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Le passioni e il tormento
di Gabriele D’Annunzio

8 minuti di lettura

Vate, combattente, esteta, grande intellettuale e controverso protagonista di un mondo in declino. Gabriele D’Annunzio è un personaggio talmente poliedrico che è difficile racchiuderlo in una sola definizione. Fu la voce più importante del Decandentismo italiano, ciò che di più vicino abbiamo avuto a un dandy wildiano, ma sarebbe sbagliato, come si è fatto per molto tempo, classificarlo come un viveur dedito solo alla bella vita. Su D’Annunzio la storia non ha ancora operato il suo filtro: forse a causa del suo controverso rapporto con il fascismo, forse per la sua condotta di vita molto lontana da quella che immaginiamo consona a un poeta, nel mondo della critica letteraria il Vate non ha ancora trovato una collocazione degna di lui.

Gabriele D'Annunzio in posa
Gabriele D’Annunzio in posa

Il poeta, d’altra parte, non ci ha reso facile una corretta e imparziale valutazione della sua opera artistica. Intorno a D’Annunzio aleggia sempre la fama di strambo personaggio con uno smisurato culto di se stesso, di utopico fautore di un’Italia potente e invincibile e, naturalmente, di tombeur de femmes. Tutto questo è certamente vero. Ma perfino nell’erotismo che traspare dalla sua opera d’arte, un elemento importante e presente dall’inizio alla fine, D’Annunzio rivela una complessità insospettabile. Non si può bollarlo semplicemente come perverso o maniaco, come provarono a fare i suoi contemporanei. Probabilmente ci vorrebbe più di uno psicanalista per comprendere a fondo ciò che si cela dietro le sue parole ma, poiché noi non lo siamo, ci limitiamo a far parlare i testi.

«Perché, perché, o mia crudele Amica
non vi lasciate mettere l’Uccello
in quella ricca e opulenta fica
che nel suo genere è il perfetto bello?

Vorrei essere davvero una formica
per entrare quatto quatto in quel corbello:
sapete, non m’importerebbe mica
di restar preso nel cresputo vello.

Voi fareste addolcir qualunque amaro
noi tutti quanti ripetia in coro:
Voi siete qualche cosa di ben raro

Portate di bellezze un gran tesoro
via, via, prendere un pugno di denaro
e lasciatemi entrar nel vostro foro».

Mia crudele amica è un esempio di poesia erotica, scritta dal Vate quando era appena diciassettenne. Il contenuto non ha bisogno di molte spiegazioni: la destinataria è chiaramente una prostituta che, benché sia stata pagata, pare restia a concedere i propri favori. La scelta della forma del sonetto è geniale e ironica: come non richiamare alla mente, tanto per fare un esempio, il Tanto gentile e tanto onesta pare di Dante, indirizzato a ben altra donna con ben altri scopi? È facile e divertente immaginare un giovane Gabriele che, come un qualsiasi ragazzo di oggi nell’età della “stupidera”, si diverte a scrivere cose sconce ai compagni. E questo lato goliardico D’Annunzio non lo perderà mai.

dannunzio-moglie

Lo si ritrova in parte anche nella canzone Il Peccato di maggio, dove senza troppi complimenti D’Annunzio descrive il primo rapporto sessuale con la sua futura moglie, Maria Hardouin di Gallese, all’epoca diciottenne e vergine. Il componimento è giocato interamente intorno al simbolismo ed è una perfetta espressione di quel sentimento panico che caratterizzerà sempre la poesia di D’Annunzio, ma niente di tutto questo riesce a nascondere – e non ne ha l’intenzione! – il vero tema del poemetto. Che però, bisogna dirlo, è trattato con tanta arte e delicatezza che difficilmente sarà dispiaciuto alla sua destinataria.

«O Yella – susurrai. Mi sentivo
languire; ed il suo braccio seminudo, il suo vivo
braccio di marmo, avvinto a ‘l mio, m’insinuava
come un vellicamento fievole. Ma cantava
ella; ma ne ‘l suo corpo di vergine non anche
fluiva il dolce tossico de ‘l disío; ma le bianche
virginità de ‘l petto non avevano pure
un anelito».

È significativo che D’Annunzio abbia sentito la necessità di mettere nero su bianco un fatto tanto privato, sicuramente non inconsapevole dei rischi a cui poteva esporre la sua futura moglie. Di certo il motivo non è il morboso gusto di raccontare la sua esperienza ai suoi lettori. In realtà, è come se il poeta vedesse nella scrittura un modo per “possedere” davvero ciò che ha appena vissuto. La vita, insegna il padre di Andrea Sperelli, deve essere vissuta come un’opera d’arte. Ma che cos’è un’opera d’arte senza qualcuno che la rappresenti?

Questo è il tratto più interessante del passionale e disperato D’Annunzio. Possedere tutto, appropriandosene  non soltanto fisicamente ma anche letterariamente. Come ne Il Fuoco, dove la storia di Stelio e Foscarina è la trasposizione letteraria di quella che lo stesso D’Annunzio ebbe con Eleonora Duse.

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La smania di possesso di D’Annunzio fu sempre un’arma a doppio taglio. Fedele al principio del habere non haberi, il Poeta Vate odiava la gelosia delle sue donne, che giunse anche a lasciare quando divenivano troppo insistenti. Come i superuomini protagonisti dei suoi romanzi, egli volle sempre essere libero di passare da una storia all’altra, senza troppi legami. Eppure nessuna delle donne dei suoi romanzi si accontenta mai del ruolo dell’amante: tanto Foscarina ne Il Fuoco quanto Maria ne Il Piacere vorrebbero i loro amati solo per sé e non si fanno scrupoli a manifestare una profonda gelosia, pronte a votarsi completamente all’uomo che hanno scelto.

«Essi avevano combattuto, col fiato nel fiato, col cuore contro il cuore; s′erano congiunti come in una mischia; avevano sentito nella saliva il sapore del sangue. D′improvviso, avevano ceduto a un impeto di desiderio come a una cieca volontà di distruggersi. L′uno aveva scosso la vita dell′altra come per isvellerla dalle infime radici. Spasimando avevano sentito l′acutezza dei denti nei loro baci crudeli.
– Ti amo.
– Non così, non così vorrei…
– Tu mi turbi. A un tratto la furia mi prende…
– È come un odio…».

D’Annunzio volle possedere tutto ma, a differenza di quanto lui stesso ostentatamente dichiarava, probabilmente aveva anche il desiderio di essere posseduto. E i suoi passi più erotici, come la sua vita, esprimono proprio questa lacerazione.

Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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