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Migranti: tra solidarietà e paura,
la prova del nove per l’Ue

6 minuti di lettura

Che la questione dei migranti sia il tema sul quale l’Unione Europea si sta giocando il proprio futuro è argomento abbastanza noto. Decifrare quali siano le ragioni del movimento, chi siano i soggetti che migrano e perché l’UE non riesca a trovare una soluzione condivisa su una questione così importante è invece assai più complesso. Certamente la confusione del dibattito mediatico e gli slogan urlati dalle forze politiche populiste non aiutano a fare chiarezza.

migranti

Quello che è certo è che il fenomeno è diversificato e muta spazialmente se ci si muove dal nord al sud dell’Unione e da est a ovest. Nel Regno Unito, ad esempio, il problema è l’idraulico polacco, in Italia i migranti della rotta mediterranea, mentre in Grecia, in Austria e in Ungheria i migranti della rotta balcanica. In ognuno degli Stati membri la percezione del “problema” dei migranti assume declinazioni diverse ed è per questo che affrontare la questione nel suo complesso è un compito arduo. Nel caso dell’idraulico polacco si ha a che fare con cittadini comunitari, i quali sono tutelati dall’articolo 45 del Trattato di Lisbona, che garantisce la libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione e l’abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Diversa è invece la situazione per i migranti provenienti da paesi terzi, esterni all’UE, il cui status è regolato dalle politiche di asilo. Ci riferiamo in particolare alla convenzione di Dublino.

In vista dell’imminente Consiglio Europeo del prossimo 28 giugno, i capi di Stato sono chiamati a prendere una decisione sulla revisione di Schengen. Tuttavia una soluzione non sembra all’orizzonte e purtroppo molti Stati prendono a pretesto le difficoltà economiche come ragione per mancare di solidarietà reciproca e per discriminare ancora di più gli immigrati. Sulla scia della crisi finanziaria ed economica, infatti, un crescente livello di disoccupazione e una diminuzione del tenore di vita in alcuni Stati membri hanno portato ad un aumento della xenofobia, del razzismo e della violenza contro i cittadini di paesi terzi.

Come ben sottolineato dal Segretario Generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto, valori fondamentali dell’Unione Europea, si sono trovati ad affrontare una crisi senza precedenti. A fare le spese di questa crescente insicurezza e instabilità, come detto, sono stati i migranti, costretti a forme di detenzione ingiustificata, privi della protezione di base, tra cui l’assistenza sanitaria minima. Come mette bene in luce Florian Trauner, il fatto che i migranti siano percepiti come un peso non è indubbiamente una novità della recente crisi, ma è un fenomeno che, a partire dagli anni ’80 e ’90, ha iniziato ad emergere tra gli Stati dell’Europa occidentale. Il migrante è individuato come colui che, con la scusa della protezione politica, ha l’obiettivo di trarre profitto dai sistemi di welfare nazionali, dallo stato previdenziale e dai tessuti di solidarietà locali.

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L’entrata di stranieri all’interno dei confini nazionali suscita una reazione viscerale da parte dei cittadini, che innalzano il muro del “noi” e si preparano a proteggere i propri diritti. Quello che è in gioco, quando si parla di crisi dei rifugiati, come sottolinea bene Maurizio Ferrera, è la questione della cittadinanza sociale, la quale ha da sempre avuto un ruolo chiave nei meccanismi di redistribuzione dei diritti e dei benefici, e che è sempre stata il fulcro per la formazione e la persistenza di una comunità politica. Il cittadino, indebolito economicamente e socialmente dalla crisi, vede nel migrante un rivale nella corsa per garantirsi i benefici dello stato previdenziale. Non solo, lo straniero è percepito come minaccia all’unità della propria comunità e ai vincoli che esistono tra i membri del gruppo sociale.

Alla luce di queste premesse, non risulta difficile capire il motivo per cui, con l’acuirsi della crisi economica, che ha letteralmente messo in ginocchio il modello dello stato sociale, il sentimento di odio e rancore nei confronti dei migranti sia aumentato notevolmente. Non solo, gli stretti vincoli di bilancio imposti agli Stati in deficit o debito, hanno costretto questi ultimi a ridurre notevolmente il budget destinato al sistema di accoglienza, diminuendo così drasticamente il numero annuo di riconoscimenti e violando spesso il principio di non-refoulement.

Di fronte a questa situazione, capiamo bene le difficoltà che ci saranno il 28 giugno a Bruxelles. Non per questo però dobbiamo rinunciare ai nostri valori e soprattutto a ciò che ci caratterizza come europei: il nostro essere solidali e uniti. Discriminare gli immigrati per la paura di perdere i nostri valori sarebbe infatti il primo modo per perderli. Come europei non doppiamo permettercelo e dobbiamo sollecitare i nostri governanti affinché reagiscano uniti e in modo solidale.

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Francesco Corti

Dottorando presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano e collaboratore dell'eurodeputato Luigi Morgano. Mi interesso di teorie della democrazia, Unione Europea e politiche sociali nazionali e dell'Unione. Attivo politicamente nel PD dalla fondazione. Ho studiato e lavorato in Germania e in Belgio.

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