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“Il demone della modernità”: a Rovigo in mostra i pittori visionari all’alba del secolo breve

Una mostra composta da più di 180 opere e che mostra, attraverso i dipinti di numerosi artisti, il senso di inquietudine dato dal declino di un'epoca. Visitabile dal 14 giugno 2015.

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Una New York scolpita da luci ed ombre, a mezza via tra Metropolis e Gotham City, che strappa a Parigi lo scettro di ville lumière del progresso e del futuro. È questa l’icona della mostra Il demone della modernità – pittori visionari all’alba del secolo breve in corso a Palazzo Roverella di Rovigo, fino al 14 Giugno 2015. La mostra, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con il Comune e l’Accademia dei Concordi, è curata da Giandomenico Romanelli, già organizzatore  della precedente rassegna rodigina L’Ossessione Nordica – Bocklin, Klimt, Munch e la pittura italiana dello scorso anno.

Il demone della modernità è una tema inusuale, che coglie le inquietudini del mondo artistico legate alla percezione del declino di un’epoca – che di lì a breve sarà spazzata via dall’irrompere del progresso nel mondo tardo ottocentesco, e dal suo deflagrare in quello che viene definito, dallo storico Eric Hobsbawm, il secolo breve – il trentennio compreso a cavallo tra la fine del IXX secolo e la Grande Guerra. Una modernità inquieta e tempestosa «cercata con occhio appassionato e visionario, rivelata in apparizioni straordinarie ed imprevedibili, ovvero celata entro involucri, forme cioè, ancora appartenenti al passato ma nelle quali si poteva e si può oggi ancora scorgere l’aurora di un mondo nuovo», come riporta una nota del curatore. Nella storia e nell’arte, l’abbandono dell’ormai lontano Ottocento ed il passaggio alla vera e propria età moderna costituiscono un travaglio di passioni, ma anche di orrore, incubo e frenesia. È un salto nel buio, tutto proteso verso un futuro sconosciuto, carico di visioni e aspettative utopistiche, che si afferma in maniera tumultuosa e straordinaria, assumendo le forme più intriganti e ambigue in quello che è uno sperimentalismo senza dubbio affascinante.

lucifero
Lucifero, Franz von Stuck, 1889-1890

Il percorso è composto da 180 opere, suddiviso in 6 sezioni accomunate dalla volontà di rompere con gli schemi rigidi della classicità e della tradizione. Si vedono sfilare artisti da tutta Europa: dall’Italia, rappresentata da L’ironia nera di Alberto Martini e la Favolosa New York di Gennaro Favai, alla Francia baudelairiana dei simbolisti Gustave Moreau e Odilon Redon, fino alla lontana Lituania dello stravagante Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, passando attraverso le terre croate e bosniache di Mirko Rački e Gabrijel Jurkić, per strizzare infine l’occhio ai più celebrati Paul Klee e Marc Chagall.

Nella prima sala, Sotto il segno di Lucifero, entriamo subito in contatto con creature fantastiche e trasgressive ispirate al mito e alla tradizione della letteratura di fine Ottocento: la provocante Salomè, nella duplice versione di Gustave Moreau (Salomè Danzante, 1885-1890) e del tedesco Hans Unger (Salomè, 1917),e la sempre misteriosa figura della Sfinge di Odilon Redon (Sfinge, 1895) e di Gustave Moreau (Edipo e la Sfinge (Edipo viaggiatore),1888). Ma il vero simbolo dell’intreccio tra seduzione e misticismo è Lucifero, figura ambigua e controversa, che abbandona la veste di diavolo malvagio e assume le fattezze di un malinconico pensatore e di un contemporaneo fochista della moderna città industriale (Lucifero, Franz von Stuck, 1889-1890).

Domanda alle stelle, Karl Wilhelm Diefenbach, 1901

Nella seconda sezione, Luoghi dell’illuminazione e Ziggurat dell’anima, emerge lo studio della dimensione più profonda della psiche umana, l’inconscio, che stimola l’interesse per tutto ciò che riguarda il mondo ultraterreno. Lo spirito arcano della religione spinge a rappresentare situazioni di visionaria illuminazione, l’uomo prova una forte tensione verso il cosmico e l’indefinito con Domanda alle stelle (1901) di Karl Wilhelm Diefenbach. Audace è la volontà di Mirko Rački di rappresentare la discesa nell’inferno dantesco in Attraversamento dell’Acheronte (1907) e in Paolo e Francesca (1908-1909).

Nella sala successiva, Angeli e Demoni. Sogni, incubi e visioni, nuovi idoli della metamorfosi della società sono angeli con l’aspetto di demone, che vivono nell’ambiguità che corre tra Bene e Male. Sono loro l’importante nesso tra terreno e aspirazione verso lo sconfinato; messaggeri, profeti, annunciatori di un misterioso destino che promette agli uomini la vita eterna. Solitari e dotati di ali magnifiche, portatori di un fremito di evasione dalla realtà sono gli angeli di Čiurlionis (L’offerta, 1909) e la ancora più solenne La via per l’eternità (1918) di Jurkić. Spesso la fuga dalla realtà prende però vie opposte rispetto all’elevazione dello spirito. Il pessimismo nei confronti della società e la forte tendenza ad opporsi al passatismo trasformano gli uomini in bestie dominate da istinti aggressivi ed erotici, come in Baccanale (1905) o in Lotta fra lumache, entrambi dell’artista Leo Putz.

Con la quarta sala, Il trionfo delle tenebre. Verso l’Olocausto mondiale, il tragico destino dell’uomo si traduce nel drammatico primo conflitto mondiale. Nell’incombere inevitabile della morte, i mistici pittori dell’Est si fanno annunciatori di un incubo diventato realtà. La loro forza non sta nella violenze dello scontro, ma nell’asfissiante pathos di bianchi cadaveri. Sascha Schneider in Trionfo delle tenebre (1896) sembra voler comunicare la distruttiva e inarrestabile potenza della morte: Cristo è letteralmente spogliato di ogni sua mitologia e sacralità. Vicino a lui, si erge vincitore un Lucifero barbuto e

Lutto, Oskar Zwintscher, 1898
Lutto, Oskar Zwintscher, 1898

dionisiaco: è l’Apocalisse di un’intera umanità. Attraverso il tema del lutto emerge la precarietà e la fragilità di un genere umano ormai destinato a soccombere di fronte a uno dei più grandi disastri della storia. I corpi si fanno icone di un disperato e inascoltato grido di pacifismo in Morto in riva al mare (Pietà) (1913) e nell’emblematico Lutto (1898) di Oskar Zwintscher. Un giovane uomo, nudo e inerme, stringe per l’ultima volta la mano

dell’amata, ormai priva di vita. Si copre il volto disperato e si accascia al suolo come un fragile verme. Sopra di lui un mostro con testa di teschio inveisce sul suo corpo, schiacciandolo con un pesante masso scuro: non c’è più nessuna speranza contro il travolgente corso della morte. La crisi dell’esistenzialismo vede il suo massimo culmine proprio nell’orrore e nell’irrazionalità della Guerra, che lascia un grande vuoto nella coscienza della collettività.

Altre Metamorfosi, tema della quinta sala, scandisce la nascita di nuove forme, cariche di passione e ironia. Figure comiche e lascive dominano la nuova società, come le lugubri maschere di Bortolo Sacchi in Improvviso (1927-1928), ambientato in una Venezia grottesca e carnevalesca. Carne, Carne, sempre carne (1914) di Guido Cadorin, rifiutato dalla Biennale di Venezia per le sue immagini troppo esplicite, rappresenta con occhio disinibito una protesta sociale dai caratteri satirici e surreali. Dietro il martellante titolo si nasconde infatti l’ambigua morale di una società affamata di carne, intesa come prostituzione, ma anche come ingordigia, voracità insaziabile, spreco alimentare. E’ proprio in questa sala che troviamo un inedito Marc Chagall, che dà vita in pochi schizzi a incisive e pungenti sagome che rappresentano con forte ironia i Peccati Capitali (1925).

Nella sala conclusiva Luci(fero) tra i grattacieli, ecco apparire finalmente New York (1930) di Gennaro Favai, copertina di questa mostra, tela realizzata dall’artista in occasione del suo viaggio  nella città che più di ogni altra è palcoscenico della nuova cultura, e nella quale traspaiono elementi della poetica della pittura futurista.  La grande metropoli è una promessa che guarda al futuro, è simbolo di una società dinamica e eccitante che sta vivendo una radicale trasformazione. La luce elettrica che domina la scena rappresenta il progresso inarrestabile e sfrenato. Proprio in quegli stessi anni, non a caso, si afferma la più innovativa fra le arti: il cinema.

New York, Gennaro Favai, 1930
New York, Gennaro Favai, 1930

Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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