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Il fascino indiscreto della dittatura: l’erotizzazione del nazismo nel cinema italiano

Come i grandi registi italiani hanno contributo involontariamente a sedimentare l’immagine dell’italiano succube del nazismo,

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8 minuti di lettura

Il mito degli “italiani brava gente” ha avuto vita lunga (e facile) nell’ambito della cultura social-popolare del nostro Paese. Ci sono voluti anni per scardinare dalla testa del connazionale medio questo genere di convinzione e, in alcuni casi, c’è ancora molto lavoro da fare. Quello che stupisce in realtà, al di là delle storielle mistificate, è che a ben vedere la grande tradizione letteraria e cinematografica nostrana è spesso caduta vittima di quest’ingenua favola metropolitana. Autori come Roberto Rossellini e il buon vecchio Benedetto Croce –da versanti diversi, s’intende– hanno contributo involontariamente a sedimentare l’immagine parziale dell’italiano succube del nazismo, incapace di reagire dinnanzi all’orrore perpetrato durate la Seconda Guerra mondiale. Il fascismo, a volte, sembra non essere mai esistito se non nelle convinzioni di pochi fanatici: una buia parentesi insomma, da dimenticare per poter andare avanti.

La caduta degli dei, Luchino Visconti, 1969 filmscoop.wordpress.com
La caduta degli dei, Luchino Visconti, 1969
filmscoop.wordpress.com

Al di là del discorso storico-politico, quanto detto costituisce la necessaria premessa per affrontare un fenomeno curioso, legato alla Settima arte e alle sue modalità di rappresentazione. La filmografia sul nazifascismo è sconfinata ma, all’interno di questa, s’inserisce un filone particolare, da alcuni ribattezzato Porno-svastica: si tratta di pellicole operanti una vera e propria erotizzazione della dittatura, in cui elementi come il sadomasochismo e la combinazione tra perversione sessuale e nazismo/fascismo restituiscono un’immagine ancor più ambigua del potere del tempo. Da notare come, nell’ambito del cinema italiano, si sia voluto etichettare il fenomeno facendo riferimento al simbolo del nazismo, glissando forse intenzionalmente sul suo maggiore alleato di distruzioni.

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L’erotizzazione della dittatura hitleriana ha del resto radici più profonde, che affondano nel terreno di Roma città aperta del già citato Rossellini, in cui il Maggiore Bergmann è un sadico e crudele torturatore, mentre la collaboratrice delle SS Ingrid incarna la tipica femme fatale disposta a tutto pur di alimentare la propria sete di depravazione. Altera, rigida e vendicativa la donna cerca di degradare la soubrette Marina Mari, fornendole cocaina in cambio di notizie e prestazioni sessuali. Ancora una volta, dunque, i terribili mostri teutonici si macchiano del reato di circonvenzione di incapace ai danni degli italiani.

La caduta degli dei
La caduta degli dei

Proseguendo su questa linea sarebbe impossibile non citare La caduta degli dei di Luchino Visconti. Qui tutti sono bellissimi, glaciali, e assolutamente diabolici. Il film, come noto, tenta di analizzare le radici del nazismo attraverso la storia della famiglia Essenbeck, focalizzandosi sugli anni compresi tra il ’33 e il ’34. Il personaggio cardine della pellicola è Martin (l’efebico e spietato Helmut Berger), viziato rampollo di famiglia dalle perversioni spiccate. L’uomo indugia nelle molestie sessuali a danno di minori, stupra la propria madre e viene descritto dal regista come «un ragazzo degenerato» cui attribuire «perversioni sessuali per dare una sottolineatura quasi scandalosa» al nazismo che in quegli anni iniziava la sua ascesa. Visconti offre una visione di morte e sesso, di degradazione e istinti bassi, quasi a costituire un magma in cui il nazismo ribolle al fianco di cabaret erotici in cui si esibisce un Martin travestito e si consumano stupri e orge come non ci fosse un domani.

erotizzazione dittatura
Il portiere di notte, Liliana Cavani, 1974

Elementi espressi precedentemente in sordina che ora assumono il carattere tipico della rappresentazione di genere, tornando ciclicamente in altre opere dedicate al periodo, come il fantastico Portiere di notte di Liliana Cavani. Qui ci si spinge oltre, verso il non detto per timore e ritrosia, osando inserire l’argomento dei campi di sterminio in un universo di violenza diversa, erotica e sessuale. La regista, non nuova al trattamento cinematografico del Terzo Reich, afferma di voler cercare, con tale film, «una spiegazione all’ambiguità della natura umana»:

«Credo di aver trovato una spiegazione nel feticismo, nella forza del masochismo che si trova in noi, nella violenza che parte da noi […] Le divisioni SS, create per la difesa speciale, sono un’invenzione che si fonda sul travestimento, e ciò deriva dal feticismo» (Intervista su Ecran 74).

Il marchese De Sade, con il suo universo di perversioni, è per la Cavani figura chiave per interpretare l’origine delle pulsioni che spingono alla crudeltà. Ed ecco che sullo sfondo di una Vienna tetra, il portiere ex nazista Max e l’ex internata ed amante Lucia si trovano a vivere un rapporto di sesso e violenza, improntato ad una sorta di sindrome di Stoccolma simboleggiata dal bianco della veste che la ragazza indossa durante gli incontri. Nei flashback dei loro ricordi lo spettatore si trova poi catapultato in lager-cabaret in cui l’androgina Lucia/Charlotte Ramplig balla per il nemico, a petto nudo e in pantaloni con le bretelle calzando un cappello delle SS. Di nuovo il teatro, di nuovo la danza, a sottolineare, come teorizza Susan Sontag, il profondo legame tra nazismo-sadomasochismo e messa in scena istrionica. Un intenso scavo psicologico spesso criticato, da tanti additato come una mera operazione voyeuristica in cui il nazismo è visto in un intricato ma semplicistico pastiche di sesso e violenza.

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Solo successivamente l’erotizzazione della dittatura allungherà la sua ombra sul Duce e il territorio italiano. Ne sono esempi Il Conformista di Bernardo Bertolucci e Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini. Ci volevano menti geniali per allargare il raggio d’azione, era necessario guardare in casa propria per togliere la polvere da sotto il tappeto e, perché no, anche dai temibili mostri teutonici.

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Il portiere di notte

Fonte: Villa C., Una macabra danza erotica. L’erotizzazione del nazismo e del fascismo nel cinema italiano in Journal of Modern Italian Literature, I-II, 2006

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Ginevra Amadio

Ginevra Amadio nasce nel 1992 a Roma, dove vive e lavora. Si è laureata in Filologia Moderna presso l’Università di Roma La Sapienza con una tesi sul rapporto tra letteratura, movimenti sociali e violenza politica degli anni Settanta. È giornalista pubblicista e collabora con riviste culturali occupandosi prevalentemente di cinema, letteratura e rapporto tra le arti. Ha pubblicato tra gli altri per Treccani.it – Lingua Italiana, Frammenti Rivista, Oblio – Osservatorio Bibliografico della Letteratura Otto-novecentesca (di cui è anche membro di redazione), la rivista del Premio Giovanni Comisso, Cultura&dintorni. Lavora come Ufficio stampa e media. Nel luglio 2021 ha fatto parte della giuria di Cinelido – Festival del cinema italiano dedicato al cortometraggio. Un suo racconto è stato pubblicato in “Costola sarà lei!”, antologia edita da Il Poligrafo (2021).

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