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Portella

1 maggio 1947. Per non dimenticare la strage di Portella della Ginestra

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Quest’anno sarà un Primo Maggio diverso. Non ci saranno cortei, non ci saranno commemorazioni e a tutti mancherà un po’ l’aria di questa festa laica che unisce tutti. La Festa dei Lavoratori, dei loro diritti. Una festa che almeno per un giorno ci fa camminare uniti, uno accanto all’altro. 

Pensando alla Sicilia, il Primo Maggio fa rima con Portella della Ginestra. Se si cresce a Piana degli Albanesi, tra i monti Pizzuta, Kumeta e Maganoce, a pochi chilometri da Palermo, Portella della Ginestra diventa un luogo del cuore. Un mausoleo laico che ogni Primo Maggio vede giovani e meno giovani uniti da sentimenti di uguaglianza, solidarietà e diritti. 

La strage di Portella della Ginestra

Era il 1 maggio del 1947 quando il consueto corteo si muoveva dal centro di Piana degli Albanesi fino a Portella della Ginestra, alle pendici del monte Pizzuta. Oltre al Primo Maggio, c’era da festeggiare il buon risultato dei partiti di sinistra uniti nel Blocco del popolo alle elezioni regionali del 20 aprile. Anche quell’anno, i lavoratori dei paesi del circondario si riunivano per ascoltare le voci di politici e sindacalisti pronti ad arringare la folla dal “masso Barbato”. 

Da quel masso, Nicola Barbato, medico e politico socialista di Piana degli Albanesi, oltre che leader dei Fasci siciliani, costruì a fine Ottocento il suo mito combattendo al fianco dei contadini del suo paese e della Sicilia intera. Nella sua Autodifesa, raccontava con orgoglio l’aneddoto di quando un poliziotto gli disse: «I contadini si lasciano crescere i baffi». La sua risposta fu emblematica: «È vero: essi hanno acquistato la coscienza di essere uomini».

I suoi ideali caratterizzeranno la storia siciliana e dei siciliani anche negli anni successivi. Basti pensare alla Resistenza e al fatto che a guidare le Brigate Garibaldi del Piemonte vi era il siciliano Pompeo Colajanni, nome di battaglia “Nicola Barbato”.

Era il 1 maggio del 1947, dicevamo, e Portella si riempiva di gente e di bandiere. Già dalla mattina, i mafiosi della zona non risparmiarono minacce ai manifestanti che si recavano a Portella, ma nessuno avrebbe mai pensato a quanto sarebbe accaduto di lì a poco

I lavoratori a Portella della Ginestra (scena dal film “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi, 1962) La Repubblica

Dalla montagna la banda di Salvatore Giuliano sparò sulla folla macchiando di sangue non solo i massi di Portella, ma anche le mani dei suoi mandanti. Secondo le fonti ufficiali, 11 morti (9 adulti e 2 bambini) e 27 feriti. Un gesto esemplare i cui esecutori, mafiosi e con simpatie neofasciste, venivano assoldati da mandanti per troppo tempo nascosti dal Segreto di Stato. Dei rapporti tra mafia, istituzioni e politica siciliana e nazionale si parlò sin dal primo momento. Quanto accaduto il 1 maggio 1947 ci fa definire quella di Portella delle Ginestre come la prima Strage di Stato

Un 1 maggio diverso

Per chi nasce in Sicilia, è normale girare per le città leggendo targhe commemorative dei caduti di una delle guerre che, silenziosamente, viene combattuta da una società troppo spesso disarmata. Un esercito fatto di donne, di uomini, di bambini combatte ogni giorno contro un virus che infetta un sistema economico, la società e troppo spesso anche lo Stato. Stiamo parlando del virus della Mafia. Per ognuna di quelle targhe, per le vittime di Portella, contro ogni oppressione, dobbiamo essere uniti in una lotta che coinvolge il Paese intero facendo nostro il messaggio di Pio La Torre che dallo stesso male venne assassinato il 30 aprile del 1982

Domani mancheranno i colori, mancheranno le bandiere, mancherà la gente, ma noi, a Portella, ci saremo col cuoreShihemi te Purtelja!*

Ps: Vi lasciamo una piccola chicca, per ritrovare quell’atmosfera che quest’anno non potremo vivere in prima persona. L’intervento di Emanuele Macaluso, nel 2019, a Portella della Ginestra. Buona visione!

*L’espressione significa: “Ci vediamo a Portella”.
Immagine in copertina: Renato Guttuso, “Portella della Ginestra”

 


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Giuseppe Vito Ales

Classe 1993. Cresciuto tra le montagne di Piana degli Albanesi, sono un Arbëresh di Sicilia profondamente europeo. Ho studiato economia, relazioni internazionali ed affari europei tra Trento, Strasburgo, Bologna e Bruxelles per approdare infine a Roma. Tra le grandi passioni, la politica, l’economia internazionale e i viaggi preferibilmente con uno zaino sulle spalle e tanta voglia di camminare.
Credo che nel mondo ognuno di noi possa contribuire al miglioramento della collettività in modo singolare e specifico, proprio per questo non mi sta particolarmente simpatico chi parla per frasi fatte o per sentito dire e chi ha la malsana abitudine di parlare citando pensieri e parole d’altri. Siate creativi, ditelo a parole vostre!