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ROGIER VAN DER WEYDEN, Dittico della Crocifissione, olio su tavola, 1450-55, Filadelfia, Philadelfia Museum of Art

Ai piedi della croce:
iconografia della Pietà /3

9 minuti di lettura

Il nostro percorso attraverso uno dei temi più importanti dell’arte cristiana – la Pietà – continua. Nella seconda tappa di questo viaggio affronteremo le opere Crocifissione di Nicola Pisano e il Trittico della Crocifissione di Roger Van der Weyden.

ROGIER VAN DER WEYDEN, Deposizione, 220×262, olio su tavola, 1433-35 ca., Madrid, Prado

ROGIER VAN DER WEYDEN, Deposizione, 220x262, olio su tavola, 1433-35 ca., Madrid, Prado
ROGIER VAN DER WEYDEN, Deposizione, 220×262, olio su tavola, 1433-35 ca., Madrid, Prado

Ancora Rogier Van Der Weyden, con quello che è considerato il suo capolavoro. Si tratta anche di questo caso di uno scomparto centrale di quello che doveva essere un polittico e ha una forma particolare, che ricorda una “t” rovesciata con l’asta verticale piuttosto bassa. Si suppone che lateralmente dovessero esserci dei pannelli che potevano essere chiusi e aperti in occasione delle processioni.

Originalissima è la messa in scena della deposizione di Cristo perché Van Der Weyden accalca tutte le figure che si occupano di questa operazione in uno spazio ristretto e tridimensionale ma insolito, che ricorda un po’ uno stipo, sembrano schiacciati in un cassetto ribaltato in verticale. Dentro questo spazio ristretto, al centro c’è sempre Cristo, che ormai è stato completamente staccato dalla croce, ha il braccio destro che pende verso il basso e che nell’iconografia cristiana è chiamato il braccio della morte. La posa è esattamente la stessa rispetto a Maria, in basso vestita di blu e svenuta. Anche lei ha il braccio della morte che pende verso il basso e l’altro che invece viene sorretto da una delle donne.

Il viso di Maria è pallido, addolorato letteralmente, come racconta lo Stabat Mater. Questo modo di riflettere fisicamente la stessa postura del Cristo morto deposto nella figura di Maria è un altro modo per comunicare l’empatia, questo vincolo affettivo sentimentale strettissimo che lega la madre al figlio. Tutte le altre figure, che hanno atteggiamenti molto naturali, in realtà sono collocate con uno studio accurato dal punto di vista compositivo. La figura di San Giovanni che si china in avanti è speculare alla figura dall’altra parte che è la Maddalena, entrambi racchiudono la scena.

La Maddalena tra l’altro compie un gesto che ancora una volta è un’invenzione dell’autore: intreccia le dita e alza le braccia portando i gomiti all’altezza delle spalle. Questo gesto esprime un dolore incommensurabile che non si riesce a trattenere, e diventerà un gesto consueto nell’iconografia cristiana ma di fatto è Van Der Weyden a presentarlo per la prima volta. Il ritmo compositivo è dato da altre due figure che invece sono ricche nell’abbigliamento e fanno da cornice alla figura di Cristo e ne focalizzano l’attenzione.

ROGIER VAN DER WEYDEN, Dittico della Crocifissione, olio su tavola, 1450-55, Filadelfia, Philadelfia Museum of Art

ROGIER VAN DER WEYDEN, Dittico della Crocifissione, olio su tavola, 1450-55, Filadelfia, Philadelfia Museum of Art
ROGIER VAN DER WEYDEN, Dittico della Crocifissione, olio su tavola, 1450-55, Filadelfia, Philadelfia Museum of Art

Un’altra opera attribuita a Van Der Weyden, nel periodo post Roma. È una doppia tavola in cui inserisce, isolata, la figura di Cristo in croce, e dall’altra i personaggi comprimari della crocifissione, Maria e San Giovanni. Ad accomunare le due tavole è il drappo rosso che fa da fondale per entrambe le scene che è reso con una cura lenticolare tipica della pittura fiamminga. Sono addirittura dipinte le pieghe, come se la stoffa fosse fresca di bucato e appena spiegata per questa sacra rappresentazione. Ed è nuova anche la scelta di ritrarre Maria che sta per perdere i sensi, con gli occhi semiaperti e le mani raggelate dal dolore. San Giovanni da solo allontana Maria dalla croce per non farle più vedere quello strazio. Questa scena è assolutamente nuova nell’iconografia sacra.

MASACCIO, Trinità, 317×667, affresco, 1427-28, Firenze, Santa Maria Novella

MASACCIO, Trinità, 317x667, affresco, 1427-28, Firenze, Santa Maria Novella
MASACCIO, Trinità, 317×667, affresco, 1427-28, Firenze, Santa Maria Novella

Masaccio è il protagonista del primo Rinascimento fiorentino, insieme a Brunelleschi, architetto, e Donatello, scultore. Questa è un’opera monumentale che si trova in Santa Maria Novella, voluta da una committenza privata che anche in questo caso si fa ritrarre nella scena sacra. Si tratta di due coniugi fiorentini, due ricchi mercanti, i coniugi Lenzi, che si fanno ritrarre lui a sinistra e lei a destra, inginocchiati in preghiera di fronte alla scena che apparentemente è naturale e credibile, ma che in realtà rappresenta il concetto della Trinità.

Masaccio riesce a tradurre visivamente il valore e la verità di questo dogma cristiano attraverso un percorso figurativo concreto e comprensibile. Il percorso ideale per arrivare alla visione della Trinità parte dal basso. In una sorta di trompe-l’oeil, in basso è raffigurato un sarcofago dipinto su cui è sdraiato uno scheletro. Al fondo del sarcofago, un’iscrizione nella lingua volgare dell’epoca: è la morte stessa che parla e dice «Io fui quel che voi siete, voi sarete quel che io sono». Un memento mori, un ammonimento per ricordare che è bene non attaccarsi troppo alle cose terrene perché quello è solo un passaggio per la vita eterna.

Saliti i gradini della base, si entra in un’architettura classica che è costruita in modo perfetto con la prospettiva matematica e geometrica. Si pensa che quell’arcata, con quella volta a botte a cassettoni, sia stata disegnata per il Masaccio dall’amico Brunelleschi che era stato il primo grande sperimentatore della prospettiva matematica. All’interno di questo spazio illusorio, ma perfetto ed ideale, mette in scena la Trinità. Al centro, ancora una volta, un Cristo morto, ai piedi della croce Maria e San Giovanni. In alto a sorreggere la croce, ma senza fare alcuna fatica, Dio Padre che è raffigurato frontale, ci guarda, sostiene il braccio della croce ed è vestito di rosso e di azzurro, i colori simbolici che rappresentano la doppia natura. La colomba c’è, è la macchia bianca tra Dio e Cristo, che sembra quasi un colletto nell’abito del Padre, con le ali aperte e il becco puntato verso Cristo.

La Maria del Masaccio è davvero fuori dall’ordinario, è una donna anziana, non è idealizzata come nella tradizione, ma è una donna che ha veramente sofferto il dolore per la morte del figlio. Lo si vede dal viso segnato, dalle occhiaie, dalla bocca stretta che non saprebbe più trovare parole per quello strazio, e lo sguardo che si rivolge verso di noi. Contemporaneamente, indica con la mano il figlio, e sia lo sguardo che il gesto della mano sono un segno di offerta, quindi traduce le parole della liturgia: «Prendete e mangiatene tutti, questo corpo è offerto in sacrificio per voi». Ci dichiara il senso di quella morte, di quel sacrificio.

A lezione di Storia dell’Arte con la prof.ssa Daniela Olivieri • Cengio (SV), 3ª Stagione Culturale

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Lorena Nasi

Grafica pubblicitaria da 20 anni per un incidente di percorso, illustratrice autodidatta, malata di fotografia, infima microstocker, maniaca compulsiva della scrittura. Sta cercando ancora di capire quale cosa le riesca peggio. Ama la cultura e l'arte in tutte le sue forme e tenta continuamente di contagiare il prossimo con questa follia.

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