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Il radical chic | Bestiario

5 minuti di lettura

Nella vita di ognuno di noi sarà capitato di incrociare, almeno una volta, il radical chic.

Questo soggetto, dalle fattezze sfigate, è sempre più diffuso, probabilmente anche a causa dell’ascesa della politica populista che ha generato, come risposta, un folto gruppo di nostalgici militanti che si sono tutti quanti rifugiati in una sinistra che puzza ormai di naftalina.

Il radical chic è quel tipo umano che, quando conosce una donna (chiaramente la stessa cosa vale al contrario, per essere gender ‘n politically correct) le dà un appuntamento in una mega libreria in centro per un drink bio, un cappuccino o una torta vegana. Si presenta con i sandali stile turista tedesco anche a Natale, ascolta solo cantautorato italiano o classico rock’n’roll inglese degli anni Sessanta/Settanta, ma si tradisce per il suo zainetto in pelle umana purissima con dentro un gioiellino tecnologico da mille e rotti euro e la sua costosissima agenda fatta di carta proveniente direttamente dalla foresta amazzonica. 

Perché il radical chic, nonostante ostenti oggetti costosissimi, che sfoggia per sottolineare il suo status quo e l’appartenenza alla casta, professa l’amore universale, l’uguaglianza di tutti gli esseri umani e un buonismo che non ha neanche una suora missionaria del Congo. 

Il radical chic è quello che la mattina alle otto, con la sua moto cafè racer il cui restauro è costato circa cinquemila euro, si reca nel suo ufficio e alle diciotto, al termine dell’orario di lavoro, si va a fare l’aperitivo nel centro storico della città in cui vive, con un calice di vino che gli costa almeno dieci euro. 

È quello che dice di battersi per i diritti dell’intero universo, ma che non si sporca mai le mani, che se prende un cane lo va a prendere dal canile, il cane più brutto che c’è, quello più malmesso, perché curandolo non avrà aiutato un altro essere vivente, ma avrà cercato di dare un senso solo alla propria esistenza vuota e routinaria. È quello che fa andare tutti sui mezzi pubblici, che si batte per le targhe alterne, ma che in garage ha l’ultimo modello di un suv super inquinante. Insomma è fondamentalmente un viziato dalla società, uno che non ha dovuto mai chiedersi il perché delle cose, ma che vanta letture colte, serate con spettacoli di nicchia e cene a sfondo sociale. 

Il radical chic non è per i posti di massa, per la comunicazione di massa, per i film di massa, per i concerti di massa. 

È quello che vanta lo Stato, ma che ha studiato nelle migliori università private, che dice di amare la propria moglie e che poi ha l’amante più giovane di vent’anni.

Sostanzialmente è uno che ben pensa, ma in realtà non ha capito nulla.


Il Bestiario è un testo che, solitamente, descrive gli animali o le bestie. Nel Medioevo si trattava di una particolare categoria di libri che raccoglievano brevi descrizioni di animali reali o immaginari. Nel XIII e XIV secolo i bestiari si diffusero soprattutto in Inghilterra e Francia. Essi erano arricchiti anche da bellissime illustrazioni e pregevoli miniature. Tra le opere che hanno poi assunto questo nome nel corso della storia ricordiamo “Il bestiario amoroso” di Richard de Fournival del 1252 e il più recente “Bestiario” di Julio Cortazár del 1951. In questa rubrica, noi vi proponiamo una sferzante e ironica descrizione delle “bestie umane” che affollano la nostra società.


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Anto D'Eri Viesti

A proud millennial. Dopo il dottorato in semiotica e gender studies decide di dedicarsi solo alle sue passioni, la comunicazione e la scrittura.
Copywriter e social media manager.
La verità sta negli interstizi, sui margini e nei lati oscuri.
Tanti fiori, cioccolato e caffè.