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Ezra Pound: dall’appoggio al fascismo alla solitudine della prigionia

13 minuti di lettura

«Ezra era più gentile e più cristiano con la gente di quanto lo ero io. La sua stessa scrittura, quando faceva centro, era così perfetta, e lui era così sincero nei suoi sbagli e così invaghito dei suoi errori, e così gentile con la gente che io ho sempre pensato a lui come a una specie di santo».

Ernest Hemingway, Festa mobile

Il poeta e saggista americano Ezra Pound (30 ottobre 1885 – novembre 1972) fu certamente uno dei maggiori protagonisti, insieme a Thomas Stearns Eliot, dei movimenti modernisti quali l’Imagismo e il Vorticismo che, in contrasto con la letteratura vittoriana, prediligevano un linguaggio di impatto e una corrispondenza tra la musicalità e lo stato d’animo che esprimeva.

Ezra Pound: la vita

Nel 1908 lasciò gli Stati Uniti per Londra dove la sua prima fase poetica, caratterizzata dai suoi interessi per la letteratura cortese e il Dolce Stil Novo, fu indirizzata dall’influenza di Ford Madox Ford e T. E. Hulme verso una forma più moderna. La Grande Guerra distrusse la fiducia che egli riponeva nella società occidentale, portandolo così a decidere di abbandonare la Londra conservatrice a favore di Parigi, che a quel tempo era una meta di grande attrattiva per gli avanguardisti. Qui frequentò Ernest Hemingway, Georges Braque, Pablo Picasso e presentò James Joyce alla proprietaria della libreria Shakespeare & Co., che nel 1922 pubblicò l’Ulisse.

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La politica e il rapporto con il fascismo

A metà degli anni Venti si trasferì a Rapallo, e, data la sua visione del mondo anti-marxista e anti-capitalista, si avvicinò al Fascismo, di cui apprezzava i provvedimenti sociali in favore dei lavoratori, le opere pubbliche e la politica economica di ricerca di una terza via tra il liberismo e il collettivismo. Poté incontrare Benito Mussolini una sola volta, nel Gennaio del 1933: in questa occasione il poeta donò al duce una copia dei suoi Cantos e gli illustrò alcune proposte in materia economica. Seguì Mussolini anche dopo la sua deposizione, aderendo come cittadino straniero alla Repubblica Sociale Italiana di Salò. Peraltro la sua ammirazione si estese anche ad Adolf Hitler e alla politica economica del Terzo Reich; mentre al contrario il suo giudizio verso gli altri statisti moderni fu particolarmente duro, in particolare nei riguardi di Winston Churchill, accusato di portare avanti una brutale politica estera e di aver fatto bombardare obiettivi non militari per fiaccare la resistenza dei nemici.

Nel 1940 iniziò a trasmettere dalle frequenze dell’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) il suo programma radio in lingua inglese – Europe calling, Ezra speaking – in cui difendeva il fascismo e accusava gli angloamericani e la finanza internazionale di aver provocato la guerra contro i paesi che si erano liberati dal giogo dell’usura. Con i suoi discorsi invitava gli americani alla disobbedienza e al tempo stesso al rispetto della costituzione, che secondo lui il presidente Franklin Delano Roosevelt stava violando. 

Tra il 1943 e il 1945 affermò l’impossibilità per gli uomini per bene ed onesti di appoggiare la corruzione e il «lerciume di Badoglio», da ciò derivo la scelta di stare dalla parte del regime che collaborava con i nazisti. In questo periodo compose due canti in italiano (il 72 e il 73 dei Canti ) che ribadivano la sua solidarietà al fascismo. Il primo di questi venne scritto in occasione della morte di Filippo Tommaso Marinetti, che viene fatto ritornare in vita per combattere ancora, e del bombardamento del Tempio Malatestiano, ristrutturato nel 1400 e simbolo dell’ideale neoclassico di rinascita, che ora, bombardato, si rianima, tanto che dappertutto sui sepolcri spuntano vessilli di vittoria:

«[…] E mi viene ora a cantar
in gergo rozzo (e non a (h)antar’ oscano) ché
dopo la sua morte mi venne Filippo Tomaso dicando:
“Bè, sono morto,
ma non voglio andare in Paradiso, voglio combattere ancora.
Voglio il tuo corpo, con che potrei ancora combattere”.
Ed io risposi:”Già vecchio il mio corpo, Tomaso
e poi, dove andrei? Io ne ho bisogno del corpo.
Ma ti darò posto nel Canto, ti darò la parola, a te;
ma se vuoi ancora combattere, va; piglia qualche giovanotto
pigiate hualche ziovinozz’ imbelle ed imbecille
per fargli un po’di coraggio, per dargli un po’ di cervello
per dare all’Italia ancor’ un eroe fra tanti;
così puoi rinascere, così diventare pantera,
così puoi conoscere la bi-nascita, e morir una seconda volta
non morir viejo a letto,
anzi morir a suon di battaglia
per aver Paradiso».

Anche nel canto 73 (pubblicato il 1 Febbraio 1945 su Marina Repubblicana con il titolo Cavalcanti-Corrispondenza Repubblicana) Pound incontra lo spirito del poeta Guido Cavalcanti. Il Cavalcanti narra della morte di un’eroina anonima, permettendo a Pound di utilizzare il genere di poesia duecentesca della pastorella per cantare l’incontro della ragazza romagnola con alcuni soldati canadesi e di innervare nel tema dell’amore quello dell’amor di patria:

«[…] Venivan’ canadesi a spugar i tedeschi
a rovinar’ quel che rimaneva della città di Rimini;
domandarono la strada per la via Emilia a una ragazza
una ragazza stuprata
po’ prima da lor canaglia
-Bè! bè! Soldati!
Quest’è la strada
andiamo, andiamo a via Emilia
con loro proseguiva.
Il suo fratello aveva scavato
i buchi per le mine, là verso il mare.
Verso il mare la ragazza, un po’ tozza ma bella,
condusse la truppa. Che brava pupa! Che brava pupetta!
Lei dava un vezzo per puro amore, che eroina!
Sfidava la morte,
conquistava la sorte peregrina».

La prigionia e i Canti pisani

Ezra Pound il giorno della cattura
Foto segnaletica di Pound scattata dai partigiani alla sua cattura. (Wikipedia)

Ma il 3 Maggio 1945 Ezra Pound, accusato di collaborazionismo e tradimento, fu arrestato dai partigiani italiani e consegnato ai militari statunitensi i quali, dopo un breve stanziamento a Genova, lo trasferirono in un campo di prigionia ad Arena Metato, tra Pisa e Viareggio, costringendolo a stare giorno e notte in una gabbia con sbarre a tutti i lati e un tetto di lamiera. Egli rimase in cella per tre settimane, ma a causa di un tracollo sia fisico sia mentale le sue condizioni si presentarono tanto gravi che fu ricoverato in infermeria, dove gli fu consentito scrivere a mano durante il giorno e usare la macchina da scrivere nelle ore serali.

Pound trascorse quei mesi componendo gli undici Canti pisani (dal 74 al 84) e traducendo Confucio. La stesura dei Canti fu occasione per il poeta di ricordare il passato trascorso a Londra, Parigi e a Venezia, rievocando nella scrittura gli amici di un tempo, ora deceduti, tra cui William Butler Yeats, James Joyce e Ford Madox Ford. Quando era in Europa, Pound si era prodigato molto per artisti e poeti, diventando per loro un fondamentale punto di riferimento. 

In particolare, il canto di apertura rievoca con un linguaggio mitologico e simbolico la morte di Mussolini e dell’amante Claretta Petacci e il conseguente disfacimento del sogno di una πόλις ideale finalmente libera dal cancro dell’usura. Per questo i Canti si aprono con la scena di piazzale Loreto, dove il cadavere di Mussolini, oltraggiato dal popolo, è immediatamente trasfigurato in un’immagine mitologica, che allude al mito di Dioniso fatto a pezzi dai Titani e resuscitato da Zeus:

«Ben e la Clara a Milano
per i calcagni a Milano
che i vermi mangiassero il torello morto».

Claretta (il cui nome luminoso richiama la claritate di Guido Cavalcanti) rievoca, invece, la figura mistica della Sponsa Christi in mosaico come quelle di Ravenna o di Santa Maria in Trastevere. Nei versi di questo canto riaffiorano e si intrecciano temi caratteristici della poetica poundiana: Odisseo, lo Stil Novo di Dante e Guido Cavalcanti, la lirica provenzale, la poesia cinese e il tema della città ideale; come si vede nel verso «Per costruire la città di Dioce che ha terrazze color delle stelle» in cui ci si riferisce sia alle città ideali del Rinascimento sia a quelle nuove volute dal Duce per i coloni contadini dopo la bonifica dell’Agro Pontino.

Ezra Pound
immagine tratta da: zonadidisagio.files.wordpress.com/2015/06/canti-pisani.jpeg

Verso la fine

Verso la fine del 1945 venne trasferito a Washington per essere processato e il giudizio, anzichè propendere verso la pena di morte, dirottò verso una diagnosi di disturbo psichiatrico: Pound venne così rinchiuso al St. Elizabeth Hospital di Washington, dove per tredici anni scrisse altre opere, lettere e ricevette molte visite di amici e colleghi importanti.

Fernanda Pivano in particolare lo incontrò una prima volta in ospedale, nel 1956, e poi a Rapallo nel 1961 e lo descrisse come «grande poeta e controverso economista dal quale ero attratta per la sua storia letteraria e respinta per le sue vicende politiche», dagli occhi penetranti come due lame e dal continuo chiacchierare, sia in italiano sia in americano, senza interrompersi, caratterizzato da una sorta di ansia che non lo abbandonò mai.

Durante il secondo incontro, però, la Pivano provò per lui tristezza, ormai aveva superato gli ottant’anni e non parlava quasi più: «se ne andò in silenzio, curvo, stanco, col fuoco spento» ; gli occhi erano taglienti, ma i suoi pensieri celati nella mente e svelati solo alla scrittura, come nell’ultimo straziante frammento dei Canti:

«Mi perdonino gli dei per ciò che ho fatto
Cerchino coloro che amo di perdonarmi ciò che ho fatto».

Nicole Erbetti

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