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Avremo sempre Casablanca

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«Due cliché ci fanno ridere. Cento cliché ci commuovono. Perché si avverte oscuramente che i cliché stanno parlando fra loro e celebrano una festa di ritrovamento». Umberto Eco scrisse queste parole in un suo saggio, pubblicato poi nella raccolta Dalla periferia dell’impero (1977). Riguardavano uno dei film americani più amati: Casablanca. Pochi giorni prima che Eco ne scrivesse, la celebre pellicola era stata trasmessa in televisione e aveva riscosso uno straordinario successo. Oggi, a 74 anni dal suo approdo sui grandi schermi americani (26 novembre 1942) e a 70 dall’arrivo su quelli italiani (4 ottobre 1946), Casablanca continua ad essere un grande classico, un irrinunciabile must per qualsiasi cinefilo.

1942. Lasciamo da parte l’Europa in guerra e l’America ancora sconvolta dall’attacco giapponese a Pearl Harbour, avvenuto quasi un anno prima. L’occhio del regista Michael Curiz si rivolge a Casablanca, la bella città marocchina dove gli effetti della guerra sono ingombranti ma non catastrofici.  Qui giungono migliaia di francesi in fuga dal loro Paese ormai occupato dalle truppe naziste, nel tentativo di raggiungere Lisbona passando dal Marocco, per poi imbarcarsi verso gli Stati Uniti, terra promessa di libertà e di nuovi inizi. Ma la tragedia dei profughi europei è mitigata dall’atmosfera tranquilla di Casablanca, che è governata da funzionari fedeli alla filo-nazista Repubblica di Vichy ma desiderosi di mantenere almeno una pace apparente.

È in questa atmosfera che si inserisce una delle storie d’amore più romantiche di Hollywood: quella fra Rick Blaine e Ilsa Lund, interpretati rispettivamente dalla coppia d’oro Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Nato a Parigi e bruscamente interrotto dall’improvvisa sparizione di lei, l’amore dei due protagonisti si rinnova a Casablanca sulle note di As time goes by suonata da Sam, il fedele pianista del locale di Rick. Ma Ilsa non è giunta in Marocco sola: con lei c’è il marito, Victor Laszlo, un leader della resistenza cecoslovacca fuggito dai campi di concentramento. I due sono alla disperata ricerca di un modo per raggiungere l’America e mettersi al riparo dalla Gestapo che li insegue. Ma che ne è stato dei “giorni di Parigi” di Rick e Ilsa?

Sullo sfondo si intreccia una vicenda dai toni noir: due emissari tedeschi sono stati uccisi e le due lettere di transito che erano con loro – unico mezzo per poter lasciare in sicurezza il Marocco – sono scomparse. Un trafficante riesce a impossessarsene con l’intento di venderle al miglior offerente e viene arrestato, non prima di aver affidato i preziosi documenti a Rick. Le vicende di tutti i personaggi ruotano attorno a quelle lettere: ognuno di loro è disposto a qualsiasi cosa per aggiudicarsele e conquistare la propria libertà.

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Ilsa chiede a Sam di suonare “As Time Goes By”, la canzone che le ricorda Rick

Casablanca è un grande classico del cinema hollywoodiano, abbiamo detto. Eppure si tratta di un film abbastanza mediocre (nel senso che si attesta su un livello medio); se fosse stato girato oggi, la critica lo avrebbe distrutto e non certo per la mancanza di effetti speciali. La storia d’amore di Rick e Ilsa è una romantica favola e, in quanto tale, è in effetti banale. Le frasi del film divenute celebri suonano piuttosto stucchevoli, degne del miglior bigliettino trovato nei cioccolatini («Baciami, baciami come se fosse l’ultima volta!»). Sono inoltre presenti diverse falle nella sceneggiatura, primo fra tutti lo statuto del Marocco, salutato fin dall’inizio come “Francia non occupata”. Più volte i personaggi parlano di Casablanca come una sorta di territorio franco, dove i funzionari tedeschi o francesi filo-nazisti non possono arrestare a loro piacimento gli oppositori del regime. Altre volte, tuttavia, sembra di capire che il potere dei tedeschi sia maggiore di quanto dovrebbe essere in un Paese neutrale.

Casablanca, però, presenta due particolarità che lo rendono unico nel suo genere. Primo: è ambientato nello stesso anno in cui è stato prodotto. Secondo: è un film di propaganda, realizzato in tempi record per convincere il popolo americano della necessità di intervenire nella Seconda Guerra Mondiale. Nel 1942 molti americani erano ancora convinti che gli Stati Uniti dovessero tenersi fuori dal conflitto o concentrarsi per lo più sul fronte giapponese per vendicarsi dell’attacco a Pearl Harbour. La guerra in Europa non toccava particolarmente le coscienze. Tra il 1941 e il 1945 il Governo americano si impegnò in un’azione di propaganda, che coinvolse anche Hollywood, per convincere la popolazione che la lotta al nazifascismo era universale e che l’America doveva essere schierata in prima linea.

Così, come ha osservato Umberto Eco, Casablanca diventa un calderone di cliché. E, se una o due banalità sarebbero risultate solo fastidiose, molte banalità lo hanno reso una sorta di super-film, che contiene tutti quelli che sono venuti prima e dopo di lui. C’è un’ambientazione esotica e affascinante, l’Africa del nord, che popola le fantasie degli spettatori d’oltreoceano e ospita persone provenienti da ogni parte del mondo che cercano di raggiungere – guarda il caso – proprio l’America. Ed è qualcosa che ogni spettatore poteva vedere con i propri occhi, uscendo dal cinema e imbattendosi in profughi di tutte le nazionalità. C’è il patriottismo, così caro agli americani, che si esplica bene nella scena in cui il canto dei tedeschi viene sovrastato dalla Marsigliese cantata a squarciagola dai francesi nel locale di Rick e dal grido «Libertà!».

Ci sono personaggi animati da sentimenti così nobili che quasi ci viene voglia di insultarli. Perfino il marito di Ilsa, che ci piacerebbe immaginare pieno di ogni difetto o almeno in preda a una folle gelosia, è al di là della perfezione. C’è l’immancabile storia d’amore, travolgente e triste come solo Hollywood riesce a farle. Ed è una storia d’amore di cui, fino alla fine, non si riesce a prevedere il finale. Non tanto per l’originalità della vicenda, quanto perché a causa della rapidità della realizzazione fino all’ultimo il regista davvero non seppe come far finire il suo film. E questo ha permesso a Ingrid Bergman di rendere la sua Ilsa innamorata tanto di Rick quanto di Victor perché né lei né Ilsa sapevano chi sarebbe stato scelto.

«Here’s looking at you, kid. We’ll always have Paris»

 

Silvia Ferrari

Classe 1990, nata a Milano, laureata in Filologia, Letterature e qualcos'altro dell'Antichità (abbreviamo in "Lettere antiche"). In netto contrasto con la mia assoluta venerazione per i classici, mi piace smanettare con i PC. Spesso vincono loro, ma ci divertiamo parecchio.

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