran lunga al di fuori dalla dicotomia esaltazione-disprezzo.

Decostruire il nemico

Il proposito del film è manifestamente quello di rintracciare e di rinvenire l’inemicizia laddove è davvero presente, ovvero oltre le distinzioni sclerotizzate di buoni e cattivi, la quale segue una fisionomia demarcatoria, come se una fazione intera potesse rappresentare la bontà e l’altra la malvagità assoluta. Demonizzare il nemico dichiarato – e costruito ideologicamente -, prima che affrontato concretamente, è ciò che non si deve fare per evitare di condannare a morte innocenti.

L’innocenza è un altro tema di Hostiles, innocenti sono i bambini americani e i bambini indiani, il messaggio che passa è una già vista, ma sempre attuale, esaltazione dell’umanità degli uomini che oltrepassa qualsiasi distinzione parziale o contingente tra nemici. L’umanità e la reciprocità è talmente forte in alcuni uomini (il protagonista, il capitano dell’esercito americano) che supera anche i risentimenti personali basati sull’esperienza vissuta di una vita: il capo Cheyenne che deve scortare ha ucciso, insieme alla sua tribù, molti amici e colleghi del capitano. Nondimeno quando si tratta di agire di concerto contro chi minaccia e uccide in modo gratuito, non esitano a farlo, proteggendosi l’un l’altro. Questo aspetto dell’aiutarsi a vicenda rappresenta una indiscutibile volontà di tutela e di protezione dell’umanità e della vita umana, in un contesto in cui la morte è di casa. L’umanità è nell’uomo come tale e non può essere presente in una delle fazioni antagoniste, e del tutto assente nell’altra.

Il nemico non è quindi colui che si affronta in battaglia, ma quello che come un ladro tradisce e fugge, uccide e mortifica l’umanità dei suoi simili. Il vero nemico è chi ha in odio l’umanità in qualsiasi forma essa si manifesti, che sia nella famiglia del capo indiano Falco Giallo o nella fratellanza dei soldati dell’esercito regolare statunitense.

Uomini e non

L’odio irrazionale e l’assenza di sentimenti positivi sono davvero il nemico per eccellenza da combattere non con gli stessi atteggiamenti, ma con l’amore e con il rispetto. L’avvicinamento non tra membri di realtà diverse, ma tra uomini è evidente nel fatto che il male è radicale, è presente solo in chi non ragiona emotivamente e si avverte anche nel fatto che la sofferenza è sentita sia dagli indiani che dagli americani proprio in quanto uomini. Emblema di questo avvicinamento identitario è nell’immagine che conclude il film: l’educatrice bianca, privata della sua famiglia, che parte sul treno insieme alla nipote indiana di Falco Giallo e il capitano che alla fine, sale sul treno con loro.

Un altro spunto interessante è quello che si trova nella sepoltura la quale dai tempi di Antigone implica rispetto per il defunto. Alcuni esseri umani non vengono seppelliti, come il disertore dell’esercito, perché non si meritano una ontologizzazione dei propri resti, per usare un’espressione di Derrida. E questo perché uomini del genere rappresentano quella specie di uomo che non dimostra nessun rispetto per l’umanità dell’altro, ma avverte solo l’egoismo di avere salva la vita a qualsiasi costo. L’esatto contrario del caporale che lo ucciderà, il quale invece pensa continuamente al suicidio per i crimini che ha commesso contro l’umanità dei nativi, e che, ovviamente, sarà immediatamente seppellito.

 

Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.

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