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5 film che lasciano… senza parole

Pensate che i film muti siano noiosi? Con questi 5 consigli potreste rivalutare il cinema muto.

10 minuti di lettura

Dopo i 5 film a tema gioventù, eccoci di ritorno con nuove proposte per le serate estive, quando il caldo, le zanzare o la pigrizia obbligano a rimanere a casa, comodamente seduti sul divano. I 5 film di questa settimana vi lasceranno senza parole: si tratta, infatti, di film muti.

Se pensiamo ai film muti, è inevitabile andare con il pensiero agli anni ’20, in particolare alle pellicole americane: come non rievocare il kolossal Ben-Hur (1925) o l’indimenticabile capolavoro di Charlie Chaplin Luci della città (1930)? Senza nulla togliere a queste straordinarie pellicole, non è di queste che parleremo. Il cinema muto ha continuato il suo percorso ed è approdato fino agli anni 2000. Ecco dunque una lista di 5 film che, nell’epoca d’oro del sonoro e degli effetti speciali, coraggiosamente rinunciano alla forma espressiva verbale.

L’ULTIMA FOLLIA DI MEL BROOKS

MEL BROOKS, 1976

Significativamente intitolato in originale Silent MovieL’ultima follia di Mel Brooks è una parodia (e, insieme, un omaggio) dei film muti basati sulla comicità data da una serie di gag molto elementari, come possono essere proprio quelli di Charlie Chaplin. Mel Brooks ne è regista e interprete, insieme a un gruppo di attori di tutto rispetto con i quali collaborerà più volte in futuro, come Marty Feldman (geniale Igor in Frankenstein Junior), Liza Minnelli, Paul Newman. E, come ogni parodia che si rispetti, offre un curioso ribaltamento. L’unica parola parlata in tutto il film – che dunque non si può considerare un film muto a tutti gli effetti – è “Non!” ed è pronunciata dal celebre attore e mimo francese Marcel Marceau.

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Mel Brooks interpreta una parodia di se stesso: Mel Spass, regista un tempo celebre, ma ora dedito all’alcol e senza più ispirazione. Insieme ai due assistenti Trippa (Dom DeLuise) e Bellocchio (Marty Feldman), Spass decide di tentare la sua…ultima follia: presenta ai produttori dei Big Pictures Studios la sceneggiatura di un film muto, il primo in quarant’anni. I produttori, inizialmente scettici, accettano la proposta grazie alla promessa di Spass di coinvolgere tutte le più grandi star di Hollywood. Il trio parte così alla ricerca dei grandi nomi del cinema contemporaneo e, in una sequela di spassose scenette, li convince uno dopo l’altro a partecipare al progetto di Spass. Tutti tranne il mimo Marceau che, come detto, risponde con un sonoro«NON!».

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Fonte: http://ranmafan-reup.blogspot.com

KOYAANISQATSI

GODFREY REGGIO, 1982

Un titolo difficile per un film decisamente complessoKoyaanisqatsi è una parola della lingua degli hopi, una popolazione amerinda, che significa “vita folle, tumultuosa”. Si tratta, infatti, di un documentario che accosta immagini di paesaggi ed elementi naturali alle più diverse manifestazioni della presenza dell’uomo sulla Terra. Non è presente alcun tipo di commento ai filmati, che devono la loro forza solo al loro sapiente accostamento, alla tecnica dell’accelerazione talvolta impiegata e ai brillanti colori. Ma il film entra nel cuore anche grazie ad una straordinaria colonna sonora, curata da Philip Glass.

Koyaanisqatsi non è un film ordinario e, probabilmente, non lo si potrebbe nemmeno definire “film”. Oltre a non avere dialoghi, non ha neppure una trama. Ha solo una storia da raccontare attraverso filmati reali, una storia vera che appartiene a tutti gli uomini dell’era moderna.

JUHA

AKI KAURISMÄKI, 1999

Juha è una pellicola molto particolare, proveniente dalla Finlandia. Il regista Aki Kaurismäki ha riadattato un romanzo del 1911 di Juhani Aho, ambientandolo negli anni ’70 e traendone un film muto e in bianco e nero, anche se supportato dalla presenza di didascalie. La storia è quella di un triangolo amoroso conclusosi tragicamente e potrebbe risultare un po’ indigesta alla nostra sensibilità. Juha rimane comunque il film godibile e un ottimo modo per accostarsi a realtà del cinema europeo meno conosciute.

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Marja è sposata con Juha, un uomo buono, ma molto più anziano di lei. I due conducono una tranquilla vita di campagna, ma Marja non è felice. Così, quando il ricco e bello Shemeikka giunge alla loro fattoria, la giovane si lascia irretire dai suoi modi seducenti, fino a convincersi a lasciare il marito e seguire l’amante nella grande città. Qui la attende una brutta sorpresa: Shemeikka è il capo di una gang criminale e vuole costringerla a prostituirsi nel bordello gestito da sua madre. Juha, innamorato della moglie, non si arrende e parte a sua volta nel tentativo di salvarla. Alla coppia, però, non è riservato un lieto fine.

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Fonte: www.leninimports.com

THE ARTIST

MICHEL HAZANAVICIUS, 2011

Immancabile in una rassegna di film muti moderni è The Artist, capolavoro del 2011 premiato con innumerevoli riconoscimenti internazionali, tra cui cinque Oscar, tre Golden Globe e sette BAFTA; a questi si aggiunge il premio per la migliore interpretazione maschile, assegnato al protagonista Jean Dujardin al Festival di Cannes 2011. Come L’ultima follia di Mel Brooks, a cui viene spesso (infelicemente) paragonato, The Artist è un omaggio, sincero e appassionato, a un cinema ormai scomparso: quello dei primi decenni del ‘900, che ha formato generazioni di attori e registi.

Protagonista di The Artist è un grande divo dei film muti, George Valentin (Jean Dujardin), carismatico, ottimista, affascinante. La sua carriera è in rapido declino, soprattutto dal momento che si rifiuta di recitare nei nuovi film con il sonoro. Al contrario, la stella di Peppy Miller (Bérénice Bejo), attrice minore e sua grande ammiratrice, è in continua ascesa. Tra i due c’è da subito una grande attrazione, ma i loro destini professionali divergenti e l’orgoglio di George rischiano di mandare a monte un amore che potrebbe essere perfetto. Innumerevoli i richiami ai grandi del secolo scorso – non soltanto quelli muti – in una pellicola che lascia incantati.

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Fotogramma di The Artist (2011)

BLANCANIEVES

PABLO BERGER, 2012

Chiudiamo la rassegna con il più recente film muto europeo, diretto dallo spagnolo Pablo BergerBlancanieves è, come si può capire dal titolo, una storia tratta dalla celeberrima fiaba dei fratelli Grimm. Come The ArtistBlancanieves è muto e in bianco e nero, ma pur subendo la concorrenza del film di Hazanavicius risulta da esso completamente diverso. D’altra parte, Blancanieves era nato molti anni prima, ma ha potuto trovare realizzazione solo grazie ai finanziamenti di uno studio di produzione francese. Nessuno di quelli spagnoli si è sentito di correre un tale rischio. La pellicola, tuttavia, ha ottenuto non poco successo e dieci premi Goya, il principale riconoscimento cinematografico spagnolo.

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Fotogramma di Blancanieves (2012)

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Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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