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Elcito: il fascino di un borgo
sospeso tra le nuvole

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Si contano sulle dita di una mano gli ultimi anziani abitanti del piccolo borgo di Elcito, una manciata di case di pietra abbarbicate su di uno sperone roccioso alle pendici del Monte San Vicino, la vetta più alta della dorsale orientale dell’Appennino centrale, all’interno della omonima Riserva Naturale istituita nel 2009 dalla Regione Marche. Situato a 821 metri di altitudine, Elcito deve il suo curioso nome alla fitta vegetazione di lecci, piante della flora mediterranea che si erano anticamente adattate al microclima della gola calcarea che dal paese scivola verso valle. Un paese “andino”, che non si raggiunge per caso, ma attraverso un tragitto accidentato, compensato dalla suggestione del luogo: dalla Strada Provinciale che unisce San Severino (MC) alla località di Apiro, giunti alla frazione di Castel San Pietro si devia salendo per 5 chilometri di tornanti punteggiati di casolari e ovili abbandonati, si supera il lavatoio e attraverso l’antica porta si accede alla rampa che porta alla piazza antistante la piccola chiesa di San Rocco, edificata nel Cinquecento e affacciata su un panorama mozzafiato.

Elcito - fonte: www.skyscrapercity.com
Elcito – fonte: www.skyscrapercity.com

Lo sguardo spazia sulla verdeggiante Val Fucina, regalandoci la sensazione di essere sospesi nel vuoto, di certo più vicini al cielo che alla terra. Il silenzio irreale è interrotto solo dal rumore dei nostri passi sul selciato, e dall’urlo del vento che sferza i muri delle case di pietra ormai disabitate, fa vacillare gli scuri delle finestre, sibila nei vicoli, ci asciuga gli occhi. Non vi sono negozi, neppure un bar, né ve ne sono mai stati. La comunità locale, che fino al secolo scorso contava circa duecento abitanti, è sempre stata autosufficiente. Agricoltura e pastorizia, praticate sugli scoscesi terreni affidati a rotazione alle famiglie, hanno assicurato il sostentamento della popolazione; oggi i pochi anziani che non hanno voluto abbandonare la propria terra vengono riforniti settimanalmente da un furgone frigorifero. La loro è una presenza discreta, testimoniata in inverno solo dal fumo che sale dai comignoli. Le casette addossate l’una all’altra, le finestre strette come feritoie, le porte rialzate rispetto al selciato in modo da non restare bloccate in caso di abbondanti nevicate, le strade a gradoni retrogradi per non scivolare sul lastricato ghiacciato ci riportano ad una sfida continua con gli elementi naturali e ad una spartana vita contadina alla quale pochi hanno resistito.

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Uno scorcio di Elcito – fonte: www.el-nair.com

Dobbiamo fare un passo indietro di mille anni per andare ai tempi in cui Elcito ha vissuto la sua epoca d’oro. Edificato intorno al Mille a difesa del sottostante Monastero benedettino di Santa Maria Val Fucina, di cui rappresentava l’unica impervia via d’accesso attraverso una mulattiera, nel Medioevo il castello era un centro economico e strategico di notevole importanza, sul quale i monaci avevano il totale controllo economico e giuridico. La vita del borgo era strettamente correlata al prestigio della comunità benedettina, che raggiunse agli inizi del XIII secolo la sua massima espansione, con proprietà fondiarie ed edilizie in numerosi Comuni del circondario ed il possesso di oltre 40 tra chiese ed eremi.

Abbazia di Valfucina . fonte: www.iluoghidelsilenzio.it
Abbazia di Valfucina – fonte: www.iluoghidelsilenzio.it

La diffusione degli ideali comunali rese via via insofferenti gli abitanti di Elcito nei confronti del pressante controllo monastico. Il Castello divenne oggetto di disputa tra i religiosi ed il vicino Comune di San Severino e dopo una lunga contesa legale nel 1298 i Benedettini, travolti da un tracollo economico, furono costretti a vendere il Castello al Comune. L’originario aspetto del Paese è testimoniato dal vessillo cinquecentesco che lo rappresenta con la possente porta, la cinta di mura merlate a coda di rondine, la torre di guardia, crollata poi nel 1799 in seguito ad un violento terremoto che distrusse anche il Monastero della Valfucina, del quale resta oggi solo la cripta romanica a tre navate che versa in grave stato di degrado. L’ultimo colpo al patrimonio architettonico di Elcito venne inferto dai nazifascisti, che durante il secondo conflitto mondiale distrussero il Palatium, il Palazzo dei canonici finemente affrescato che si affacciava sulla via principale, per rappresaglia a seguito del supporto logistico che la popolazione locale aveva fornito alla lotta partigiana, in particolare ai componenti del Battaglione Mario, che nel borgo avevano trovato rifugio ed un insuperabile punto di osservazione del territorio. Solo nel dopoguerra Elcito conobbe gli agi della vita “moderna”, arrivarono la strada asfaltata ed il telefono pubblico, mentre la scuola ospitava una dozzina di bambini radunati in un’unica classe. La chiusura della scuola nel 1972 segnò il definitivo declino della comunità di Elcito, numericamente sempre più esigua.

fonte: www.ilmondodellereflex.com
fonte: www.ilmondodellereflex.com

Oggi il paese durante l’inverno conta solo 7 abitanti, ma il suo aspetto non è affatto desolato. Le case sono state in buona parte restaurate dai proprietari che nel loro paese di origine hanno lasciato il cuore e in cui tornano talvolta per qualche giorno di vacanza, in particolare il 16 agosto in occasione dei festeggiamenti del Santo Patrono San Rocco; recentemente, inoltre, gli enti locali hanno stanziato fondi per migliorare l’arredo urbano. Nel 2015 Trip Advisor ha riconosciuto a Elcito il Certificato di Eccellenza, per le entusiastiche recensioni dei turisti che lo hanno visitato, e che si sono espressi nei modi più pittoreschi definendolo “Il Tibet delle Marche”. Di certo tutti hanno colto il fascino di un luogo in cui lo spazio ed il tempo sembrano dilatarsi perdendo la loro dimensione fisica e facendoci riscoprire la spiritualità racchiusa in ognuno di noi.

fonte: www.ilnidodelfalco.com
fonte: www.ilnidodelfalco.com

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Valentina Cognini

Nata a Verona 24 anni fa, nostalgica e ancorata alle sue radici marchigiane, si è laureata in Conservazione dei beni culturali a Venezia. Tornata a Parigi per studiare Museologia all'Ecole du Louvre, si specializza in storia e conservazione del costume a New York. Fa la pace con il mondo quando va a cavallo e quando disquisisce con il suo cane.

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