fbpx

Stampa 3D: una rivoluzione socio-economica alle porte

/
15 minuti di lettura

La struttura dell’economia, ovvero il modo in cui il potere economico è organizzato e distribuito, dipende in ogni epoca da due elementi fondamentali: la tecnologia alla base delle comunicazioni ed il modo in cui l’energia viene prodotta.

Le grandi società per azioni nascono nella seconda metà dell’Ottocento per rispondere all’elevato fabbisogno di capitali richiesto dall’industria ferroviaria, nata in seguito all’invenzione del motore a vapore; analogamente, gli ingenti costi fissi dell’estrazione di idrocarburi (ricerca, coltivazione dei giacimenti, lavorazione nelle raffinerie, distribuzione agli utenti finali) hanno determinato l’estrema concentrazione di capitali in poche grandi società multinazionali, centralizzate ed integrate verticalmente, che oggi dominano il mercato dell’energia globale.

Il modello di produzione, sia della Prima che della Seconda rivoluzione industriale, si è incentrato intorno alla grande industria: capace di garantire economie di scala sufficienti a ripagare gli elevati investimenti iniziali ed a immettere sul mercato prodotti di consumo ad un costo accessibile alle masse. Negli ultimi cinquanta anni, soprattutto, gli impianti produttivi hanno raggiunto dimensioni gigantesche: in tutto il mondo, ma soprattutto in Cina e nei Paesi in via di sviluppo, immense fabbriche producono prodotti con ritmi e volumi che un secolo fa sarebbero stati impensabili.

Nei prossimi decenni, tuttavia, l’attuale modello di produzione è destinato ad eclissarsi, accompagnato dal declino del capitalismo di mercato e da grandi trasformazioni nella cultura di massa e nella struttura della società. Già oggi centinaia di aziende producono beni nello stesso modo in cui un software produce contenuti digitali: è il processo chiamato “stampa 3D“, e costituisce il modello di produzione che in futuro diverrà sempre più centrale nel sistema economico.

Stampa 3D: come funziona

La tecnica di stampa 3D è un software che, a partire da un modello digitale tridimensionale, indirizza plastica fusa, metallo fuso o altri materiali all’interno di una stampante che realizza, strato dopo strato, un prodotto materiale completo di tutte le sue parti, anche quelle mobili.

Nata nel 1986 con la pubblicazione del brevetto di Chuck Hull, inventore della stereolitografia, col passare degli anni si è evoluta con l’introduzione di nuove tecniche di stampa e di svariati materiali con differenti caratteristiche meccaniche, stampabili sia da soli che in combinazione, diffondendosi così in settori che spaziano dall’industria all’ambito medico e domestico. La stampa 3D viene oggi utilizzata per la produzione di una vasta gamma di oggetti: arnesi di ogni tipo, oggettistica di consumo, protesi umane, componenti di automobili o di aerei, persino parti di edifici. Sono inoltre in fase di studio progetti mirati a stampare tridimensionalmente cibi, attrezzature per satelliti e moduli per realizzare basi sulla Luna ed altri pianeti.

Produzione digitalizzata

Uno degli aspetti più dirompenti della stampa tridimensionale è il passaggio dalla “produzione manifatturiera” alla “produzione digitalizzata”: se nel modello di produzione che ha dominato la Prima e la Seconda rivoluzione industriale occorreva, alla formazione del prodotto finale, l’apporto umano in varie fasi del processo produttivo, la stampa 3D marginalizza la presenza umana alla semplice ideazione del modello tridimensionale, da realizzarsi attraverso appositi software o la scansione tridimensionale dell’oggetto da replicare. La sostituzione di macchinari al lavoro umano, in un’ottica di risparmio sui costi e di aumento della produttività, è il cuore della logica capitalistica ed il motore delle trasformazioni economiche dall’invenzione del motore a vapore ad oggi. I progressi della robotica, l’interconnessione informatica permessa da internet e lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale stanno diminuendo drasticamente la capacità occupazionale del sistema economico in cui viviamo: in questo senso la stampa 3D è il punto di arrivo di una dinamica economica (la sostituzione delle macchine all’uomo nello svolgimento di mansioni lavorative) già esistente da decenni, che con la stampa tridimensionale trova attuazione nella produzione di quasi tutti i prodotti commerciali.

È pertanto essenziale che la politica si interroghi sulle trasformazioni in atto, sull’impatto che le nuove tecnologie avranno sul mercato del lavoro e sugli strumenti per garantire un reddito ai cittadini in un contesto di drastica diminuzione dei posti di lavoro.

Produttività estrema

L’incremento di produttività permesso dalla stampa 3D non si limita all’eliminazione di tutta una serie di costi connessi all’apporto umano nel processo produttivo. Nella fabbrica manifatturiera tradizionale la produzione procede per sottrazione: le materie prime vengono lavorate e poi assemblate, e in questo processo una grande quantità di materia prima viene sprecata. La stampa tridimensionale, al contrario, procede per addizione: il software deposita la materia fusa, strato dopo strato, fino alla realizzazione del prodotto finale. Questo processo digitalizzato additivo richiede un decimo del materiale rispetto alla produzione manifatturiera sottrattiva, il che comporta una significativa riduzione dei costi sulle materie prime.

Non solo: le stampanti 3D sono in grado di stampare i propri componenti, cosa che libera sia l’utente dalla necessità di acquistare pezzi di ricambio, sia le aziende produttrici di stampanti 3D dalla necessità di produrli e immetterli sul mercato. Ad esempio la stampante RepRap, sviluppata da Adrian Bowyer insieme con un gruppo di ricercatori dell’Università di Bath, è in grado di stampare il 48% delle proprie parti, ed è attualmente sulla buona strada per diventare una macchina totalmente autoreplicante.

La natura open source di molti software di stampa 3D, inoltre, ha una doppia conseguenza: da una parte esonera le imprese e gli utenti dalla necessità di sostenere i costi legati alla proprietà intellettuale, dall’altra permette la personalizzazione del prodotto fin nei minimi dettagli, consentendo la creazione di un pezzo unico o di piccole serie di prodotti su ordinazione a costi estremamente ridotti. Ciò ha un effetto dirompente sul sistema economico, in quanto depotenzia il meccanismo delle economie di scala (la riduzione del costo unitario di un prodotto grazie alla produzione di grandi serie, che permette di ammortizzare i costi fissi su un gran numero di unità di prodotto): aumentando così la competitività delle piccole e medie imprese rispetto alle grandi aziende multinazionali, che fino ad oggi hanno basato il proprio potere di mercato proprio sullo sfruttamento delle economie di scala permesse dagli ingenti volumi di produzione delle proprie catene produttive. Grazie alla stampa tridimensionale, le piccole e medie imprese nel prossimo futuro recupereranno terreno sul fronte della competitività sui mercati.

Eco-sostenibilità

La cultura dei pionieri e dei promotori della stampa tridimensionale è improntata all’ecologismo: viene posto fortemente l’accento sulla longevità e la riciclabilità dei prodotti, nonché sull’utilizzo di materie prime non inquinanti. Il fine di gran parte degli sviluppatori che stanno lavorando alla nuova tecnica di stampa è quello di realizzare stampanti in grado di utilizzare materiali di riciclo e, in ogni caso, disponibili nell’ambito dell’ecosistema intorno alla persona, in vista dell’autosufficienza locale e del rispetto dell’ambiente. Questa sensibilità ecologista ha portato, ad esempio, alla realizzazione di Filabot, un dispositivo grande quanto una scatola di scarpe capace di macinare e fondere oggetti in plastica come dvd, cestini, spazzolini da denti, tubi, bottiglie, ecc. La plastica viene macinata e poi fusa grazie ad una resistenza, per poi essere avvolta intorno ad un rullo sotto forma di filamenti plastici, pronti ad essere utilizzati nei processi di stampa 3D. Sono state inoltre sviluppate stampanti, per fabbricare mobili per la casa, che utilizzano materiali riciclati come vetro, legno, tessuti, ceramica e acciaio inox, a dimostrazione dell’estrema versatilità delle materie prime che possono essere utilizzate e del potenziale ecologico della tecnica di stampa tridimensionale.

Dalla produzione di massa alla produzione delle masse

La stampa 3D è ancora un fenomeno di nicchia limitato a pionieri, appassionati ed imprese avanguardiste, ma col tempo è destinata a diventare un processo di produzione sempre più diffuso nel sistema economico. Guardando semplicemente ai prezzi delle stampanti, dai 30.000 dollari della prima Stratasys (immessa in commercio nel 2002) oggi si è passati ad un costo medio sul mercato di 1500 dollari: una riduzione della curva di prezzo che ricorda quella dei computer, dei telefoni cellulari e degli impianti eolici e fotovoltaici, inizialmente molto costosi e limitati ad un mercato d’élite ed oggi prodotti di massa.

La diffusione di massa della stampa tridimensionale porterà ad una vera e propria democratizzazione della produzione: potenzialmente ciascun individuo potrebbe diventare un prosumer, al contempo produttore e consumatore di beni fabbricati in proprio. Ciò sovvertirebbe alla radice la prassi del modello di produzione, centralizzato e integrato verticalmente, della Seconda rivoluzione industriale: il potenziale, in termini di libertà dell’individuo dal sistema e di autosufficienza delle comunità, è altissimo. L’effetto sul sistema economico attuale sarebbe dirompente: una volta acquistata una stampante 3D, l’utente necessiterebbe di acquistare esclusivamente la materia prima per produrre da sé una vasta gamma di oggetti di uso quotidiano, senza doverli acquistare sul mercato. Ciò porterebbe ad una forte contrazione della domanda, al calo dei profitti aziendali, all’aumento della disoccupazione: in poche parole, alla crisi del paradigma economico in cui viviamo.

Verso la fine del capitalismo di mercato?

I potenziali effetti dirompenti della stampa tridimensionale non si limitano semplicemente ad una crisi di produzione nel contesto di un’economia capitalistica di mercato: sono in grado di incrinare i fondamenti stessi del paradigma economico capitalistico. Per comprendere questa affermazione, che può apparire molto forte, occorre considerare due elementi: la logica operativa del capitalismo, incentrata sullo sviluppo di tecnologie in vista della produttività massima (il cui punto ideale di arrivo è il “costo marginale zero”, cioè la produzione di ulteriori unità di prodotto a costo zero o comunque estremamente basso), e gli sviluppi della tecnologia chiamata “Internet delle cose”.

La realizzazione del protocollo internet IPv6, che sostituisce l’attuale protocollo IPv4, permetterà la coesistenza nei server mondiali di ben 340.000 miliardi di trilioni di trilioni di indirizzi ip, consentendo di collegare alla rete internet tutti gli oggetti di uso quotidiano e soprattutto il sistema di produzione e distribuzione dell’energia elettrica. Con lo sviluppo delle energie rinnovabili, la trasformazione di ogni edificio (dalle abitazioni private alle aziende alle strutture pubbliche) in micro-centrali eoliche e fotovoltaiche e la condivisione di energia pulita in reti intelligenti, il costo dell’elettricità all’utente finale diverrebbe quasi gratuito, una volta ammortizzati i costi fissi di installazione. In un contesto di elettricità quasi gratuita, di assenza di proprietà intellettuali e di software open source per la stampa tridimensionale, il costo di produzione degli oggetti con stampa 3D si ridurrebbe ulteriormente, portando la società umana verso un regime di costi marginali praticamente azzerati: il profitto si contrarrebbe drasticamente fino teoricamente ad azzerarsi, e diverrebbe superfluo lo scambio sul mercato di una vasta gamma di prodotti.

Ci troveremmo così di fronte alla fine del paradigma economico capitalistico: con la democratizzazione della produzione ognuno potrà accedere ai mezzi di produzione, rendendo praticamente priva di senso la questione della proprietà dei mezzi di produzione e portando al declino del capitalismo di mercato. Senza dubbio oggi siamo soltanto agli albori di questa nuova era della civiltà umana (l’Internet delle cose ancora è un’idea che deve essere implementata su larga scala, e la stampa 3D è nella fase iniziale della sua diffusione), ma abbiamo di fronte a noi una prospettiva al contempo politica ed economica intorno a cui coalizzare un vasto campo progressista, che va dai fautori del libertarismo e dai sostenitori dell’autosufficienza delle comunità locali agli imprenditori sociali e ai comunitaristi: tutti coloro, in poche parole, che a un sistema politico ed economico centralizzato e gerarchico preferiscono una realtà basata sulla trasparenza, la collaborazione, le reti orizzontali e il potere distribuito.

 

 

Niccolò Biondi

25 anni, laureato in Filosofia, attualmente studia Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Firenze, città in cui abita.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.