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Arnold de Vos

Arnold de Vos: la lingua poetica del sesso

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10 minuti di lettura

Arnold de Vos è un poeta migrante omosessuale, nato in Olanda nel 1937. Tre aggettivi lo definiscono in un climax di elementi contraddistintivi. Primo è poeta, in quanto tale utilizza la lingua poetica per esprimere sé stesso e ciò che lo circonda – il mezzo è la parola, parola italiana che è la lingua del migrante, dell’uomo trasmigrante, dall’Olanda, alla Tunisia, fino a Trento. Ultimo è il tema attraverso cui la parola si espleta, l’eros e l’amore, la bassa corte dell’amore (acquista). O ancora meglio, un Amore senza impiego (acquista).

Retrocesso ad autore di nicchia, inspiegabilmente poco conosciuto, merita invece un posto di onore in tutte quelle letterature che, per cause di forza maggiore, diventano minoritarie. In primo luogo, in quella della letteratura migrante – si intende di autori stranieri che, migrando dal paese di origine, scrivono nella lingua del paese di arrivo – e, in secondo luogo, ma non meno importante, in quella della letteratura omosessuale.

Da Merore o un amore senza impiego:

Le mie zampe sul tuo ventre
aggrediscono quello che vorrei mio:
la tua bella fonte
capace di lavarmi
il peccato con il peccato
sì da sentirmi puro dopo
l’abluzione del corpo
con la stimolante bellezza dell’impurità.

Sesso percepito e accolto come peccato. Zampe feroci, sineddoche di istinti bramosi e animaleschi, che del ventre e basso ventre aggrediscono la carne. Aggiunge: «il peccato con il peccato». Il rapporto di de Vos con l’amore omoerotico e con il sesso è subalterno a quello che è il sentimento amoroso per antonomasia, incontro e scontro. Conflittuale in lui ogni rapporto che il suo corpo e il suo essere instaurano con la terra e con l’uomo circostante – conflitto con la terra natia, con la terra di passaggio e quella di arrivo, uomo senza dimora, viandante sull’oceano di luoghi e culture che si incontrano e da cui lui raccoglie i frutti di un’esperienza che lo redime e allo stesso tempo fortifica. Conflittuale è l’amore verso il sesso obliquo, speculare a lui. Ventre contro ventre. Uomo contro uomo. Lotta per il piacere finale.

Da Vertigo:

Mi sveglio in te, che torreggi controluce
e adombri il sole, carne
che cavalchi la criniera tra pube e ombelico
parapetto di pelle alla ritrosia del sangue
a volare in mio onore, aquilone
legato al filo dello scroto danzi e fai vento
sulla rètina della mia bonaccia
che trova in te la pace dell’ozio
e della bella forma imbonitrice
della mia bocca, che ancora non osa
decollare quando atterri
e cielo e terra si fondono
nella liquorizia spassosa dei nostri giochi.

Enjambements che creano l’attesa erotica dell’amplesso, il momento subito prima e il momento subito dopo, culminante. Il verso libero di de Vos si intreccia con la libertà dell’atto sessuale, è climax di tensione, albeggia e schiarisce, luci e ombre, opacità e calore accecante. Ma è un gioco, il gioco del sesso che è incontro vorace di corpi, ed irrompe nella «pace dell’ozio», rinuncia alla calma placida per diventare ascesa di passione.

Passione dionisiaca, risultato di una cultura omoerotica che ha le basi nella Grecia antica.

La lingua greca divide l’amore per significati specifici:

Agape è il sentimento amoroso, quella che per de Vos è la bassa corte dell’amore:

Tutto fa corpo, a vent’anni come a settanta: l’attesa, la vana attesa, il tradimento temuto, realizzato, la riconciliazione, il desiderio rinnovato all’infinito come fosse un perpetuum mobile. Tutto fa anima: la felicità dell’attesa, la pena della vana attesa, l’assenza, la presenza, l’incontro fortuito, l’impossibilità di vedersi. La bassa corte dell’amore ne inventa sempre un’altra per unirci, per separarci corpo e anima.

Amore che è sentimento puro, quasi religioso, profondo e immateriale, che nulla ha a che vedere con la carnalità, ma tutto con l’anima.

Eros è invece la passione amorosa, che è desiderio carnale. In de Vos esplicato in tutte le sue sfaccettature, nell’amore carnale verso l’oggetto del desiderio, maschile o femminile che sia per lui è indifferente perché la passione non ha sessualità ma è solo desiderio animale, amore carnale verso sé stesso, che è desiderio grezzo, fine a sé  stesso, rimembranza della passione primaria.

La pietra filosofale

Sotto la stufetta elettrica sospesa a mezz’aria
il tuo bottone: anche nelle giornate di caldo
hai freddo e bisogna far salire
la febbre da sesso, ne sei malato
anzi la tua anima chiede con insistenza
di non guarire, e s’agglutina sul lenzuolo
la tua stalagmite tormentata dal föhn
nell’antro stretto fra le gambe
ove il sole non arriva se non nella forma d’una mano
che ti piace immaginare cristallina,
lo stillicidio di te stesso
che tra i tanti alambicchi reali e immaginari
ti premia di più, come la parola
alla fine del lungo corpo a corpo con la poesia

La scrittura di Arnold de Vos è mezzo espressivo che racchiude il significato della sua esistenza: la perenne tensione verso l’oggetto del desiderio, il piacere anelato e poi raggiunto, la conflittualità tra la ragione e la follia amorosa, la ricerca della redenzione e, ancora di più, la ricerca di un significato. Diventa improvvisamente introspettivo, utilizza toni sacrali, volge all’Uomo la domanda prima sul perché, al Creatore che è immagine indefinita nella moltitudine. Metafisica è la sua ricerca di quiete e serenità, interiore in primo luogo, quindi esterna quando è anima migrante, di luogo in luogo, di cultura in cultura. 

Arnold de Vos

Desiderio essenziale 

[…]

preghiera con o senza religione, 
l’attenzione rivolta al corpo 
amato si avvicina al sacro
con gli impliciti comandamenti:
voler aderire, condividere, gioire
insieme del bene dato, incontaminato 
da precedenti vie della conoscenza
che la carne offre a sostegno della spiritualità.

[…]

Così l’incontro con l’oggetto del desiderio è parallelo alla ricerca del significato. L’amplesso erotico conduce al sapere onnicomprensivo. La ricerca è destinata al piacere culminante, la conoscenza.

Ma Arnold de Vos è uomo senza risposte e sul concludersi della sua parola poetica le domande non raggiungono risposte. 

Arnold de Vos

Vita intermittente

I miei 69 anni danno l’addio all’amore e non vogliono
separarsi da esso. Ho puntato su questo bene anche nel male, 
e adesso dolora
questo lato della mia persona. L’alternativa è 
fissare il soffitto, proiettarsi in un pezzo di cielo. 
La finestra è aperta, ma non ho voglia 
di guardare le stelle. L’insonnia presenta gli anni in iscorscio,
m’infilo nel loro intrico. Fino a un brusco risveglio, 
e la sensazione di non aver dormito. 

Anche nella ricerca ultima di redenzione, i peccati maggiori non può e non vuole rinnegarli: «Segami la mano, Dio / se ha fatto male. Se ti ha fatto male. Ha stretto falli e rosari, scambiando gli uni per gli altri / nella cappella di cappelle e preghiere. Ma non è blasfemia se lodo le tue opere, Signore». 

Si può avere fede anche attraverso la passione. Si può chiedere perdono nonostante il desiderio. Sfrontato e crudelmente dettagliato nell’esprimere il suo sentimento, Arnold de Vos è poeta tout court. Metafisico, ebbro della dottrina della metempsicosi, ci guida in un ingarbugliato reticolo di store vissute, osservate, vagabondo nel mondo, vicino a culture distanti, distante da amori terreni, agnostico e cinico verso una salvezza finale. «Tutto fa corpo», tutto è essenziale. La sua lingua poetica è lingua carnale e passionale. È la lingua del sesso, che è significato di tutte le cose.

 


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Giulia Lamponi

Giulia, Bologna, studentessa di Lettere Moderne, amante della letteratura, aspirante giornalista. Ogni tanto scrivo, ma più che altro penso.

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