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Francesca Leali © Il fascino degli intellettuali

Napoli fuoco di Vesuvio

9 minuti di lettura

di Francesca Leali

A Napoli si va e fatalmente si accetta quello che capita. È una gita che scotta sotto i piedi un’ansia di vivere questo lasciarsi andare. Questo galleggiamento vago in acque piacevoli.

Francesca Leali © Il fascino degli intellettuali
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Graffiti e tag corrono rumorosi sui muri. C’è un vociare verticale di gente, che cresce con il calar del giorno, quando le palpebre, tutt’altro che assonnate, si abbassano sui bicchieri. La salsedine si impiglia nei capelli che il vento scompiglia. Le pelli abbrustoliscono, i colori non scendono a compromessi e sono tanto vivaci che a volte feriscono. Napoli è pregna e opulenta, come le grasse prelibatezze che propone a ogni angolo di strada. C’è un odore di fritto che stuzzica ma non nausea, che eccita le papille gustative. I sensi sono sovrastimolati, sinestesicamente. Un suono attiva un odore che solletica un sapore. È un equilibrio giocoso e altalenante di piaceri che galleggiano placidamente sulla superficie della coscienza. Napoli accarezza ma non violenta, è un sottofondo tacito di allegrezza diffusa.

A visitare le città in breve tempo può succedere che vada incredibilmente bene o incredibilmente male. Che appaia tutto perfetto idilliaco allegro e festaiolo, e caldo e buono e al momento giusto. O che invece si arrivi in ritardo su tutto. Sulla metropolitana, che è passata un attimo prima, sulla pasta, che hanno servito scotta, sulla notte, che è finita prima di cominciare, ammazzata da un nuovo giorno uggioso, denso di nuvole arrivate troppo in fretta.

A Napoli ci si deve allineare a un ritmo che non esiste. Perché per sentirla, per viverla, lo dicono anche loro, i campanilisti napoletani, che non devi aspettarti niente. E tutto quello che capiterà, sarà una gran festa. Perché sempre, prima o poi, capita che passi un autobus, o che si incontri un amico, o che le strade vengano pulite, o che qualcuno non ti voglia fregare, e ti tratti con cortesia. A smettere di aspettare ciò che si ritiene dovuto, questo succederà più spesso del – non – previsto.

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Per girare la città bisogna affidarsi a riferimenti di mappe viventi. Nessuno meglio del primo passante saprà indicare la strada più breve per arrivare alla spiaggia, il baracchino più abile a friggere pesce, o a sfornare sfogliatelle. Può capitare che la richiesta di informazioni su un mezzo di trasporto generi dibattiti epopeici e interpellamenti di conoscenti – e non – per un raggio di chilometri, con il passaggio sullo sfondo di quell’autobus che le indicazioni dovevano segnalare. E che non aspettato ha deciso di passare.

Le strade sconnesse serpeggiano dappertutto. Ai piedi di qualunque monumento o chiesa, o piazza o chiesa, o teatro o chiesa, perché di chiese a Napoli ce n’è un numero incalcolabile. È un acciottolato disfatto, che bisogna calcare a piedi, con la lentezza sazia di vita e sempre vogliosa di piaceri, tipica dei suoi figli non rinnegati.

Spaccanapoli la divide perfettamente, un solco scuro che scava il centro. Attanasio, Di Matteo, Da Michele e il famigerato Sorbillo, dove è nata, scottano nei forni a legna pizze rosse morbide e delicatamente insaporite dei più vari ingredienti.

Inciampando nei ciottoli sconnessi si arriva ai quartieri spagnoli, graffiati da murales orientaleggianti, puntellati di teste di vecchi napoletani bruciati dal sole che stanno alle finestre ai piani terra, con le sedie buttate quasi sulla strada.

Francesca Leali © Il fascino degli intellettuali
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C’è una rete aggrovigliata di fili da bucato che corre sopra le teste, a più piani, a connettere stanze di edifici dirimpetto. Panni bianchi e colorati, calzini, mutande sgocciolano su teste di passanti ignari e giocano a rincorrersi nel vento. Anche qui vale la filosofia dell’attesa: si aspetta che il mondo finisca e ricominci il suo giro, attenti a schivare gli ostacoli che butta, le buche che scava sul nostro percorso. È una vita a fare lo slalom tra inconvenienti e difficoltà, aspettando di sedersi comodi e rilassati su un pastoso e ciccione bicchiere di vino la sera.

I motorini che sfrecciano incuranti per le strade in ripidissima pendenza sono inforcati da dodicenni pirati delinquenti abusivi possessori di assicurazioni in Bulgaria. Si festeggia con fuochi d’artificio che generano boati che perforano le orecchie. Si festeggia sempre e si beve tanto, affastellati gli uni sugli altri davanti ai bar dei giovani studenti futuri disoccupati ma intanto com’è bella la vita a bere Aperol di giovedì sera.

C’è una Napoli alla luce del sole, che poi brulica quasi sempre dopo le 5 di pomeriggio, e una rovesciata sottoterra. Napoli sotterranea, che disegna i profili di una città che fu. Abusivamente poi, in questa Napoli-Sotto si scalpiccia anche quando i locali si aprono una botola nel pavimento, ricavando sottoterra una sala folkloristicamente alternativa.

Sembra che abbiano le chiappe sulla brace, questi napoletani tutti focosi. E forse è proprio letteralmente così, perché stanno sempre con le chiappe sedute, e appoggiate sul Vesuvio. Si infiammano con niente, ma le parole che vengono alle mani quasi sempre diventano pacche di riconciliazione. Non ne vogliono, di complicanze, e la vita se la vivono così, placidamente ad andare trasversali alla corrente. Friggendo pizza e fuggendo i dispiaceri.

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Napoli è bbella è la filastrocca sorniona che sta sulla bocca di tutti. I suoi dolci una spirale di piacere crescente, le sue coste blu chiare e salate e puntellate di arance e limoni. Le sue bellezze storiche e culturali una ricchezza da non mettere in vetro.

A Napoli bisogna starci con fracasso insomma, e guardarla in faccia con energia, ma senza violenza. E si sa, e anche e soprattutto i napoletani lo sanno, che c’è la criminalità, la spazzatura, l’omertà, la discriminazione, la diffidenza verso lo straniero. Ed è giusto dirlo e va capito anche questo.

Ma si sta cercando di recuperare, e rivitalizzare, mettere pezze e rinnovare. Come nei Quartieri Spagnoli, che sono nati per alloggiare i soldati che qui cercavano divertimento e perdizione. E adesso, anche se vanno girati con la borsa stretta al petto per non lasciarsi briciole di gioielli digitali alle spalle, con lo sguardo storto si accettano anche i turisti. E ci sono tanti studenti che ci vivono, che la colorano la vociano e la sera ci fanno festa.

Va vissuta così insomma la città, mezzi dritti e mezzi storti, a camminare sghembi aspettando il momento in cui, calato il sole, non sarà più doveroso aspettarsi niente. E si sentirà solo la voce calda, e focosa, della notte che avanza, delle lattine che tintinnano sulla strada, della fisarmonica che spande intorno una musica lieve, sul rumore dei botti dei fuochi che si alzano nel cielo.

 

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Francesca Leali

Nata a Brescia nel 1993. Laureata in lettere moderne indirizzo arti all'Università di Bergamo, dopo un anno trascorso in Erasmus a Parigi. Appassionata di fotografia, cinema, teatro e arte contemporanea.

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