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«Viva l’Italia», all’Elfo Puccini Fausto e Iaio quarant’anni dopo

13 minuti di lettura

Torna in scena sul palco del Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 18 marzo Viva l’Italia, scritto da Roberto Scarpetti e diretto da César Brie, con Andrea Bettaglio, Massimiliano Donato, Federico Manfredi, Alice Redini e Umberto Terruso in un vivace alternarsi di ruoli e voci volto a ricomporre i tasselli spesso incompleti e scomposti di quella sera del 18 marzo 1978 quando due giovanissimi amici (ma soprattutto compagni) milanesi vengono uccisi al Casoretto, poco distanti dal Leoncavallo ma anche da casa, dove la madre di Iaio li stava aspettando con i tagliolini al ragù già pronti.

Siamo sul finire degli anni ’70, solo due giorni dopo il rapimento di Aldo Moro: il clima è quello di una violenza politica radicalizzata ma anche di un mondo giovanile che è venuto allo scoperto e ha acquistato un protagonismo e una volontà di azione trasformatrice senza precedenti, è il mondo del Parco Lambro che Fausto, con la camicia insanguinata in un gioco continuo di rimandi tra diversi piani temporali, ricorda in modo vivido e appassionato come qualcosa di enorme, la Rivoluzione quella con la R maiuscola che in quegli anni era diffusa e trovava concretezza anche in gesti di lotta quotidiana, come quello che aveva portato nel ’75 a occupare il Leoncavallo: si è rivoluzionari quando si costruisce un’alternativa forte, per Fausto, Iaio e i loro amici che lo frequentavano quel centro sociale era la possibilità di sottrarsi alla scelta dolorosa tra «i bar dove indisturbatamente circola l’eroina e gli oratori dove la realtà viene mascherata da falsi ideali».

Viva l'Italia
fonte Elfo Puccini

Il dilemma etico della Rivoluzione

C’è un po’ di quell’incoscienza sana e di quella leggerezza di quando si è giovani, che però non si sottrae all’interrogativo problematico che fa da sottofondo nella testa di Fausto: la lotta armata è davvero indispensabile alla Rivoluzione? Fausto prova a formularsi delle risposte, «la lotta armata ci allontana dalla gente, ma il capitalismo non concede alternativa»: c’è la difficoltà di tenere vivo un impegno collettivo che porti benefici a quel popolo di cui si sono prese le parti e di cui si è anche parte – «noi siamo gente semplice» dice Angela, la mamma di Iaio – e poi c’è tutta la violenza nelle piazze, nelle strade, nelle scuole e nei luoghi di ritrovo che anche un idealismo tanto spinto fatica a comprendere fino in fondo.

Con un equilibrio che, senza rinunciare di tanto in tanto a un simbolismo delicato, come l’immagine del sangue versato dei due giovani che si trasforma in un campo di papaveri rossi, si nutre di una ricostruzione essenziale degli ambienti – sul palco una cassa di legno in continua trasformazione, da cabina telefonica, a nascondiglio, a letto, a sedile posteriore di un’automobile fino ad assumere i connotati quasi astratti di uno spazio circoscritto indefinito e un telo trasparente a coprire gran parte del palco e a delimitarne due lati, dietro cui non si è visti ma si colgono delle presenze – Brie riesce a dare piena espressione al forte significato politico e ideologico della vicenda senza trascurarne gli aspetti personali: emerge così il sempre eterno conflitto tra pubblico e famigliare, tra ideali e affetti, senza un’esaltazione romantica dei primi ma allo stesso tempo rinunciando a trattare con vano sentimentalismo i secondi.

Vviva l'Italia
fonte Elfo Puccini

Con costante concretezza e attenzione ai particolari anche più banali della quotidianità – per quanto sconvolta – si segue il corso delle indagini affidate al commissario della Digos Salvo Meli, stretto tra l’aspirazione a un pieno distacco professionale che lo spinga a valutare freddamente le varie piste e il coinvolgimento in un omicidio che rappresenta qualcosa di più grande e onnicomprensivo di un fatto di cronaca individuale: la disarmante consapevolezza che «poteva capitare a mia figlia», che assale Meli e non gli dà tregua, non è soltanto l’apprensione di un padre, ma la scoperta di uno scontro collettivo in cui gli individui contano e sono implicati nella misura in cui prendono una posizione netta, senza reticenze, sulla parte con cui stare: una volta presa, si è esposti e non si può più tornare indietro.

Viva l'Italia
fonte Elfo Puccini

Il delitto politico

Questo duplice omicidio, come continua a insistere Mauro Brutto, giornalista dell’Unità che a partire da un impegno sul caso arriverà persino a raccogliere dettagli molto rilevanti sui colpevoli, è senz’altro un delitto politico: politico è il suo movente, il suo mandante, la sua valenza simbolica; da una parte due giovani di sinistra, impegnati in un’inchiesta sull’incidenza dell’eroina nel quartiere Casoretto, inseriti in una comunità di quartiere, assidui frequentatori del Leoncavallo e convinti sostenitori di quel modo di fare musica e aggregazione – perchè anche questo è politica -, dall’altro ragazzi altrettanto giovani, tra cui spicca Giorgio, romano, membro di un gruppo di estrema destra vicino ai NAR, implicati due anni dopo nell’attentato alla Stazione di Bologna, divorato da una smania quasi futuristica a vendicare i loro morti, parte di un gruppo che tuttavia attizza il fuoco di un individualismo spietato, che lo porta ad ammettere di aver compiuto quel duplice omicidio, dopotutto, solo per se stesso, come una missione personale in nome di un’estetizzazione divorante della politica: quella che portava i futuristi a vedere la guerra alla stregua di un’opera d’arte, la stessa che ora fa eccitare Giorgio al sentire l’odore della polvere da sparo rimastagli sulla mano con cui aveva impugnato la pistola.

Il dolore universale

Nei meandri di questo scontro collettivo epocale c’è poi lo sgomento e il senso di impotenza di Angela, la madre di Iaio che rimprovera all’altra figlia, Maria, di aver iniziato a frequentare quel posto, di aver voluto per prima «impicciarsi di politica». Se fai politica, muori: per questo la infastidisce la folla densissima che accorre ai funerali, perchè in quella folla, che Angela invita ad andare a casa, che «non lo conoscevate neanche», si accorge che il proprio dolore, per lei totalizzante, è soltanto una parte di un dolore più univerale di quei tantissimi compagni lì presenti, pronti a trasfigurarlo, a farne un motivo per continuare a lottare.

Il tema della madre

C’è la ricorrenza del tema della madre che a un certo momento della vita deve abbandonare il figlio, lasciarlo entrare nel mondo, ma soprattutto il suo non aver fatto in tempo ad accorgersene in tempo. C’è tutto il realismo di una madre che non riesce ad accettare che ne sia valsa la pena: quello stesso eroismo di quella destra estrema che ha ucciso suo figlio Iaio, a cui con delicatezza si rivolge ogni volta che si reca a portargli dei fiori al cimitero, colorati perchè «gli piacevano i colori, a Lorenzo», non cambia nulla, non dà alcuna consolazione, così come non basta a darle quiete tutta quella folla di compagni, quel grande popolo collettivo che inserisce quelle due morti in un orizzonte più grande ma anche più impalpabile e incomprensibile.

C’è la sincerità struggente nella voce dell’altra madre, quella di Fausto, che a Radio Popolare, contro chi stava cercando, in modo più o meno strumentale, di relegare il delitto a un fatto di droga, fa trapelare la paura che una simile pseudo verità possa incrinare l’immagine di suo figlio e distorcerla recandogli un danno ancora più grande; la pista della droga, condannata dal giornalista dell’Unità per il suo carattere mistificante di una realtà politica da denunciare e su cui fare luce, è qui criticata con la stessa passione ma da un punto di vista diverso; costante è nella rappresentazione questa dialettica, questo contrasto tra privato e pubblico che trova momenti di distensione, che, talvolta, si ricompone, senza tuttavia lasciare vere e proprie risposte.

 

Viva l'Italia
fonte MilanoToday

La resa di tutta la vicenda, che si inserisce in un contesto più grande, dal caso Moro alla strage di Bologna, con scene che si alternano velocemente insieme agli attori, abilissimi nel cambio continuo dei ruoli senza smarrire i caratteri specifici dei personaggi, risulta a tratti persino commuovente ma al di là del carico emotivo e simbolico, senz’altro presente, il testo di Scarpetti e l’adattamento teatrale di Brie presentano un valore aggiunto, in un certo senso morale e indubbiamente politico.

La necessità intrinseca della riflessione

Gli anni ’70 sono finiti da un pezzo insieme con la Prima Repubblica e tante altre cose che i più anziani potranno ricordare con una certa nostalgia, ma ciò non toglie che queste parole e questi fatti irrompono nella nostra società e nel nostro 2018 imponendoci una riflessione: sul fascismo prima di tutto, che ancora decenni dopo la fine del regime continua a essere rialimentato, con modalità che possono essere in parte diverse ma con la stessa violenza fisica e verbale e lo stesso appiattimento di riflessione di un tempo; sulla militanza a sinistra, come sia possibile cioè, nella nostra società, immaginare e praticare alternative all’esistente; sulla politica e sull’antifascismo più in generale, con tutti i modi in cui questo può prendere forma nei luoghi e nei tempi della nostra collettività.

In un mondo in cui si fa sempre più fatica a riconoscersi, in cui il senso di estraneità a volte arriva a far percepire come inutile qualsiasi impegno, quello che Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci ci ricordano è che ci deve essere un modo per cambiare le cose e per migliorare la società, e che se non c’è, è possibile quanto doveroso costruirlo. Insomma, cantando insieme con De Gregori, Viva l’Italia, “l’Italia con gli occhi aperti nella notte triste, viva l’Italia, l’Italia che resiste.”

Martina Corti

Ho ventuno anni, studio filosofia all'Università degli studi di Milano, mi piace scrivere e sono appassionata di musica e di teatro.

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