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Di rifugi autogestiti, bramiti di cervi e vallate accese di sole

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I camminatori in montagna sono uniti da uno spirito affine, e anche quando sono burberi e stanno in silenzio, alla fine tutti si rispettano, e si ammirano. C’è un modo diverso di battere le strade che salgono sulle vette: alcuni percorsi sono più impervi e solitari, altri più festosi e frequentati. Anche la meta determina la strada, e quando il punto d’arrivo è un rifugio non gestito, o chiuso, o un bivacco, la via che serpeggia più o meno ripida in quella direzione è poco percorsa dai camminatori della domenica.

Tra i sentieri che si staccano dalle pendici delle vallate in provincia di Cuneo ce ne sono molti che non arrivano a grandi rifugi ben attrezzati, ma a punti d’appoggio gestiti da persone allegre e disordinate, silenziose o chiacchierone, amanti della montagna sempre. La via che si arrampica su verso il rifugio Ervedo Zanotti nel Vallone del Piz si stacca dalla spianate del Pian della Regina, che in certe ore della mattina e della sera, nel periodo tra metà settembre e metà ottobre, accoglie i cervi che rumorosi bramiscono bramando l’accoppiamento. È un verso singolare, e a tratti minaccioso, quel grugnito convinto che fa risuonare la vallata. La strada sale ma moderatamente, serpeggiando tra gruppi di bestie bianche accese di luce.

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A metà del percorso è impiantato un larice mastodontico, che spalanca gli occhi di meraviglia. Il sole di settembre scotta, mentre l’aria frizzante punteggia le braccia di pelle d’oca. Il rifugio gestito da un belin genovese è abbarbicato su un’altura, non gravata dal rischio valanghe. Eventuali fuoristrada arrivano solo fino all’imbocco di uno stretto sentiero che poi si arrampica diritto, e consegna alla forza delle braccia qualunque provvigione ci si voglia portare. L’uomo, tuttofare che vive in solitaria da più di tre anni, vorrebbe far costruire una teleferica, ma i rischi annessi potrebbero essere consistenti. È un pezzo di uomo dalle gambe nerborute e la pelle cotta dal sole, con scritte in faccia storie di intemperie. La voce è pacata ma decisa, lenta come la montagna ma contestatrice come quella di chi ha visto la vita passagli davanti più volte.

Inizialmente è schivo, taglia la legna e sta in disparte, un muro di silenzio che ripete solo che il rifugio è chiuso. Poi si apre, e sotto il sole porta delle bottiglie luccicanti di digestivo fatto in casa. La sua accoglienza segue una legge empatica, personale, che alle volte lo ferma a parlare per ore e delle altre lo chiude, scorbutico, in un solitario rifiuto. Racconta di Genova, e dei napoletani che ci abitano per fregare i passanti. Contesta le normative, troppe restrittive su certi fronti e troppo lasche in altri. Fuma la pipa, e colora di azzurro i suoi occhi che guardano il cielo. Si alza pian piano, alla fine della conversazione, pesante dell’indolenza di chi si è divertito e non ha più voglia di tornare a lavorare.

Altri due rifugi stanno in bilico su alture, ricavate in alto, sui versanti della montagna. A Paraloup ci arriva la strada: un piccolo spiazzo con una manciata di case, il bar, la cucina, due sale espositive e due camerate. Un orgoglioso angolo di mondo, aperto sul vuoto pienissimo della vallata impervia. Un teatro che fa anche da solarium si slancia sulla vallata, e sopra di lui un ampio terrazzo gode della stessa vista mozzafiato. Nelle sale espositive a settembre sta in bella mostra una raccolta di fotografie sulla gente della montagna, quella che per scelta ha deciso di vivere le bellezze e i limiti di una condizione che un tempo era la prassi. La doccia è fatta di tre pareti e un lato scoperto sulla vallata, di fronte alla quale non esiste pudicizia. L’acqua si scalda con la luce del sole, e d’inverno la strada non è percorribile: si arriva con le “ciastre”.

Da ultimo tra i rifugi ce ne è uno alto, ma sormontato da vette ancora più alte. Le montagne sono pietrose, ma brillanti. Ogni minimo suono risuona amplificato. È gestito da una famiglia dai tratti orientali, e da un ragazzo sbarazzino, coi pantaloni larghi. Dalle 11 del mattino iniziano a cucinare, e servono pezzi di polenta e birra fresca, sudata, meritata. Sono strade poco battute dai passeggiatori della domenica, rifugi non perfettamente attrezzati, più selvaggi, ma così saporiti.

I monti in provincia di Cuneo sono la patria di camminatori, arrampicatori, alpinisti, che vogliono sentire la terra viva battere sotto i loro piedi.

Fotografia di Francesca Leali
Fotografia di Francesca Leali
Fotografia di Francesca Leali
Fotografia di Francesca Leali
Fotografia di Francesca Leali
Fotografia di Francesca Leali
Fotografia di Francesca Leali

Francesca Leali

Nata a Brescia nel 1993. Laureata in lettere moderne indirizzo arti all'Università di Bergamo, dopo un anno trascorso in Erasmus a Parigi. Appassionata di fotografia, cinema, teatro e arte contemporanea.

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