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«La casa di Jack» di Lars Von Trier: l’omicidio come opera d’arte

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3 minuti di lettura

Lars von Trier è un regista destinato a dividere il pubblico. Da una parte chi uscirà disgustato dalla sala, dall’altra chi ne apprezzerà il genio. E ancora una volta ci troviamo davanti ad un’opera tanto malata quanto spettacolare: La casa di Jack.

The House That Jack Built

Durante i 155 minuti di film, assistiamo ad una vera e propria seduta psichiatrica, ad un dialogo tra male e bene incarnati dal crudele serial killer Jack e il suo “compagno di viaggio” Virgilio (sì, proprio il Virgilio che accompagnò il sommo poeta nei gironi dell’Inferno) che lo scorta dritto dritto nell’Oltretomba.

Così, nella sua dantesca veste rossa, Jack spiega a Virgilio la sua artistica visione della morte raccontando cinque omicidi a caso commessi in dodici anni. Scene cruente sono intrecciate con immagini di quadri meravigliosi e stupende opere architettoniche, a sottolineare l’idea di Jack dell’omicidio visto come opera d’arte. Arte che troverà il suo culmine nella costruzione della sua terrificante casa

La diritta via di Jack è smarrita da un pezzo, e per lui non resta che il fuoco eterno.

«Il film più brutale che abbia mai fatto»

Matt Dillon dà vita ad un antieroe razionale, ma psicotico che non prova la minima empatia e non ne fa provare al pubblico. Un personaggio, perverso e odioso, a tratti persino comico con le sue manie ossessive-compulsive, capace di far vedere il lato più oscuro dell’uomo.

Se infatti Jack ci fa accapponare la pelle con i suoi lucidi omicidi, Trier fa notare come mattanze così crudeli siano già avvenute nella nostra storia, prime fra tutte l’Olocausto. Jack, come dice giustamente Virgilio (interpretato da Bruno Ganz, recentemente venuto a mancare) è l’Anticristo, l’incarnazione del male puro, senza ombra di vergogna. E il male è in mezzo a noi.

Ma la filosofia delle pellicole di Trier prende sempre strade diverse. Ognuno infatti troverà una propria chiave di lettura. Cosa spinge Jack nel commettere la sua arte? Semplice follia? La voglia umana di essere ricordato e lasciare un segno? L’incapacità di amare che diventa qualcosa di mostruoso?

Molte possono essere le interpretazioni e, in molti, concordano nel dire che il film è un’opera a tratti autobiografica dove vediamo paure e fobie del regista, la luce e l’oscurità. La doppia natura del regista, è sempre presente in tutti i suoi film, disgustando ed intenerendo allo stesso tempo.

Per questo l’arte di Lars von Trier dividerà sempre il pubblico: chi uscirà dalla sala e chi rimarrà incollato alla poltrona.

Voi cosa farete?

Immagine di copertina: wikipedia.org

Azzurra Bergamo

Classe 1991. Copywriter freelance e apprendista profumiera. Naturalizzata veronese, sogna un mondo dove la percentuale dei lettori tocchi il 99%.

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