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Caparezza e il suo colloquio con se stesso in «Una chiave»

8 minuti di lettura

Caparezza è un cantante spesso identificato con il genere del rap, anche se non è una definizione esatta. Perfino parlare di cantante è limitante. Si tratta, innanzitutto di un cantautore. Su cantautorato e letteratura tanti sono i dibattiti, tanti gli studi e le ricerche in cui ci si chiede quanto il cantautorato debba entrare nell’ambito letterario. È naturale che in molti potrebbero storcere il naso nel vedere che in un articolo non “mainstream”, si parla di lui o di qualche altro cantante, proprio in virtù di questo dibattito sempre acceso.

In generale, è bene ricordarci che certe canzoni sono, di fatto, poesie. Nel caso di Caparezza, la cura soprattutto linguistica che si evince dai suoi testi ha spinto addirittura a studiarlo in alcune Università, ad esempio presso l’Università degli studi di Palermo.

Giochi di parole, un uso tutto particolare dei nomi e la meticolosità con cui compone i testi hanno reso Caparezza un oggetto di studio interessante per ricerche di linguistica e non solo. Non mancano, inoltre, in copiosa quantità i riferimenti letterari e culturali nelle canzoni del riccissimo cantante, alcuni esempi banali: Dagli all’untore che si riferisce a I Promessi Sposi, Argenti vive che cita in toto la Commedia di Dante, ecc. ecc.

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Nel caso specifico, non si vuole trattare di una di queste famose citazioni, bensì riprendere una canzone in particolare che costituisce un dialogo dell’autore con se stesso. Anche qui possiamo sentire un’eco della grande letteratura, se pensiamo a quanti romanzi si basano su un colloquio e se pensiamo che i famosi Pensieri di Marco Aurelio hanno come titolo anche Colloqui con se stesso. Così, in una nota autobiografica Caparezza parla con il se stesso del passato.

Ti riconosco dai capelli, crespi come cipressi
Da come cammini, come ti vesti
Dagli occhi spalancati come

I libri di fumetti che leggi
Da come pensi che hai più difetti che pregi.

Così inizia la canzone Una chiave di Caparezza, tratta dall’album Prisoner 709. Un disco fortemente introspettivo e di riflessione del cantautore con se stesso, una riflessione costante che si disgrega in diverse canzoni, ma in maniera più intensa che mai in Una chiave.

Trovare una chiave significa tante cose. Trovare una soluzione, una via d’uscita, sappiamo tutti che è tramite una chiave che apriamo una porta banalmente, ed in questo caso si apre la porta dell’interiorità del protagonista a noi. La chiave è, in questo testo, la possibilità di accettarsi, di poter uscire fuori da se stessi e comprendersi. La struttura della canzone è molto semplice: il ritornello si ripete in continuazione con quel  «no non è vero, che non sei capace, che non c’è una chiave!» Ed è poi sfalsato da strofe lunghe che narrano il passato del protagonista.

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Caparezza in Una chiave parla col se stesso giovane, descrive uno scenario fatto di insicurezza, bullismo, inadeguatezza e paura. Adesso che è grande, l’artista vorrebbe donare al se stesso adolescente la consapevolezza dell’esperienza per non sentirsi più così, per non sentire il peso dello scherno degli altri, per non nascondersi dal mondo.

Lo abbiamo davanti questo ragazzino con i maglioni larghi, i capelli crespi e quei fumetti che gli salvano la vita poiché forse gli permettono di evadere da una realtà che non gli piace, quel Mezzogiorno in cui di solito c’è il sole, ma che lui percepisce come freddo e colmo di neve.

Viene dipinto il quadro drammatico di una vita difficile da vivere, come un film a cui si assiste da spettatore e si tace ed in questo frangente il riferimento al “mondo meraviglioso”, quella classica frase che quando siamo in difficoltà ci propinano un po’ tutti:« Sorridi che la vita è bella, il mondo è bellissimo», ecc.. Ma in Una chiave Caparezza sconfigge questi luoghi comuni che per i nostri drammi personali non sono mai sufficienti con una semplice e poetica frase: «chi dice che il mondo è meraviglioso non ha visto quello che ti stai creando per restarci». Ciò che si è creato è un mondo di ansia costante, portata come una zavorra da una mente distrutta dai pensieri, i quali vengono paragonati ad un labirinto senza pareti.

È nel bel mezzo di questo quadro così desolante e triste che però troviamo il famoso ritornello, quel messaggio di speranza che poi man mano arriverà alla conclusione del brano. Nell’ultima strofa dal dramma personale si arriva a parlare della lotta, della resistenza, di quelle «lunghe corse, unghie morse e lune storte». Vi sono tantissimi riferimenti astronomici nella canzone, che dalle lune storte esorta poi il se stesso con cui parla a prendersi il cosmo.

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La cura formale del brano Una chiave di Caparezza è efficace come accade per i testi del cantautore, che da un punto di vista linguistico incrociano rime e giochi di parole ricercati e complessi. L’introspezione psicologica che si disgrega in questo ventaglio di sfumature nella forza della parola ci mostra il grande sforzo personale ed emotivo che Caparezza ha compiuto nel parlare di sé e con sé.

Non può tornare indietro e non può parlare con quel ragazzino, ma può accantonare il passato e continuare a lottare, tenendo a mente ciò che ha vissuto. Nel video ufficiale, vediamo proprio lui ragazzino insieme a quello che noi tutti conosciamo ed è tramite lui che capisce che la chiave è proprio questa: andare avanti. Un insegnamento che incoraggia quanti di noi abbiano provato la tremenda sensazione di sentirsi inadeguati.

 


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Immagine in evidenza di Monelle Chiti – Flickr, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=14538927

Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. È docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale e critica musicale. Ha pubblicato un saggio su Oscar Wilde e la raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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