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Un sacchetto di biglie: l’infanzia rubata dai nazisti

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5 minuti di lettura

Il Giorno della Memoria porta con sé molti racconti dolorosi e impossibili da cancellare, come fossero tatuati addosso. Racconti terribili riportati da chi ha vissuto il periodo della Seconda Guerra Mondiale.

Arrivato nelle sale italiane il 18 gennaio, Un sacchetto di biglie, come dice l’autore stesso Joseph Joffo che ha vissuto in prima persona l’accaduto, non è altro che questo: «Un racconto che narra la storia di due bambini in un universo di crudeltà, di assurdità e anche, talvolta, di aiuti del tutto inattesi.»

Un sacchetto di biglie
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La storia di Jo

Agosto 1944. Parigi. Una famiglia di ebrei deve dividersi e scappare durante l’occupazione nazista. Inizia così il lungo viaggio del piccolo Joseph insieme al fratello per ricongiungersi con il resto della famiglia non appena la guerra sarà finita.

Durante il loro viaggio i due fratelli incontrano molti ostacoli primo fra tutti riuscire a mentire alle SS e superare i loro spietati controlli. Non possono fidarsi di nessuno. Tuttavia, durante il loro percorso, incontrano molte persone pronte ad aiutarli tra cui preti disposti a mentire e a falsificare documenti e medici che non fanno caso alla circoncisione.

Il loro calvario dura due anni e mezzo, ma alla fine riescono a tornare a Parigi dove li aspetta la loro famiglia, purtroppo non al completo.

Un sacchetto di biglie
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Da Parigi a Nizza

La storia è vissuta in prima persona da Joseph Joffo, scrittore francese autore dell’omonimo romanzo pubblicato nel 1973 diventato un classico per ragazzi.

Vista con gli occhi di un bambino, la storia narrata da Jo non è come tutte le altre storie sul nazismo a cui siamo abituati.

Innanzitutto il protagonista riesce ad evitare i campi di concentramento e quello dunque che noi vediamo sullo schermo sono le immagini del suo viaggio attraverso la Francia. Non grigi e terrificanti campi di sterminio circondati da filo spinato, ma una Francia ricca di colore dai campi verdi al mare azzurro: «Era troppo bello per tutti e due…viaggiare liberi, come non lo si era mai stati. Finimmo con il dimenticare che si fuggiva da qualcosa.»

È questa sua particolarità che lo rende un film molto diverso ad esempio da Schindler’s List o Il Pianista, film più intensi e crudi. Per questo forse Un sacchetto di biglie può essere considerato adatto ai più giovani che devono sapere tutto ciò che c’è da sapere sul periodo nazista, ma che possono arrivarci per gradi. E tuttavia il film riesce a trasmettere una grande sensazione d’angoscia, quella di essere sempre braccati dalle forze naziste, sempre sul filo del rasoio.

Un sacchetto di biglie
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Un racconto di speranza

Per quanto i tempi fossero duri, Jo porta un messaggio di speranza e di bontà. Mai si perde d’animo e mai perde la fiducia verso i suoi genitori che aspetta con ansia di poter riabbracciare. Riesce addirittura a provare compassione e perdonare anche quando la rabbia e l’odio dovrebbero essere i sentimenti più comuni.

A colpire soprattutto è la sua maturità e furbizia nonostante la sua tenera età. Spesso infatti riesce ad uscire da situazioni pericolose grazie all’astuzia e al coraggio salvando così anche il fratello.

Nonostante i buoni sentimenti non lo abbandonino, Jo perde però una parte preziosa della sua vita: l’infanzia. Il suo sacchetto di biglie perde improvvisamente importanza nel momento in cui deve partire, lontano da mamma e papà. Solo una biglia, la sua preferita, gli farà compagnia durante il viaggio facendogli ricordare la spensieratezza della sua vita prima della guerra e che non potrà più tornare.

Diretto da Christian Duguay, Un sacchetto di biglie è il remake dell’omonimo film girato nel 1975, ma che non aveva lasciato soddisfatto lo scrittore. Ora torna sul grande schermo una storia che, come tutte le altre storie, non deve essere dimenticata.

 

Immagine in copertina: thespacecinema.it

Azzurra Bergamo

Classe 1991. Copywriter freelance e apprendista profumiera. Naturalizzata veronese, sogna un mondo dove la percentuale dei lettori tocchi il 99%.

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