Le origini del teatro occidentale per come lo conosciamo oggi risalgono al V secolo a.C. in Grecia dove si disputavano le Grandi Dionisie. È proprio dal contesto di queste festività che traiamo notizie sulla produzione e organizzazione degli spettacoli teatrali.
Gli autori che desideravano partecipare si rivolgevano all’arconte. L’arconte selezionava tre autori […] e nominava i coreghi, scegliendoli tra i cittadini ricchi che dovevano assumersi a turno le spese delle produzioni teatrali come dovere civico1.
Storia del teatro, Oscar G. Brockett, Marsilio Editori, 2016
Dunque avere l’onere di produrre uno spettacolo teatrale era considerato un dovere civico dei coreghi. In questa sede non si vuole consigliare di riportare questo metodo di produzione in auge, ma si porta all’attenzione il valore per la cittadinanza che il teatro possedeva.
Andare a teatro nella polis
È stato calcolato che i sedili di pietra del theatron potevano contenere complessivamente dalle quattordicimila alle diciasettemila persone. Ciononostante solo una piccola parte della popolazione poteva assistere alle rappresentazioni, infatti nella seconda metà del quinto secolo a.C. l’Attica contava da centocinquantamila a duecentomila abitanti. Quindi, anche se il teatro era aperto a tutti, soltanto un decimo della popolazione poteva essere presente.
Ibidem
Prosegue il manuale di Storia del teatro: «Per garantire a tutti la possibilità di assistere agli spettacoli, intorno al 450 a.C., Pericle creò un fondo statale che sovvenzionava l’acquisto dei biglietti per i meno abbienti».
Dunque non solo produrre gli spettacoli era un dovere, ma anche vederli era fortemente incentivato dalle autorità statali. Cosa è giunto di tutto questo fino a noi?
Andare a teatro oggi
Per quanto lo possa sembrare, la situazione non è così drammatica (basandoci sul report SIAE 2023):
Ciò che è certo è invece che lo spettacolo, l’intrattenimento e lo sport sono segmenti economici e sociali densi di opportunità di crescita e di cambiamento per il Paese, e che il pubblico italiano è finalmente tornato ad abitare i luoghi dello spettacolo in piena presenza.
Dal report SIAE 2023
Il bilancio dell’affluenza a teatro è positivo: «La crescita dell’indicatore in questo settore è riconducibile principalmente all’aumento della spesa media unitaria, nel 2023 pari a 16,45 euro (+7% vs 2019) e, in minima parte, all’incremento della partecipazione».
Si noti però come ci sia stato un aumento della spesa unitaria: andare a teatro allo spettatore privato costa più di prima. Non serve il report SIAE per accorgersi di questo, basta guardare il prezzo dei biglietti. In questa sede non si vuole far polemica contro i teatri, bensì contro i governi che non investono nella cultura e nelle arti. È infatti impossibile per un teatro mantenere le produzioni senza sovvenzioni statali, e quindi aumenta il biglietto d’ingresso per incontrare le spese.
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Iniziative e offerte
Fortunatamente i teatri e il loro sistema attivano sempre convenzioni, offerte, riduzioni e pacchetti che permettono di risparmiare. Un’iniziativa che spicca nel milanese è Invito a teatro: «l’unico abbonamento in Italia che riunisce 16 teatri di produzione milanesi dando allo spettatore la possibilità di scegliere tra oltre 90 spettacoli di prosa, classici e drammaturgia contemporanea»2.
Le possibilità di risparmiare sul biglietto dunque ci sono sempre, basta essere accorti.
Se dunque le premesse sono queste, perché sembra esserci sempre crisi nel settore teatrale?
Perché non ci poniamo la domanda fondamentale: chi va a teatro?
Chi va a teatro?
Il nostro studio empirico si basa principalmente sulle sale milanesi, ma essendo la Lombardia una delle regioni con più eventi teatrali in Italia, il rapporto non dovrebbe essere altamente falsato. Insomma, chi va a teatro a Milano noterà un certo tipo di frequentatori: le persone over sessanta, a volte le scolaresche e la categoria che abbraccia la restante demografica degli addetti ai lavori.
Per amor di cronaca si generalizza, ma nemmeno di molto; la qual cosa fa riflettere sullo stato dell’economia teatrale: chi va a teatro sono principalmente coloro che lo fanno. Fortunatamente nei teatri più grandi questo fenomeno è meno preponderante, ma nelle sale più piccole e ovviamente meno conosciute ci vanno essenzialmente coloro che le cercano. Non serve spiegare perché sia necessario aprire i teatri a nuovi pubblici.
Come trovare nuovi pubblici?
La prerogativa per creare nuovo pubblico è educarlo alla visione di uno spettacolo. Meno il pubblico si sarà capace di leggere ciò che gli sta davanti, meno avrà voglia di andare a teatro. Non si parla di comprensione o immedesimazione, bensì di vera e propria lettura degli elementi: cosa potrebbero comunicare queste luci? I piani di comunicazione sono in contrasto o in assonanza? Perché?
Già saper individuare gli elementi che compongono una messa in scena permetterà agli spettatori di comprendere di più ciò che vedono.
Le iniziative che si dedicano all’educazione alla visione ci sono già, per fortuna: Il teatro tiene banco del Piccolo Teatro di Milano, Up to you festival di Qui e ora residenza teatrale per giovani under trenta, la rivista Stratagemmi Prospettive Teatrali che organizza formazione per giovani critici teatrali e i moltissimi laboratori interni alle scuole. Partire dall’educazione al teatro è il modo principe per permettere ai giovani di avvicinarsi al mondo teatrale anche come semplici spettatori, se però non vengono dati loro gli strumenti per comprendere il mezzo teatrale non ci si deve stupire che non amino parteciparvi.
E chi fa teatro?
Una volta educato il nuovo pubblico e dunque aver creato nuove opportunità di guadagno, bisogna fare teatro. A questo punto si apre di fronte a noi un’immagine non particolarmente rassicurante. Esemplifichiamo questo disagio con una semplice domanda: vi è mai capitato di leggere un annuncio di lavoro in cui veniva specificato che sarebbe stato retribuito? Ovviamente no, perché è scontato che il lavoro debba essere retribuito. Ai lavoratori dello spettacolo capita molto spesso di leggere annunci di questo genere.
Ricordiamo tutti il commento del ministro Alessandro Giuli: «Desolante chiedere soldi per intonare l’inno, tanti lo farebbero gratis»3 davanti al rifiuto del coro della Fenice di registrare ad hoc l’inno di Mameli per trentacinque euro lordi a testa per due giorni di lavoro. Dunque se tale è la pretesa per un coro come quello della Fenice, possiamo immaginare quale sia quella per tutti quegli artisti emergenti che stanno ancora cercando di avviarsi al lavoro.
Lo stato dell’arte
Il problema alla base è sempre lo stesso: fare arte non è considerato un lavoro; e non solo nella sua forma più pura, ma anche il suo insegnamento è comunque considerato come un ripiego, una mansione che prima o poi si abbandonerà. Non è giusto portare avanti la retorica del «chi ha la vocazione farebbe questo mestiere anche gratuitamente». Il lavoro artistico va retribuito. È chiaro che il problema è sempre quello: mancano i soldi.
Non possiamo in questa sede trovare la soluzione che salverà le sorti dell’arte, non ne abbiamo le capacità. Le parole di Margherita Vicario ai David di Donatello 2025 sono però il chiaro sunto del nostro pensiero: «Ma un’altra grande speranza è che i nostri rappresentanti politici investano un sacco di miliardi in arte, cultura, educazione, sanità e un pochino meno nelle armi».
Per risanare lo stato delle cose bisogna partire dall’educazione e non solo quella nozionistica. Bisogna ripartire da cosa vuol dire essere umano e il teatro e l’arte sono l’unico strumento che ancora ce lo possa insegnare. Dunque c’è bisogno di sostenere economicamente l’arte perché è necessaria, per quanto molti ancora pensino che non lo sia.
Resistenza
Nel mondo dell’arte sembra che qualcosa si stia muovendo, a partire dalle voci più influenti fino ai piccoli movimenti «dal basso», molti si sono espressi sostenendo che non si debba più accettare lo sfruttamento del lavoro artistico senza tutele economiche (salario minimo, indennità per la discontinuità).
In questo mondo capitalista il teatro è la viva testimonianza del fatto che il denaro deve essere strumento e non ultimo fine, perché in tutto quello che facciamo alla fine c’è al centro l’uomo. Se continueremo a investire denaro in ciò che distrugge l’uomo e il suo pianeta non ce ne faremo più niente di tutti quei soldi. Il teatro, con il suo essere presenza è l’unica forma d’arte che non può essere fatta da intelligenze artificiali o da schermi, c’è sempre l’essere umano di mezzo.
Perché nel nostro antropocentrismo non ce ne siamo ancora resi conto? La cultura e l’arte salveranno il mondo, continuiamo a non dare loro il giusto valore e staremo a vedere.

Questo articolo fa parte della newsletter n. 51 – giugno 2025 di Frammenti Rivista, riservata agli abbonati al FR Club. Leggi gli altri articoli di questo numero:
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- grassetto nostro ↩︎
- Dal sito dell’iniziativa ↩︎
- https://www.veneziatoday.it/attualita/giuli-contro-coro-fenice-soldi-intonare-inno.html
© VeneziaToday ↩︎