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Con la chiusura di cinema e teatri stabilita dall'ultimo DPCM, il comparto culturale italiano rischia di chiudere e non riaprire più.

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Era nell’aria da qualche giorno, e alla fine è arrivata. Parliamo della decisione del premier Giuseppe Conte e del ministro Roberto Speranza di sospendere l’attività di teatri, cinema e sale concerti dal 26 ottobre al 24 novembre, al fine di contenere la diffusione del Covid-19. La misura è prevista dall’ultimo DPCM, datato 24 ottobre, che all’articolo 1, comma 9, lettera m), recita testualmente che «sono sospesi gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto». Restano invece aperti, come specificato alla lettera r), i musei, gli istituti e «altri luoghi della cultura», a patto che siano garantiti accessi contingentati «o comunque tali da evitare assembramenti di persone e da consentire che i visitatori possano rispettare la distanza tra loro di almeno un metro».

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Secondo uno studio presentato l’anno scorso (ma riferito al 2017), in Italia il comparto culturale con il relativo indotto arriva a contribuire fino al 16,6% del PIL, dando lavoro a più di un milione e mezzo di persone. Non parliamo di briciole, insomma. Ma al di là dell’atavico sottoriconoscimento del valore della cultura – a livello di spesa pubblica, nel 2018 si investivano in “Attività culturali” circa 5 miliardi di euro, con un peso sul PIL pari allo 0,3% – c’è da dire che negli scorsi mesi, quando durante l’estate il virus ha parzialmente allentato la sua morsa, teatri e cinema hanno messo in campo un grandissimo sforzo per adeguarsi alle stringenti normative, proprio per poter continuare a restare aperti in sicurezza. A differenza di quanto avvenuto in altri contesti. E, proprio quando le attività stavano iniziando a rialzarsi con fatica, ora si ritrovano costrette a dover chiudere di nuovo, con il concreto rischio di non riuscire a riaprire più.

Certo, il ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini, ha espresso «dolore» per la chiusura di teatri e cinema, aggiungendo che si lavorerà affinché «la chiusura sia più breve possibile». Il ministro ha anche aggiunto che «come e più dei mesi passati sosterremo le imprese e i lavoratori della cultura». L’augurio è che sia davvero così, perché il nuovo provvedimento rischia di distruggere per sempre un settore che è da tempo in grande difficoltà, nonostante la sua importanza e il suo valore.

La domanda che ci permettiamo di porre però è: davvero non esistevano alternative? Come dicevamo in precedenza, il mondo culturale negli scorsi mesi ha effettuato uno sforzo gigantesco per garantire la massima sicurezza. Non possiamo né potremo mai sapere con certezza quali sono i luoghi dove si rischia maggiormente di contagiarsi. Tutti i luoghi chiusi sono potenzialmente pericolosi, come affermato in uno studio della scorsa primavera. Però non si capisce perché teatri e cinema vengano chiusi, mentre invece i luoghi di culto (indicati tra i luoghi più rischiosi) rimangono aperti, e il lavoro a distanza negli uffici è solo «fortemente raccomandato» e non invece reso obbligatorio, così come avviene con la didattica a distanza integrata nelle scuole (e, anche qui, si potrebbe aprire un capitolo a riguardo).

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Insomma, una Messa a quanto pare è più importante di un film. È una scelta legittima, per carità; ma è anche una scelta che dice tanto sulle priorità del nostro Paese. E, se proprio dobbiamo dirla, le religioni non rischiano di fallire se rimangono chiusi i luoghi di culto per qualche mese. Mentre tutto il settore culturale, già provato dalla chiusura della primavera, probabilmente ha ricevuto il colpo di grazia con questa scelta.

Ai lavoratori dello spettacolo e della cultura va tutta la nostra solidarietà. Per quanto possibile, come Frammenti Rivista cercheremo di tenere viva la fiammella della cultura – noi, che viviamo solo online, possiamo permettercelo – e cercheremo di dar voce e aiutare a emergere, per quanto possibile, tutte le iniziative alternative che verranno prese dagli operatori del settore nelle prossime settimane.

Comprendiamo e condividiamo appieno la necessità di tutelare la salute pubblica. Ma non si capisce perché, come sempre, debba essere la cultura a pagare il prezzo più alto.

 


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Michele Castelnovo

Classe 1992. Laureato in Filosofia. Giornalista pubblicista. Direttore di Frammenti Rivista e del suo network. Creator di Trekking Lecco. La mia vita è un pendolo che oscilla quotidianamente tra Lecco e Milano. Vedo gente, scrivo cose. Soprattutto, mi prendo terribilmente poco sul serio.