Gatti arte

Breve storia dei gatti nell’arte

Dall'antichità ai giorni nostri: il fascino felino raccontato attraverso secoli di espressione artistica

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Eleganti, imprevedibili e indipendenti, i gatti hanno da sempre affascinato l’essere umano; basti pensare che la loro domesticazione ebbe inizio 12.000 anni fa nella Mezzaluna Fertile per poi diffondersi grazie all’homo sapiens in tutto il resto del mondo.

Nel corso dei secoli i gatti godettero di alterne fortune, dalla venerazione presso gli egizi alla persecuzione in epoca medievale, fino alla progressiva nobilitazione nel corso dei secoli.

Da sempre presenti nella rappresentazione artistica in tutti i loro aspetti, da predatori ad animali da compagnia, questi piccoli felini assurgono a protagonisti assoluti dei quadri nell’Ottocento.

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Le origini: dall’antico Egitto al Medioevo

Venerati dagli egizi come piccole divinità, i felini venivano mummificati e sepolti insieme ai loro padroni, oltre ad essere rappresentati attraverso sculture e affreschi.

Divenuti simbolo di protezione per via delle loro abilità di cacciatori e predatori, i gatti avevano una funzione pratica importante: tenere lontani roditori e rettili dalle riserve di grano, contribuendo dunque alla sicurezza alimentare della popolazione.

La loro importanza nel Pantheon egizio è testimoniata dalla dea Bastet, spesso raffigurata come una donna con testa di gatto, protettrice dei felini e del focolare domestico, il cui culto era particolarmente sentito nella città di Bubasti, dove è stata rinvenuta un’intera necropoli di gatti.

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Rappresentazione della dea Bastet

Un atteggiamento simile è attestato anche presso i romani, che assimilarono il culto della dea Bastet. Sebbene non divinizzati come in Egitto, i felini godettero di una discreta fortuna in età romana, al punto che vennero importati da diversi paesi e fatti incrociare per generare nuove razze. Tra le prime opere d’arte romane raffiguranti i gatti si annoverano alcuni mosaici, come quello rinvenuto nell’atrio della Casa del Fauno di Pompei, raffigurante un gatto intento a cacciare una quaglia.

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Mosaico dell’atrio della Casa del Fauno di Pompei, Museo archeologico Nazionale, Napoli
Fonte: Wikipedia.org – Pubblico dominio

In epoca medievale i gatti persero il loro status a causa dell’associazione tra gatto e stregoneria perpetrata dalla cultura cristiana, impegnata in una fase di demonizzazione delle tradizioni e dei rituali pagani, come sottolineato dallo zoologo ed etologo Desmond Morris, autore del più completo studio dedicato all’argomento, I gatti nell’arte:

I bigotti di ogni religione hanno spesso utilizzato l’astuto espediente di trasformare in cattivi gli eroi altrui per soddisfare i propri scopi. Così, ad esempio, l’antica divinità con le corna che proteggeva le antiche culture fu trasformata nel malvagio diavolo del cristianesimo e il felino, sacro e venerato nell’antico Egitto, divenne il diabolico gatto stregone dell’Europa medievale. Spesso le nuove religioni condannarono automaticamente molte cose considerate sacre da precedenti fedi religiose. In questo modo iniziò il capitolo più oscuro del lungo rapporto tra il gatto e l’umanità.

Il gatto nell’arte moderna e contemporanea: una rivalutazione

Lo stigma dell’epoca medievale si estende anche all’epoca rinascimentale dove i gatti, sebbene non più perseguitati, continuano ad avere una valenza negativa nell’arte, come simbolo di lussuria, tradimento e inaffidabilità, spesso contrapposti ai cani, emblema della lealtà e della fedeltà coniugale. Nella rappresentazione iconografica dell’Ultima cena, ad esempio, il gatto è spesso rappresentato ai piedi di Giuda, presagio visivo dell’imminente tradimento.

Tuttavia, non mancano rappresentazioni neutrali, come il gatto in fuga nell’Annunciazione di Recanati di Lorenzo Lotto, elemento di dinamismo volto a sottolineare la concitazione del momento, o positive, come gli studi anatomici di Leonardo da Vinci, che definisce il più piccolo dei felini come «un vero capolavoro».

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Lorenzo Lotto, Annunciazione di Recanati (1534 ca), Museo civico Villa Colloredo Mels, Recanati
Fonte Wikipedia.org – Pubblico dominio

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Nel Seicento il gatto inizia a comparire nelle nature morte olandesi come simbolo di tentazione nei confronti dei piaceri materiali, ma anche come elemento di quotidianità nella rappresentazione di scene famigliari in interni domestici, in particolare nella pittura fiamminga, come nel dipinto di Jan Fyt, Natura morta con gatto.

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Jan Fyt, Natura morta con gatto (1640-1655), Pinacoteca di Brera, Milano
Fonte: https://mmg.inera.it/frontend/pinacoteca-di-brera © 2017 Pinacoteca di Brera

Il secolo dei Lumi ha portato un cambiamento nella percezione del gatto, che diventa simbolo di razionalità e intelligenza, caratteristiche particolarmente apprezzate dai filosofi illuministi come Diderot e Rousseau, che vedevano gli animali come parte di una comunità naturale da studiare e osservare. Voltaire, in particolare, amava ospitare nella sua dimora numerosi gatti, contribuendo ad accrescere il rispetto per i felini tra le classi intellettuali.

Tra Settecento e Ottocento il gatto diventa, dunque, animale di compagnia prediletto di artisti, letterati e poeti, che ne esaltano qualità come individualismo e indipendenza, al punto che il poeta maledetto per eccellenza, Charles Baudelaire, lo omaggia attraverso la sua poesia.

Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
trattieni le unghie della zampa,
e lasciami sprofondare nei tuoi begli occhi striati
di metallo e d’agata.

Dal punto di vista artistico il gatto diventa per la prima volta protagonista delle tele, non come divinità o simbolo, ma nel suo nuovo ruolo di animale domestico, spesso immortalato in compagnia di bambini, come nel dipinto Julie Manet- ou l’Enfant au chat dell’impressionista Auguste Renoir.

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Auguste Renoir, Julie Manet- ou L’enfant au chat (1887), Musèe d’Orsay, Parigi
Fonte: Wikipedia.org – Pubblico dominio

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I gatti erano particolarmente in voga nella Francia fin de siècle, epicentro delle nuove tendenze artistiche, al punto da divenire il simbolo del più raffinato locale parigino, Le chat Noir, ubicato nel quartiere di Montmartre sede di spettacoli di cabaret e prolifici incontri tra artisti e scrittori, la cui iconica locandina vede protagonista un gatto nero stilizzato su sfondo arancione.

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Théophile Alexandre Steinlen, Tournée du Chat Noir de Rodolphe Salis (1896)
Fonte: Wikipedia.org – Pubblico dominio

Nel 1891 il ritrattista austriaco Carl Kahler ha immortalato ben quarantadue gatti nella tela dall’ironico titolo Gli amanti di mia moglie, ovvero 42 degli oltre 300 gatti di proprietà della milionaria americana Kate Birdsall Jhonson, impiegando oltre tre anni per studiarne le pose e le attitudini e ricevendo un lauto compenso di 5.000 dollari per il dipinto.

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Carl Kahler, My Wife’s Lovers (1893), Portland Art Museum, Portland
Fonte: Wikipedia.org – Pubblico dominio

Dal Novecento ad oggi i gatti continuano ad essere amatissimi nel mondo dell’arte, quasi si fosse creato un sodalizio tra quest’ultimi e i piccoli felini, ritratti, ad esempio, dall’artista americano Andy Warhol in una serie di disegni realizzati negli anni Cinquanta, e da Jeff Koons negli anni Novanta nella scultura in polietilene Gatto su una corda da bucato, una rappresentazione tenera e kitsch perfettamente in linea con lo stile dell’artista.

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Arianna Trombaccia

Romana, classe 1996, ha conseguito la laurea magistrale con lode in Storia dell'arte presso l’Università La Sapienza. Appassionata di scrittura creativa, è stata tre volte finalista al Premio letterario Chiara Giovani. Lettrice onnivora e viaggiatrice irrequieta, la sua esistenza è scandita dai film di Woody Allen, dalle canzoni di Francesco Guccini e dalla ricerca di atmosfere gotiche.

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