C’è stato un tempo in cui la città era un vero e proprio teatro dell’eros: il brivido dell’incontro fortuito al bar, la tensione sessuale che esplodeva nei corridoi degli uffici, gli sguardi rubati sui mezzi pubblici. L’urbanità diventava così complice del desiderio, perché si poneva come una rete di occasioni, di stimoli, di ruoli e fantasie.
Basti pensare a Parigi negli anni della Bohème, la scena techno di Berlino, New York negli anni Settanta; la città era uno spazio erotico, perché si poteva esprimere la libertà individuale e collettiva.
Il filosofo Walter Benjamin la descriveva come un luogo della shock experience, dove ogni incontro poteva essere il pretesto di un sogno erotico, di una sorpresa.
Oggi, invece, la città è diventata un ambiente sorvegliato, ansioso, compromesso. Gli spazi pubblici sono colonizzati da videocamere, da luoghi chiusi come i centri commerciali, dove tutto è soltanto un passaggio distratto e dove ognuno focalizzato solo nella propria individualità ha perso la capacità di accorgersi degli stimoli che provengono da ciò che ha intorno.
Estate bollente, libido congelata
In estate si assiste all’esasperazione di questa situazione. Le strade e i luoghi della città si sovrappopolano di turisti, afa, suoni e odori. Con l’innalzamento delle temperature, cresce anche il malessere del corpo: questo, da essere il protagonista incontrastato dell’eros, entra in difesa, cercando isolamento. Il senso del tatto si ritira, il desiderio si iberna.
Nel saggio La società della stanchezza, il filosofo Byung-Chul Han afferma che l’iper-stimolazione sensoriale e questa corsa alla positività ostentata portano gli esseri umani al burnout percettivo. Pertanto anche l’eros si dissolve quando tutto diventa prestazione.
Per questo, in estate la città si trasforma in un paradosso, perché è quel momento dell’anno in cui da una parte il corpo si scopre di più e anche quello il contatto diviene inviso e insostenibile.
Inoltre, le dating app come Tinder, Bumble e Grindr sembrano rendere l’incontro più accessibile ma, soprattutto nei grandi centri il loro uso esaspera questa sensazione di disponibilità illimitata che, spesso, non corrisponde all’effettiva realtà delle cose. L’incontro con l’altro, ridotto ad uno swipe, si trasforma letteralmente in mero consumo.
Il sociologo Zygmunt Bauman parlava di relazioni liquide, perché appunto instabili, revocabili e totalmente superficiali. In estate nelle città iper-connesse, ciò che resta è una liquidità divenuta ormai stagnante, in cui tutto scorre, ma senza toccarsi per davvero. E così una potenziale e percepita abbondanza diventa disillusione.
In sintesi, in città ci sono tanti match ma poco eros.
Solitudini e corpi disertori
A questa situazione di disagio, si aggiunge il fatto che sempre più persone vivono da sole, in monolocali compressi, con aria condizionata e spesso senza balconi o spazi aperti. In tal modo, le occasioni di incontro si appiattiscono completamente: co-working silenziosi, bar troppo o troppo poco affollati, parchi bollenti o poco sicuri, anche a causa di una criminalità e di un malessere sociale crescente. Lo psichiatra Franco Basaglia ricordava che «la libertà è terapeutica», sebbene sia proprio questa che manca nelle città di oggi, la libertà dello sguardo, dell’attesa, della sorpresa. E tutto questo non fa altro che inaridire l’eros.
Eppure, in tutto questo, qualcosa si muove ai margini. Ci sono persone che decidono di fuggire per riappropriarsi di quella libertà di cui si diceva poc’anzi: prendono case al mare o in campagna per i mesi più caldi, si rifugiano in eventi e festival, organizzano rave e meditazioni nei boschi, alla ricerca di spazi erotici dove il tempo non è lineare o scandito dai ritmi del lavoro, ma dove si può danzare, si può parlare, può capitare di toccarsi.
Non a caso il filosofo Giorgio Agamben, riprendendo anche il pensiero di Michel Foucault, ha scritto che il potere contemporaneo cerca di «governare la nuda vita e di neutralizzare così ogni forma di esperienza viva e vissuta». L’eros invece è proprio un’antitesi a tutto questo, perché è pratica viva, pura, piena, ma soprattutto bisognosa di presenza tangibile alla costante ricerca di ritrovare la strada di casa. È ciò è necessario che avvenga non nei bar di tendenza, ma nei corpi che furtivi desiderano l’incontro, non nelle case, ma davanti ai crepuscoli, tra la natura, tra la gente, in piena libertà.
La città invivibile è anti-erotica
Una città invivibile è quindi una città anti-eros. Per salvare il desiderio bisogna pensare a nuove forme dell’abitare, del muoversi, di organizzare gli incontri, restituendo così all’eros tempi e luoghi che un tempo lo vedevano al centro dell’azione.
Finché non si saprà ricreare una dimensione erotica, che mette al centro lo scambio con l’alterità, le città continueranno a essere luoghi affollati da corpi disincarnati e sicuramente non basterà il caldo a risvegliare il desiderio.

Questo articolo fa parte della newsletter n. 52 – luglio/agosto 2025 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:
- La città d’estate, ovvero la morte della morte di G. Fava
- Storia di sopravvivenza urbana di E. Fioletti
- Città deserte: l’estate urbana nel cinema italiano di S. Racco
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- Scappare dalla città: «As you like it» di Shakespeare di M. Giardini
- Calore in città e freddo a letto: in estate lo spazio urbano uccide l’eros di A. D’Eri Viesti
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