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«Hotel Palestine» di Falk Richter: media, menzogne e politica

7 minuti di lettura

Grande merito del festival Tramedautore (14-23 settembre) è portare a Milano testi teatrali stranieri che funzionano anche da termometro delle tendenze artistiche in fermento fuori dall’Italia, per favorire una conoscenza reciproca e costruire rapporti di collaborazione. Questa XVIII edizione, diretta da Michele Panella, si concentra su Francia, Spagna e Germania, in un momento di estrema fragilità per l’Europa e la nostra identità di europei. Il pubblico che affolla la sala del Piccolo Teatro Grassi è sempre numeroso e attento a captare i messaggi dei nostri cugini d’Oltralpe.

Siamo andati alla prima nazionale di Hotel Palestine, per la regia di Salvino Raco, con sei giovani e validi interpreti. Il testo è di Falk Richter (1969-), autore, traduttore, regista, che lavora per diversi teatri (in Germania, Svizzera, Austria, Belgio, Norvegia), apprezzato per le sue creazioni importanti nel teatro danza. È una delle voci più attive e interessanti della scena tedesca e dal 2000 regista residente presso la Schaubühne di Berlino. I suoi testi si interrogano sull’impatto dell’economia nelle nostre vite, il mondo globalizzato con le sue derive spersonalizzanti, il super-controllo del Grande Fratello in nome del mito della sicurezza. Nel 2015 alla Schaubühne il suo Fear (prosa, danza, musica, fotografie) ha sollevato un vespaio di polemiche, culminate in lettere minatorie e una citazione in tribunale (risolta con assoluzione) per la linea di critica feroce contro i populismi di destra in ascesa.

Dunque un teatro contemporaneo e politico, in cui provocazione e denuncia vogliono essere armi per risvegliare le coscienze. Hotel Palestine, scritto nel 2004 (appartiene alla tetralogia Das System) si ispira a un tragico fatto di cronaca: durante la guerra in Iraq, l’8 aprile 2003 bombe americane colpiscono a Baghdad l’Hotel Palestine, centro operativo internazionale per giornalisti e reporter, provocando numerosi morti. Un triste caso di fuoco amico o un volontario e brutale progetto di morte contro voci scomode?

Hotel Palestine di Richter illustra una conferenza stampa in cui quattro giornalisti incalzano due funzionari dell’amministrazione Bush. Dove siamo? In un non-luogo simbolo delle tante menzogne di Stato.

Fa venire i brividi la convinzione di Bob, rappresentante del governo: «Una menzogna non è tale, finché non si conosce la verità». Anzi, se qualcosa in cui si credeva con fermezza, in seguito si rivela una non-verità, non è possibile parlare di menzogna, bensì di errore. Il duello infatti è anche linguistico: la parola tortura di chi denuncia viene smussata in interrogatori mirati all’incentivazione, con metodi occasionalmente aggressivi; la precisazione richiesta sul numero dei morti viene deviata sulla compassione del presidente per i sacrifici richiesti all’armata e alle famiglie. Due dei giornalisti non si accontentano, cercano di scardinare i ragionamenti capziosi della diplomazia, ma spesso non ottengono risposte. Gli interventi sgraditi (ad esempio sugli appalti milionari e i guadagni dai pozzi petroliferi) vengono liquidati con impacciata reticenza, mentre è più facile parlare di Spot, il simpatico cane del presidente che è morto da poco.

Hotel Palestine
© Alessia Tagliabue

I due giornalisti tacciati di sterile intellettualismo di sinistra, sono indignati, amareggiati, spaventati. Denunciano anche la malattia del sistema mediatico, che ha smesso di dare vere notizie scegliendo la linea facile degli yes men. Si sta realizzando (e qui sembrano parlare all’oggi) quel fascismo soft paventato dal sociologo Richard Sennett: un fascismo che si nasconde dietro la democrazia e, facendo leva sulla paura diffusa, presenta la politica del governo come l’unica giusta e ammissibile.

Accanto all’indignazione e alla logica del sistema, c’è un terzo livello, rappresentato dai due giornalisti “integrati”, che usano il talento della penna e della parola per disegnare un quadro cinico e delirante dell’ordine mondiale. Le parti più interessanti riguardano le loro analisi sulle differenze tra America e vecchia Europa, un artefatto obsoleto. Gli europei sono travolti dalla storia, guardano sempre indietro. Ma è l’America che ha salvato l’umanità: «noi abbiamo abolito la schiavitù, abbiamo sconfitto la poliomielite ma anche Hitler, abbiamo portato l’uomo sulla Luna. E voi, che cosa avete fatto?». La malattia dell’Europa è il nichilismo, forse la colpa è stata di Kant, o forse i programmi di de-nazificazione sono andati troppo oltre, e ora perfino i tedeschi sono diventati deboli? Gli Americani invece sono il popolo forte, che crede in Dio e nella propria missione, che passa anche per la guerra. «Occorre un programma di ristrutturazione del pensiero europeo: dobbiamo conquistare i loro cuori, liberarli da strutture intellettuali obsolete e autoreferenziali».

Il nemico è ovunque, ma gli Americani sono i più forti: porteranno la luce nelle tenebre, conquisteranno il mondo e instaureranno un nuovo ordine mondiale. Con la fede si può tutto, ribadiscono in un delirio di onnipotenza. 

Assistendo ad Hotel Palestine si sorride per il candore di certe affermazioni, però si esce con un senso di amarezza. Certo, dopo gli errori di Bush, una luce di speranza è arrivata con la presidenza Obama, ma poi l’America ci ha di nuovo sorpresi con l’elezione di Trump. E la manipolazione dei media continua.

Hotel Palestine
di Falk Richter
regia di Salvino Raco
Piccolo Teatro Grassi, Milano – “Tramedautore”
18 settembre 2018

Gilda Tentorio

Grecia e teatro riempiono la mia vita e i miei studi.
Sono spazi fisici e dell'anima dove amo sempre tornare.

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