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Il paesaggio nell’arte/3

12 minuti di lettura

Prosegue la nostra carrellata nella storia dell’arte, dalle testimonianze dell’epoca romana fino all’arte del ‘900 e a quella contemporanea: espressioni diverse che hanno come tema comune la rappresentazione del paesaggio, trattato, di volta in volta, nel corso dei secoli, come dato oggettivo, come simbolo – religioso o laico – oppure come stato d’animo.

LEONARDO, La Vergine delle rocce, olio su tavola trasportato su tela, 199×122, 1483-86, Parigi, Louvre

Leonardo, La Vergine delle Rocce
Leonardo, La Vergine delle Rocce

Questo è un dipinto che Leonardo realizzò a Milano, presso Ludovico Sforza detto il Moro, ed è la prima versione de La Vergine delle Rocce. I committenti, una confraternita laica dell’Immacolata Concezione, una volta visto il quadro finito, lo rifiutarono e censurarono letteralmente, perché non lo riconobbero ortodosso. Leonardo pare non abbia rispettato le prescrizioni contrattuali: si trattava di celebrare l’Immacolata Concezione di Maria. Così fa Leonardo, che però inserisce una gestualità dubbia nei protagonisti di questa scena, e soprattutto rappresenta in modo ambiguo l’angelo col mantello rosso, che sembra un essere mostruoso più che angelico: ha le ali, ma più delle ali si impone questo mantello gonfio che sembra nascondere un corpo bestiale, del quale non si capisce la posa, si intravede un piede nudo che però è troppo arretrato rispetto alla posizione che dovrebbe avere un corpo umano accovacciato. Sembrerebbe quasi più un’Arpia, quindi una figura mitologica e malefica, un demone. La gestualità rende poco chiara l’immagine. Se si doveva focalizzare l’attenzione su Maria e su Gesù Bambino, così non sembra abbia fatto Leonardo, perché i gesti e gli sguardi dirottano l’attenzione non su Gesù ma su San Giovanni. Maria accoglie in un abbraccio San Giovanni Battista mentre si limita a sospendere a mezz’aria una mano sulla figura del figlio. Quella mano dà spazialità, costruisce uno spazio, ci fa capire che c’è una profondità, ed ha significato di protezione. Anche l’angelo guarda noi e, guardandoci, indica San Giovanni. Pare che Leonardo avesse seguito un testo considerato ereticale che era diffuso presso la Corte degli Sforza. Al di là di questo, dovrà rifare l’opera, collaborando con due artisti milanesi, i fratelli De Predis, che interverranno con uno stile molto diverso rispetto a quello di Leonardo.

Per quanto riguarda il paesaggio, Leonardo descrive un antro roccioso perché fa riferimento ai Vangeli apocrifi, e cioè all’incontro nel deserto del Sinai tra la Sacra Famiglia e la famiglia di San Giovannino che erano scampate alla Strage degli Innocenti. L’antro, di per sé, allude all’Immacolata Concezione, dogma che fa riferimento a Maria che è stata concepita senza macchia. L’antro roccioso è simbolo dell’utero materno, al suo interno, esattamente al centro, si trova Maria. Attorno a lei c’è una natura florida, verdeggiante, in stile hortus conclusus già incontrato nei quadri precedenti. Tutto questo paesaggio, per quanto trattato scientificamente, con l’utilizzo della prospettiva atmosferica e di due fonti di luce, una frontale e una sul retro, è però un paesaggio chiaramente simbolico.

GIORGIONE, La tempesta, tempera su tela, 82×73, 1502-1503

Giorgione, La tempesta
Giorgione, La tempesta

Sempre nel pieno Rinascimento incontriamo Giorgio Barbarella o Zorzi da Castelfranco, in arte Giorgione, un artista veneto che ebbe la sfortuna di morire giovanissimo. Ci sono rimasti pochi suoi quadri e nella maggior parte dei casi questi suoi dipinti sono anche poco chiari nella lettura iconografica e del soggetto. Questo, conosciuto come La tempesta, è proprio uno di quelli. È di medio formato ed è stato realizzato per una committenza privata e non per uno spazio pubblico. La prima descrizione che è stata fatta di questo dipinto risale a qualche anno dopo la datazione e si trova nell’inventario dei beni appartenuti alla ricca famiglia veneziana dei Vendramin. È singolare il fatto che già pochi anni dopo la realizzazione del quadro, non se ne abbia un titolo sicuro, lo si descrive soltanto con una frase: «Una cingana, un pastor in un paeseto con un ponte» (una zingara, un pastore in un piccolo paese con un ponte), con riferimento ai due personaggi in primo piano. Nel corso dei secoli, gli storici dell’arte hanno aperto un vero e proprio dibattito su questo dipinto per cercare di coglierne il significato. Lo sforzo è sempre stato quello di rintracciare le identità dei personaggi, intento inutile in quanto non ci sono iconografie certe a cui fare riferimento. Si è pensato ad Adamo ed Eva, cacciati dal paradiso terrestre, in questo caso l’ordine perentorio di Dio sarebbe rappresentato nel lampo che squarcia il cielo durante la tempesta. Ma in realtà Adamo ed Eva non sono mai stati rappresentati in questo modo, quindi diventa difficile intenderlo. Si è pensato possano essere l’allegoria della forza, impersonata dall’uomo, della Carità che nella tradizione romana è rappresentata da una donna che allatta, opposte alla Fortuna, personificata dalla tempesta. La figura femminile sta sì allattando ma è in una posizione davvero scomoda ed innaturale, perché il bambino, anziché essere sulle gambe, è tutto spostato all’esterno del corpo e non si capisce, per quella mantellina che porta sulle spalle, a quale seno stia allattando, sembra abbia un unico seno. Queste ingenuità costruttive farebbero ipotizzare che Giorgione non abbia voluto dare particolare attenzione alle figure umane per concentrarsi sul paesaggio che è effettivamente protagonista e domina la scena. Secondo la lettura più recente, questo dovrebbe essere il primo quadro in assoluto di paesaggio della storia dell’arte italiana. Giorgione ha voluto catturare uno scorcio naturale credibile e soprattutto precise condizioni atmosferiche, il cielo annuvolato col lampo che squarcia le nuvole. Il profilo della cittadina sullo sfondo è realizzato con la pittura tonale, con velature di colore, per dare l’effetto delle distanze, non c’è la prospettiva geometrica ma tutto è costruito con macchie di colore accostate.

TIZIANO, Concerto campestre, olio su tela, 118×138, 1510 circa

Tiziano, Concerto campestre
Tiziano, Concerto campestre

Tiziano, allievo di Giorgione, ha percorso tutto un secolo, è morto novantenne ed è stato uno dei pittori più prolifici, ancora oggi paragonabile soltanto a Picasso per numero di opere prodotte, considerando che una buona parte è andata perduta. Quelle conosciute sono centinaia e si è cimentato quindi in tutti i generi: dalla pittura sacra a quella laica e a quella allegorica come in questo caso. Concerto campestre è un soggetto allegorico classico, tradizionale: è la celebrazione dell’arte, della poesia e della musica. In un contesto naturale, noi vediamo al centro due musici assolutamente disinvolti e disinteressati del fatto che vicino a loro ci siano due donne completamente nude, ma questo perché non le vedono. Secondo l’immaginario classico, le due donne rappresentano lo spirito e la bellezza della natura da cui i musici possono trovare ispirazione. Quindi sono belle, secondo i canoni di bellezza dell’epoca, formose e floride, così come è florida e verdeggiante la natura intorno. È la rappresentazione dell’armonia universale.

LORENZO LOTTO, Allegoria della virtù e del vizio, olio su tavola, 56,5×42,2, 1505, National Gallery of Washington

Lorenzo Lotto, Allegoria della virtù e del vizio
Lorenzo Lotto, Allegoria della virtù e del vizio

Lorenzo Lotto è un altro autore veneziano che però, a differenza degli altri pittori trattati finora, usa colori molto smaltati e luminosi. Il paesaggio faceva da coperta protettiva al ritratto del vescovo trevisano Bernardo de’ Rossi.

Lorenzo Lotto, Ritratto del vescovo Bernardo de' Rossi
Lorenzo Lotto, Ritratto del vescovo Bernardo de’ Rossi

Oggi i due quadri sono staccati e conservati a una certa distanza l’uno dall’altro. Era una consuetudine che un ritratto privato avesse una “coperta” legata alla tela sottostante che si potesse aprire a discrezione del proprietario. La coperta di solito rappresentava un paesaggio o un tema allegorico per celebrare le virtù della persona ritratta.

Al centro esatto di questo dipinto c’è un albero con una sola ramificazione verde mentre il tronco è completamente guasto. Dalla parte del ramo rigoglioso, è rappresentato un paesaggio ideale, ossia il mondo delle virtù. In primo piano, è raffigurato un puttino che armeggia con alcuni oggetti, un cartiglio per la poesia, strumenti di misurazione, attrezzi diversi utili ai vari mestieri di intellettuali. Sullo sfondo, è dipinta una collina, illuminata da un bagliore alla sua sommità, e verso la quale un altro puttino si sta dirigendo attraverso un sentiero in salita. Quella è idealmente la strada che porta alla virtù, alla luce: una strada in salita ma che va percorsa. All’opposto del dipinto, che è diviso a metà in modo innaturale, il cielo è buio ed in primo piano è dipinto un Sileno, abitante del bosco nella mitologia greca, seguace di Dioniso, con le zampe caprine e il corpo umano, completamente ubriaco, con l’otre rovesciata e altri contenitori col vino. Dietro di lui un bosco che solo all’apparenza sembra pacifico ma è oscuro e nel mare sullo sfondo è in atto un naufragio. Questo è il mondo del vizio e della perdizione che non porta da nessuna parte.

A lezione di Storia dell’Arte con la prof.ssa Daniela Olivieri • Cengio (SV), 3ª Stagione Culturale

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Lorena Nasi

Grafica pubblicitaria da 20 anni per un incidente di percorso, illustratrice autodidatta, malata di fotografia, infima microstocker, maniaca compulsiva della scrittura. Sta cercando ancora di capire quale cosa le riesca peggio. Ama la cultura e l'arte in tutte le sue forme e tenta continuamente di contagiare il prossimo con questa follia.

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