Nell’aprile del 1980, James Bernauer, un giovane gesuita, aprì a Michel Foucault (1926-1984) le porte della biblioteca del Centre Sèvres, a Parigi. In una sua testimonianza, Bernauer racconta con umorismo come Foucault evitò gli scaffali dedicati alla teologia dogmatica per dirigersi direttamente verso i testi di teologia morale. I lettori di Foucault sanno che il cristianesimo non lo interessava tanto per la sua teologia quanto per la sua vasta letteratura morale, che spaziava dai testi magistrali dei Padri della Chiesa ai semplici trattati anonimi sulla vita cristiana. Mentre percorreva gli scaffali del Centre Sèvres, il filosofo si apprestava ad affrontare una vastissima mole di letteratura cristiana in un modo rivoluzionario, continuando al contempo a leggere i testi di filosofia dell’antichità.
Se il periodo 1980-1984 segna l’impegno più evidente di Foucault in questo colossale compito, non è la prima volta che il cristianesimo come matrice morale viene affrontato nella sua opera. Già in Storia della follia nell’età classica (1961) si parla di cristianesimo: esso è determinante nella formazione dello Stato e del soggetto moderni, ma al tempo stesso è superato e tradito dalla stessa modernità. Il cristianesimo, osserva Foucault, è all’origine della pratica dell’internamento dei folli, poiché nei testi dei predicatori la follia è sempre segno di debolezza morale. Tuttavia, il cristianesimo offre anche un altro sguardo sulla follia: il folle è anche il povero glorificato dai Vangeli.
Dieci anni dopo Storia della follia e dopo le opere di ispirazione strutturalista come Le parole e le cose (1966), l’ambizione di tornare all’analisi delle pratiche e delle forme di vita – e non solo dei discorsi – porta Foucault a esplorare un corpus sempre più vasto. Si interessa inizialmente alla confessione cristiana e al tipo di rapporto con sé stessi che essa comporta (Gli anormali, corso al Collège de France, 1974-1975). Nel corso degli anni, sviluppa tesi fondamentali sull’invenzione cristiana della carne e del desiderio (Storia della sessualità, vol. 1: La volontà di sapere, 1976), sulla natura pastorale del governo cristiano e sui suoi effetti sulle tecniche moderne di governo (Sicurezza, territorio, popolazione, 1977-1978). Ma è nel 1979 che Foucault sorprende i suoi ascoltatori portando Tertulliano, Cassiano e Clemente di Alessandria sulla scena del Collège de France. Da quel momento, il cristianesimo assume tutta un’altra dimensione nella sua opera.
Dal 1980 al 1984, questi riferimenti si moltiplicano. Nell’estate del 1979, Foucault fa della biblioteca del Saulchoir il suo luogo di lavoro. Una foto lo ritrae al suo tavolo, circondato da libri di patristica che costituiranno la base dei suoi corsi al Collège de France fino al 1984 e degli ultimi due volumi di Storia della sessualità. Attraverso l’analisi di testi come Il Pastore di Erma o il Trattato sulla verginità di Gregorio di Nissa, Foucault riporta alla luce opere dimenticate e le fa rivivere con stile vivace e con evidente piacere. Il filosofo continua così il suo studio sulla costituzione del soggetto moderno, distinguendo i rapporti con sé sviluppati nell’antichità e nel cristianesimo fino a individuare un autentico “regime di verità” cristiano, che mette in evidenza la diversità delle esperienze cristiane e dissolve la visione monolitica del cristianesimo.
L’ultimo corso di Foucault, Il coraggio della verità (1983-1984), esplora l’uso cristiano del termine greco parrêsia, che indica la libertà di parola, la franchezza. Foucault evidenzia la vicinanza tra la filosofia cinica e un certo cristianesimo audace, veritiero, che non si preoccupa delle mediazioni del confessore, del direttore spirituale o della Chiesa, ma instaura tra il credente e il suo Dio un rapporto diretto, asimmetrico ma reciproco. Già in Sicurezza, territorio, popolazione (1977-1978), Foucault aveva analizzato le “contro-condotte” suscitate dal cristianesimo, che spesso sovverte i propri stessi principi: l’ascetismo, la vita comunitaria, la mistica, il ritorno alla Scrittura, l’escatologia sono tutte tattiche che sfidano la pastorale. Traducendo il termine parrêsia con “il coraggio della verità”, Foucault resta filosofo, trasformando questo concetto antico in una virtù moderna e in un’etica incarnata da alcune pratiche cristiane nella storia.
Il cristianesimo appare così come fonte di una libertà inedita, non per i suoi dogmi o la sua teologia, ma per le pratiche che ha generato. Per Foucault, non esiste un’ideologia cristiana, e ancor meno un giudeo-cristianesimo, ma piuttosto molteplici modi di vivere la fede cristiana. I commentatori amano individuare un “ultimo Foucault”, di volta in volta greco, cinico o liberale. Non si tratta di proporre un “Foucault cristiano”, ma di segnalare un’evoluzione che lo conduce dall’analisi del cristianesimo come guscio dello Stato moderno coercitivo e punitivo a quella delle pratiche cristiane come esperienze di libertà e di verità.
Fino al 1984, la libertà cristiana assume due forme: quella negativa dell’elusione dell’imperativo moderno della confessione, e quella positiva dell’esposizione di sé alla verità e all’alterità (Il coraggio della verità). Questa forma cristiana di vita libera occupa Foucault negli ultimi mesi, se non nelle ultime settimane della sua vita. Purtroppo, non ha avuto il tempo di sviluppare pienamente le sue ultime intuizioni, che si avvicinavano alle preoccupazioni di alcuni suoi contemporanei, come Emmanuel Levinas, Jacques Derrida e Gilles Deleuze. Il suo approccio, però, si distingueva per l’attenzione alla storia e alla lettura dei testi della tradizione. Soprattutto, tale approccio lo condusse a delineare i tratti di un’etica “della rivolta”, ben diversa dall’etica “dell’uso dei piaceri”, a cui si è spesso ridotto il suo pensiero, accusandolo talvolta di estetismo – accusa che i suoi ultimi corsi smentiscono.

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