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Anteo Zamboni | Uomini in rivolta

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9 minuti di lettura

Il 31 ottobre 1926 un 15enne spara al Duce in visita a Bologna. Le pallottole del giovane Anteo Zamboni non uccideranno Mussolini ma cambieranno le sorti del regime.

Gli scontri interni al fascismo

Mussolini, nel 1926, era al potere da ormai 4 anni. Era uscito indenne dalla sfida con le opposizioni: ora doveva affrontare la sfida più difficile, quella interna. Molti, infatti, all’interno del movimento fascista non gradivano la svolta istituzionale del regime e volevano tornare al fascismo delle origini, quello delle squadracce e dell’olio di ricino. Il fascismo stava, come si diceva all’epoca, incominciando a mettere le ghette. Si preparavano le parate al passo dell’oca, in cui si accostava il duce agli imperatori e si usava solo il “romano” voi. La fazione guidata dal terribile ras di Cremona, Roberto Farinacci, si opponeva a tutto ciò e portava avanti una spietata opposizione interna a Mussolini. Tra i componenti di questa fazione c’era anche Leandro Arpinati, squadrista di Bologna.

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Squadristi

La posizione di Mussolini

Mussolini aveva usato ma non amato lo squadrismo e le camicie nere. Non aveva neppure partecipato alla marcia su Roma (arrivò a cose fatte in vagone letto). E, allo stesso modo, lo squadrismo aveva usato Mussolini come capo carismatico, ma aveva sempre nutrito i suoi sospetti sul futuro Duce. E ne nutrì ancor di più nel momento in cui il Duce iniziò a optare per una svolta normalizzatrice e istituzionale del fascismo. Mussolini fece “pulizia” dei vecchi ras come Farinacci, che, all’indomani del processo per il delitto Matteotti, si ritrovò destituito dalla carica di segretario del PNF. Il fascismo era insomma in una “crisi di evoluzione” interna.

I fascisti bolognesi prima dell’attentato impiccano un fantoccio per intimorire gli eventuali attentatori. Sul cartello i nomi di coloro che avevano attentato a Mussolini fino ad allora: Zaniboni, Gibson, Lucetti, Capello

Anteo Zamboni prima dell’attentato

Anteo Zamboni era nato a Bologna l’11 aprile del 1911 dal Viola Tabarroni e dal padre Mammolo, tipografo ex anarchico convertitosi per ragioni di opportunità, insieme all’amico Leandro Arpinati, al fascismo. Il ragazzo aveva svolto un’infanzia normale senza dare particolari segni d’intelligenza (tanto che era soprannominato il patata). Aveva due fratelli maggiori, Assunto e Ludovico, e una grande origine: era infatti discendente di Luigi Zamboni, patriota che organizzò una rivolta nella città di Bologna finendo poi ucciso in carcere. A lui c’è chi attribuisce addirittura l’invenzione del tricolore. Proprio a causa della sua scarsa intelligenza molti hanno dubitato che fosse il 15enne Zamboni l’artefice dell’attentato al Duce (in primis Lina Wertmuller, che si ispirò all’episodio per il Film d’amore e d’anarchia).

Anteo Zamboni con la famiglia
La famiglia Zamboni: Anteo al centro, il padre in alto a destra e la madre al suo fianco

L’attentato di Anteo Zamboni

La sera del 31 ottobre 1926 il Duce si recava in macchina verso la stazione centrale per prendere il treno per Roma. La folla era entusiasta e gettava dalle finestre fiori sull’auto guidata proprio da Arpinati. Mussolini era venuto lì per inaugurare il nuovo stadio e celebrare, pure se in ritardo, l’anniversario della marcia su Roma e ora si apprestava a tornare a Roma. Quell’anno Mussolini aveva già subito due attentati e la tensione tra i fascisti che avevano organizzato il servizio d’ordine era alle stelle. Tutto però era andato per il meglio. Fino a che l’automobile non svoltò all’angolo tra via Rizzoli e via dell’Indipendenza. Sotto il primo portico un ragazzino si fece strada e sparò. Il rumore riecheggiò nell’aria e Mussolini si ritrovò la fascia dell’ordine mauriziano e il bavero della giacca perforati dal proiettile di Zamboni. La folla impazzì. Un tenente di fanteria, Carlo Alberto Pasolini (padre di Pier Paolo), bloccò Zamboni. Gli arditi lo presero e lo massacrarono con 14 pugnalate. Quando Zamboni era già morente lo spogliarono e gli spararono un colpo di pistola.

Anteo Zamboni (11 aprile 1911 – 31 ottobre 1926) | Sisohpromatem ...
Il corpo massacrato del giovane Anteo. Evidenti le pugnalate

Le indagini

Il tribunale speciale per la difesa dello Stato aprì un fascicolo. Si indagò ufficialmente solo sulla famiglia di Zamboni, che si pensava avesse istigato il ragazzino. Ufficiosamente però si fecero le pulci anche ad Arpinati e Farinacci: si pensava che il vero attentatore fosse un uomo di Arpinati. Effettivamente, stando a quanto riporta l’avvocato della famiglia Zamboni ci furono delle incongruenze nella versione ufficiale: il revolver di Anteo infatti sembrava essere stato ritrovato ancora carico. In ogni caso le indagini, per ovvi motivi, non proseguirono (per ordine del Duce stesso) e ci si limitò a condannare a 30 anni di prigione i genitori (poi graziati da Mussolini nel 1932 grazie all’intercessione di Arpinati).

Ma le ombre sul caso non si sono ancora dissolte: se il sospetto di un complotto è legittimo, bisogna ammettere però che i quaderni di Anteo dimostravano chiaramente le sue idee e intenzioni politiche. Secondo chi scrive comunque l’ipotesi del complotto fascista non è logicamente credibile: uccidere il Duce avrebbe significato un periodo di anarchia dal quale i gerarchi non sarebbero usciti tranquillamente. Inoltre è impossibile che l’OVRA (che pedinava tutti i gerarchi, specie quelli dissidenti) non sapesse niente di un complotto così grande e studiato o non dicesse niente al suo capo. La verità, probabilmente, però la sapeva solo Anteo e, come disse lo stesso De Felice, non la conosceremo mai. Ad ogni modo, comunque la si voglia vedere, quel che è certo sono le conseguenze del gesto di Zamboni.

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Le conseguenze

Mussolini stava attuando un piano ben studiato: fondere la sua persona e il regime fascista con lo Stato. Cioè rendere il fascismo non più solo un’idea all’interno di uno Stato, ma lo Stato stesso. Non rendere cioè possibile nessuna alternativa: la sua morte doveva essere la morte dello Stato e la sua vita la vita dello Stato. Il potere doveva essere nelle mani di gerarchi e ministeri a lui strettamente legati. Tutto doveva organizzarsi in modo da essere riconducibile alla sua figura. E l’attentato di Anteo Zamboni fu un’ottima occasione per inasprire ancor di più le regole liberticide. Si decise infatti subito dopo quel tragico 31 ottobre 1926 la reintroduzione della pena capitale, l’istituzione del tribunale speciale, lo scioglimento di tutti i partiti politici (eccetto, è chiaro, il PNF) e la decadenza di 123 deputati aventiniani. Qualunque sia la verità, quello che di certo si può dire è che Zamboni fu una delle troppe vittime del fascismo e un simbolo dei suoi contrasti. E ricordarlo fa bene, specie al giorno d’oggi.

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Con Uomini in Rivolta raccontiamo i gesti che hanno cambiato il corso della storia. Perché dietro quei gesti ci sono quasi sempre delle ragioni, dei fatti e delle vite. Questo vogliamo raccontare: personaggi, contraddizioni, fatti e vite di epoche più o meno lontane partendo da un punto di vista insolito.

 


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