Perché ricordiamo certe cose e ne dimentichiamo delle altre? Cosa ne è dei pensieri, delle immagini che scordiamo? Vengono riposti in qualche angolo del nostro cervello, di noi, pronti a essere rispolverati quando meno ce l’aspettiamo oppure scompaiono per sempre? Queste sono solo alcune delle domande alla base di Album, monologo portato in scena da Nicola Borghesi e dalla compagnia bolognese Kepler-452, al Teatro SanbàPolis di Trento l’11 e 12 marzo.
Un album di oggetti e memorie
La mente è un luogo affascinante e misterioso del quale sappiamo ancora incredibilmente poco, non solo da un punto di vista scientifico. Noi stessi sappiamo poco della nostra stessa mente, non la possiamo controllare completamente e capita, a volte, che questa non funzioni più come dovrebbe e come ha sempre fatto. Capita, e capiterà sempre di più secondo la scienza, che qualcuno, un giorno, inizi a perdere i propri ricordi. E non sappiamo perché.
Forse è anche per questo che noi esseri umani ci circondiamo, chi più chi meno, di oggetti che ci ricordino qualcosa: una fotografia, un pupazzo di quando eravamo piccoli, una radio e i cd che le abbiamo fatto consumare; una vecchia poltrona alla quale siamo affezionati forse senza nemmeno un reale motivo, semplicemente perché è sempre stata lì, in quell’angolo del salotto, e sarebbe strano e un po’ malinconico non vederla più, non potercisi più raggomitolare dentro a leggere un libro.
Ma cosa succede quando un’onda improvvisa distrugge e porta via tutti i nostri oggetti e i nostri ricordi?
Con la voce appassionata ed emozionata, Nicola Borghesi accompagna il pubblico partecipe in una narrazione che si fa racconto personale e collettivo, oltre che pensiero introspettivo. Attraverso storie individuali raggiunge la profondità di ciascuno, divertendo ed emozionando a livello viscerale. In un’alternanza sapiente e travolgente di comicità e dramma, brutalità e raffinatezza, Borghesi intreccia i fili di realtà e situazioni singolari, ma comprensibili e condivise da molti, se non da tutti. La malattia di un genitore che in poco tempo arriva a scordarsi il nome dei figli. La tragedia di un’alluvione che in poche ore spazza via gli oggetti accumulati per anni nelle cantine e le vite, i ricordi legati a essi. Dal cervello allo stomaco, passando per il cuore, i polmoni, gli occhi e le orecchie, il viaggio intrapreso da chi si è accomodato su una delle sedie della scena è un tumulto di emozioni e pensieri che raramente si ha l’occasione di vivere così in profondità.
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Immersi nella scena
Quella che viene elaborata in Album, dunque, è una riflessione ampia sulla memoria. Riflessione portata in scena grazie anche a un gioco di supporti ed escamotage molto interessanti e particolari. Una serie di vecchie televisioni, per esempio, mostrano ora le immagini dell’alluvione in Emilia, ora dei brevi video documentari sulle anguille, o ancora la presa diretta della scena che lo spettatore sta osservando dal vivo e in cui è immerso. Alcuni album e fotografie vengono mostrati a qualcuno del pubblico chiedendo di riconoscere i soggetti ritratti, come se la persona coinvolta dovesse sapere e in realtà non ricordasse. Un vecchio giradischi suona la musica dei film di Fellini e della famiglia Casadei.
È (anche) grazie a questo apparato tecnico sofisticato, eppure mai artificioso, che Album riesce a uscire dalla semplice narrazione e si trasforma in un’esperienza diretta e coinvolgente per gli spettatori, immersi e trasportati da un flusso oscillante di parole, immagini, sensazioni e musica verso una presa di coscienza e consapevolezza intima e comune.
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