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Il paesaggio nell’arte/1

12 minuti di lettura

Vi presentiamo una carrellata nella storia dell’arte, dalle testimonianze dell’epoca romana fino all’arte del ‘900 e a quella contemporanea: espressioni diverse che hanno come tema comune la rappresentazione del paesaggio, trattato, di volta in volta, nel corso dei secoli, come dato oggettivo, come simbolo – religioso o laico – oppure come stato d’animo.

VILLA DI LIVIA, affreschi, Prima Porta, Roma, 40-20 a.C.

Gli affreschi della Villa di Livia al Museo Nazionale Romano
Gli affreschi della Villa di Livia al Museo Nazionale Romano

Si tratta della più antica rappresentazione conosciuta di un paesaggio naturale: è un dipinto murale, ritrovato nella Villa di Livia, moglie di Augusto, a Prima Porta, vicino a Roma, e risale al I sec. a.C.

L’affresco, che ora è conservato nel Museo Nazionale Romano, si trovava in origine in un ninfeo, una camera sotterranea, con una sorgente d’acqua, senza alcuna finestra né fonte di luce, a parte l’unica porta di accesso. La camera era quindi illuminata da torce e il paesaggio, raffigurato a tutta parete, si intravedeva appena. Si poteva avere la sensazione di trovarsi al centro di un ambiente chiuso da un recinto, al di là del quale c’era un giardino raffinatissimo, descritto con una precisione botanica. Gli studiosi hanno rintracciato, in questi alberi e piante, 23 specie vegetali e 96 specie avicole.

Particolare
Particolare

È singolare il fatto che uno degli alberi più ripetuti in questo paesaggio sia la pianta d’alloro che, nell’Antica Roma, aveva un significato particolare: era la pianta del trionfo. C’è una leggenda curiosa legata a Livia. Gli storici antichi raccontano che un giorno, un’aquila che aveva catturato una gallina che teneva un ramoscello d’alloro nel becco, fece cadere la propria preda sulla pancia di Livia, la quale era incinta. Livia consultò gli aruspici, i sacerdoti etruschi dediti all’arte divinatoria tramite la lettura del volo degli uccelli, e su loro consiglio decise di allevare la gallina e di piantare quel ramoscello di alloro. Così, a distanza di tanto tempo, attorno alla villa di Livia sarebbe cresciuto un vero e proprio bosco, da cui i vari imperatori avrebbero attinto per strappare il ramoscello d’alloro in occasione dei trionfi oppure prima di un’importante battaglia per auspicare una buona vittoria.

Il paesaggio è estremamente naturalistico e ricorda, con un anticipo di secoli, la pittura di macchia o addirittura quella impressionista. Per secoli, nell’epoca paleocristiana, andrà perso questo modo di rappresentare la percezione dello spazio, della prospettiva, delle luci, per esigenze comunicative diverse.

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AMBROGIO LORENZETTI, Buono e cattivo governo, 1337-39

Ambrogio Lorenzetti, Buono e Cattivo Governo
Ambrogio Lorenzetti, Buono e Cattivo Governo

Siamo a Siena nel Basso Medioevo. Ambrogio Lorenzetti viene incaricato dal governo della città di realizzare, all’interno della Sala dei Nove, nel Palazzo Pubblico di Siena – la sala di rappresentanza del potere cittadino – due grandi allegorie, a piena parete: l’allegoria del Buono e Cattivo Governo, attraverso immagini simboliche di un paesaggio urbano e di campagna. Il cattivo governo viene rappresentato con immagini di carestia, di lotta, di miseria. Il buon governo, al contrario, viene raffigurato con la ricchezza, il benessere, la vita agiata in città, e la vita serena e tranquilla in campagna.

Ambrogio Lorenzetti, Il Buono e il Cattivo Governo, particolare
Ambrogio Lorenzetti, Il Buono e il Cattivo Governo, particolare

Queste due allegorie avevano uno scopo comunicativo di fondo: celebrare l’orgoglio civico di Siena. All’epoca vantava di essere una città davvero prospera: nel contesto urbano, aveva la piazza più spaziosa, quella del palio, deteneva l’ospedale più grande, possedeva la pala di altare più imponente, che ancora oggi è conservata nel Museo dell’Opera Metropolitana del Duomo: la Maestà di Duccio di Buoninsegna.

Queste immagini dovevano informare e far capire agli spettatori, agli ospiti illustri del governo senese, che il Buon Governo si realizza secondo pratiche di giustizia sociale, affinché tutti possano ottenere il meglio. La città, recintata da un muro fortificato, è descritta secondo le architetture dell’epoca, in cui i senesi potevano riconoscere il loro ambiente. Al di là, il contado ritratto a volo d’uccello, con l’orizzonte molto alto sulla scena, va a perdersi sullo sfondo, raffigurato “alla fiamminga”, molto dettagliato. Lorenzetti descrive ogni particolare di questa campagna che è curatissima, coltivata. Ci sono i pastori, gli agricoltori che lavorano in tutta tranquillità, fino a perdita d’occhio. Una descrizione originale per i tempi, perché è una descrizione laica del paesaggio.

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FRATELLI LIMBOURG, Settembre, Codice miniato, 1412-16 c.

Très riches heures du Duc de Berry, Settembre
Très riches heures du Duc de Berry, Settembre

Un altro tipo di produzione: questa è una miniatura a piena pagina, all’interno di un libro d’ore (raccolta delle ore liturgiche per i diversi periodi dell’anno), preziosissimo e famoso, Très riches heures du Duc de Berry, commissionato ai fratelli Jean Hennequin ed Hermann Limbourg dal duca Jean de Berry. I Limbourg si erano specializzati nell’illustrazione dei codici. Il libro d’ore è una raccolta di preghiere ed è normalmente diviso in tre sezioni: i Salmi, le Preghiere da recitare nell’arco della giornata, e i Mesi. Questo è un foglio miniato che appartiene all’ultima sezione. A piena pagina, l’autore ha rappresentato ogni singolo mese, corredandolo in alto del segno zodiacale e dei giorni del calendario. In basso ritrae, in modo ideale, le attività che in quel mese dovevano svolgersi nella campagna o nella città di appartenenza del duca. In questo caso, il soggetto è il mese di settembre, quindi viene ritratta la vendemmia. È preziosissima l’immagine: sembra un cameo, una rappresentazione da favola – era un po’ negli intenti vista la destinazione alta di questo prodotto. In basso, vediamo i contadini che vendemmiano, in una natura rigogliosa, dai colori molto luminosi. Non c’è una percezione atmosferica reale, è tutto terso, tutto estremamente limpido. Il castello è proprio quello delle fiabe, anche se è ripreso dal vero: si tratta infatti della riproduzione del Château de Saumur. A rendere questa immagine ancora più fiabesca, contribuisce l’assenza di ombre, per cui i personaggi sembrano silhouette ritagliate e incastonate in questo paesaggio, che non è rappresentazione naturalistica.

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JAN VAN EYCK, Madonna del Cancelliere Rolin, olio su tavola, 66×62

Jan Van Eyck, Madonna del Cancelliere Rolin
Jan Van Eyck, Madonna del Cancelliere Rolin

Jan Van Eyck fu autore fiammingo ben noto che lavorò nelle Fiandre ma di fatto ebbe contatti anche con l’Italia. E questi scambi tra la pittura fiamminga e quella italiana determineranno una propria ricerca espressiva ed una nuova tecnica pittorica, affiancando i colori ad olio alle tradizionali tempere e creando effetti spaziali attraverso la luce dipinta. Questo è un quadro devozionale di committenza privata, quindi non è un quadro da chiesa. Lo dimostrano le dimensioni: non è particolarmente grande. Il committente di questo quadro è colui che si fa rappresentare all’interno del quadro stesso: il cancelliere Rolin di Borgogna. Si fa rappresentare come in un vero e proprio ritratto, quindi di lui si riconosce l’età, la pelle rugosa, gli anni avanzati, le mani che sono descritte con dita nodose, concentrato nella preghiera di fronte a Maria, che ha le sue stesse dimensioni, e col Bambino che lo benedice. L’unica figura innaturale in questo contesto è l’Angelo, al di sopra di Maria, il quale la incorona idealmente come la Regina dei Cieli. Tutto quello che noi vediamo rappresentato in questo paesaggio architettonico, e poi naturale sullo sfondo, è simbolico. I capitelli sono ognuno differente dall’altro e sono scolpiti con la narrazione di brani delle Sacre Scritture. Anche sullo sfondo, il paesaggio che all’apparenza sembra solo una descrizione iper-realistica del corso del fiume, in realtà allude a significati simbolici: il giardino recintato a mezzo campo, rimanda alla simbologia medievale che è quella dell’hortus conclusus, il giardino recintato, e che fa riferimento alla castità di Maria. All’interno di questo giardino ci sono dei fiori particolari: le rose rosse, che alludono al dolore, al sacrificio del figlio, e i gigli bianchi, simbolo di purezza che rimandano ancora una volta alla Madonna. Al di là del giardino, ci sono due comparse, di cui non è importante l’identità, tant’è che ci danno completamente le spalle, ma si tratta di una strategia pittorica: servono per collocare noi, che stiamo guardando il quadro, nel loro stesso punto di vista. Quindi noi abbiamo la possibilità di far spaziare lo sguardo sul corso della Mosa e vedere l’animazione di quella natura incontaminata. È pittura fiamminga, e i fiamminghi, Van Eyck tra i primi, cercano di cogliere gli effetti dell’atmosfera attraverso la luce. Le montagne sembrano vere perché sono dipinte con l’effetto pittorico dell’atmosfera: i colori dei monti sullo sfondo non sono più nitidi per effetto del pulviscolo atmosferico che fa da filtro fra noi, che siamo in primo piano, e le cose che sono molto distanti.

A lezione di Storia dell’Arte con la prof.ssa Daniela Olivieri • Cengio (SV), 3ª Stagione Culturale

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Lorena Nasi

Grafica pubblicitaria da 20 anni per un incidente di percorso, illustratrice autodidatta, malata di fotografia, infima microstocker, maniaca compulsiva della scrittura. Sta cercando ancora di capire quale cosa le riesca peggio. Ama la cultura e l'arte in tutte le sue forme e tenta continuamente di contagiare il prossimo con questa follia.

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