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Miti e leggende de El Clásico

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Due giorni dopo

Probabilmente se si fosse giocato nel mese di ottobre, in questo mese di ottobre, sarebbe stata una partita ancora più sentita. Eppure el clásico di oggi è comunque storico perché cade esattamente quarantotto ore dopo le elezioni catalane più importanti di sempre, soprattutto per il clima che si è respirato in Catalunya nelle ultime settimane, con i due principali leader dei partiti indipendentisti (Oriol Junqueras e Carles Puidgemont) uno in carcere e l’altro in esilio forzato. Le notizie che giungono da Barcellona e dintorni parlano di una maggioranza parlamentare delle forze indipendentiste, eppure il clima da imminente guerra civil vissuto a inizio ottobre appare come un incubo, per il momento, scongiurato. In un’ottica eminentemente calcistica el clásico di quest’oggi è già decisivo per la classifica finale, poiché il Real Madrid si gioca, tra le mura amiche del Santiago Bernabeu, una grossa fetta di Liga. Infatti i catalani guidati dal tecnico Ernesto Valverde sembrano tornati la macchina irresistibile di qualche anno fa; qualora i blancos non riuscissero a portare a casa i tre punti, è probabile che il girone di ritorno della Liga diverrà una lunga passerella vincente per Lionel Messi e compagni. El clásico, però, è probabilmente lo scontro più affascinante del calcio mondiale, proprio perché esula dal ristretto ambito calcistico.

El Clásico
Un ritratto di Felipe II.
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Madrid e Barcelona, Castilla e Catalunya

È il 1555, il re Carlo V (sul cui regno non tramontava il Sole) decise di abdicare, dopo una vita vissuta regnando sul più grande impero mai visto sulla faccia della terra. Quella stessa terra che, alla fine del secolo precedente, si scoprì essere un po’ più vasta rispetto alle credenze dell’epoca. Il regno europeo di Carlo venne diviso in due grandi aree: la penisola iberica spettò di diritto a Felipe II. Egli governò per più di quarant’anni (1556 – 1598) e diede inizio al siglo d’oro spagnolo. Fra le sue imprese si ricorda specialmente la grande vittoria navale contro gli arabi, presso Lepanto, nel 1571. Passò alla cronaca come un epico scontro di civiltà, anche se, a onore del vero, la realtà storica è maggiormente sfumata. È indubbio, invece, che una delle prime iniziative del sovrano fu quella di spostare la sede della cortès da Valladolid (città in cui nacque lo stesso Felipe) a Madrid, luogo che ebbe l’unico merito di trovarsi nell’esatto centro della penisola iberica. All’epoca l’attuale capitale di Spagna era una realtà dozzinale: nacque come piccolo villaggio visigota e furono gli arabi a conferirgli un prestigioso maggiore, oltre a dargli la denominazione che conosciamo tutt’oggi (dall’arabo Magerit). Quella che oggi è una delle principali capitali europee deve la sua fama e il suo prestigio quasi unicamente al trasferimento di Felipe II e della sua sfarzosa corte.

La storia di Barcelona è totalmente diversa, e non potrebbe essere altrimenti. Barcellona è una città di porto e in epoca medievale dovette molte delle sue ricchezze e della sua prosperità proprio ai commerci marittimi. L’iniziale decadenza di quello che era un principato iniziò con un matrimonio, uno dei più importanti della storia europea: verso la fine del ‘400 si sposarono Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia e vennero riuniti i due immensi regni di Castiglia e d’Aragona. La Catalunya, in particolare, fu esclusa dalle nuove rotte commerciali aperte poco tempo prima grazie alla scoperta di un noto marinaio genovese. C’è una data che tutt’ora è conosciuta (ma vorrebbe essere dimenticata) dai catalani: è il 1717, Filippo V di Borbone sconfigge l’esercito catalano e, da lì in poi, la Catalunya perse la propria indipendenza politica.

La storia della regione più ricca di Spagna è sempre stata parallela e, per certi versi discordante, con la restante parte della penisola. Sul ruolo di Barcellona (e del Barcellona) in epoca franchista si è detto e scritto molto e dilungarsi sarebbe superfluo. Un episodio vissuto a inizio ‘800, invece, è poco conosciuto in Italia ma è sufficiente varcare i Pirenei per accorgersi della sua importanza. Nel 1808 l’esercito napoleonico, il quale si era già impossessato di Barcellona, fu sconfitto per la prima volta dall’esercito spagnolo (in realtà formato da mercenari svizzeri e volontari catalani). La leggenda vuole che questa battaglia, svoltasi nel paesino di El Bruc, fu vinta grazie alle gesta di un adolescente. Egli infatti prima della battaglia suonò ripetutamente un tamburo; il suono dello strumento venne amplificato enormemente dalle pareti rocciose del Montserrat facendo, di fatto, credere all’esercito napoleonico che l’armata spagnola annoverasse fra le sue fila un numero maggiore di soldati. Il ragazzo passato alla storia come El timbaler del Bruc (in castillano, El tambor del Bruch) nacque nel 1791 a Santpedor, un paesino di contadini catalani. Già all’epoca in quel pueblo viveva la famiglia Guardiola. Lo stesso Pep, simbolo incontrastato dell’indipendentismo catalano moderno, è nato nel paese del Timbaler.

El Clásico
Il monumento a El Timbaler del Bruc.
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I due leader: El Clásico oggi

I due capitani odierni incarnano quasi perfettamente la simbologia dei due clùb, specialmente in ottica contemporanea. Andrés Iniesta nasce calcisticamente proprio a Barcellona e nel Barcellona, archetipo e simbolo della grandezza della cantera (il settore giovanile) blaugrana, capace negli anni di forgiare le colonne portanti della prima squadra, in grado di dominare la Spagna, l’Europa e il mondo per lungo tempo. Recentemente don Andrès ha firmato a vita con il Barcellona: è nato, è cresciuto e morirà indossando la camiseta blaugrana. Un discorso analogo non si può fare per il contraltare di Iniesta, il capitano blanco Sergio Ramos. Quest’ultimo, infatti, è arrivato a Madrid solamente a 23 anni. Ramos è andaluso, precisamente di Camas, paese confinante con Siviglia e proprio nella squadra del capoluogo ha mosso i primi passi calcistici. Trasferitosi al Real, ne è diventato presto il leader e il capitano, simbolo di un club condannato a vincere. Grande appassionato di tauromachia, rappresenta l’archetipo del perfetto madridista e madrileño (seppur d’adozione), simbolo del lato maggiormente conservatore di Spagna. Non a caso, sono molteplici gli scontri verbali avuti con Gerard Piqué, catalano e favorevole all’indipendenza della sua regione a discapito dell’unità della penisola iberica. Eppure, nonostante non si amino, anche quest’estate, come nelle precedenti, formeranno la coppia di centrali difensivi della nazionale spagnola che affronterà le altre nazioni ai mondiali di Russia.

La grandezza della nazionale spagnola in questi ultimi anni è stata proprio questa: essere vincenti e uniti nonostante le grandi differenze linguistiche e culturali che, per quanto ci si possa sforzare, non potranno mai essere debellate. Il calcio, già da tempo, ha tracciato la via: che sia questo il futuro di tutta la Spagna?

 

El Clásico
Quella straordinaria nazionale spagnola. 
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Oggi, alle 13.00, non perdetevi El Clásico: Real Madrid vs Barcellona

Giacomo Van Westerhout

Classe 1992, possiedo una laurea magistrale in ambito umanistico. Maniaco di qualsiasi cosa graviti intorno allo sport e al calcio in particolare, nonostante da sportivo praticante abbia ottenuto sempre pessimi risultati. Ho un debole per i liquori all'anice mediterranei, passione che forse può fornire una spiegazione alle mie orribili prestazioni sportive.

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