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La ricerca dell’io in Hermann Hesse

5 minuti di lettura

Lo scrittore e poeta tedesco naturalizzato svizzero Hermann Hesse è una delle figure letterarie più di spicco della prima metà del secolo scorso: il suo ingegno di scrittura e il suo misticismo trasposto nel contesto occidentale nel 1946 gli valsero un premio Nobel per la letteratura, da lui mai ritirato e riguardo al quale scrisse in una lettera alla moglie: «che il diavolo porti via tutta questa roba».

La vita e i disturbi mentali

Hesse nasce nel luglio del 1877 in un paese della Svevia, figlio di un missionario pietista in India. Dopo aver rifiutato la religione con cui era stato cresciuto, passò alcuni mesi in una clinica per disturbi mentali. Nel frattempo inizia a sviluppare una forte propensione alla lettura e alla scrittura e inizia a coltivare queste passioni. I suoi problemi di salute mentale, però, non lo abbandonano e nel 1917 – mentre sta curando i prigionieri di guerra a Berna – ha una ricaduta a causa della quale dovrà subire l’elettroshock.

Uno sguardo all’Oriente

Sulle sue opere agisce l’influenza dell’esistenzialismo, del misticismo, dello spiritualismo e soprattutto della filosofia orientale: l’Oriente diventa fonte di ispirazione per lo scrittore, luogo di evasione e cura spirituale per l’anima.

 «Sin dalla tenera infanzia l’anima dell’India mi è risultata familiare: mio nonno, mia madre e mio padre erano tutti e tre vissuti a lungo in India, ne parlavano alcune lingue […], e a casa nostra vi erano molti oggetti indiani […]. In tal modo ho inconsciamente assimilato molto di quella cultura.»

«In tutto l’Oriente si respira religiosità, quanto in tutto l’Occidente si respira ragione e tecnica. Primitiva ed esposta a ogni evento appare la vita spirituale dell’occidentale, in confronto con la religiosità protetta, coltivata e piena di fiducia dell’uomo asiatico, sia buddhista, maomettano o altro.»

In particolare, grande è l’interesse per il buddismo: elementi fondamentali che vengono ripresi sono la compassione e la realizzazione di sé.

Hermann Hesse
Fonte: bigodino.it

La ricerca di sé come unico scopo

L’indagine e la trasformazione individuale, infatti, sono temi molto trattati dalle opere di Hermann Hesse, in cui ricorrono spesso personaggi solitari, isolati ed anomali per la società borghese ma che, grazie a un duro lavoro interiore, si stagliano in qualche modo sugli altri uomini. Quest’indagine necessaria e dolorosa è ben espressa nell’incipit di Demian, scritto nel 1919:

«Volevo solo cercare di vivere
ciò che spontaneamente veniva da me.
Perché fu tanto difficile?»

La vita, così, si configura non come qualcosa da affrontare in modo passivo ma come un’esperienza da plasmare in base al mondo interiore di ognuno, che è da scoprire con coraggio e dedizione: l’obiettivo ultimo dell’esistenza di ogni uomo, dunque, non è tanto quella di realizzarsi – nel senso comune del termine – ma quella di realizzare quello che cela nelle profondità più oscure della sua anima. Smettono così di esistere principi generali universalmente validi, che vengono considerati delle comodità dell’uomo moderno: ognuno si trasforma nell’unico vero garante di se stesso, senza alibi, senza scuse.

«Ognuno di noi deve trovare per conto suo che cosa sia lecito e che cosa sia proibito: proibito per lui. Si può non fare mai alcunché di proibito ed essere tuttavia un grande furfante. E viceversa. A rigore, è questione di comodità. Chi è troppo comodo per pensare da sé ad essere giudice di se stesso si adatta ai divieti quali sono. Facile per lui. Altri sentono invece certi comandamenti dentro di sé e considerano proibite cose che qualunque altro galantuomo fa ogni giorno, mentre sentono lecite altre cose che di solito sono vietate. Ognuno deve essere garante di se stesso. »

Il ruolo salvifico dell’arte

L’identità nella concezione di  Hermann Hesse è un elemento portante e impadronirsi della fonte dell’io diventa l’unico scopo dei suoi personaggi. Come accade? Spesso grazie all’arte. Per lo scrittore tedesco, infatti, «arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio» e quindi identifica la forma artistica come una liberazione della divinità, della spiritualità e di conseguenza della propria individualità.

 

Camilla Volpe

Classe 1995. Prima a Milano, ora sotto il Vesuvio - almeno per un po'. PhD candidate in Scienze Sociali e Statistiche. Mamma e papà non hanno ancora capito cosa faccio nella vita.

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