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Pier Paolo Pasolini. Fonte: Wikipedia

La nuova gioventù: Pasolini e l’esperienza dialettale

18 minuti di lettura

Conosciamo tutti Pier Paolo Pasolini e la sua opera letteraria, cinematografica, teatrale e il suo impegno intellettuale come letterario e giornalista. È considerato tra i maggiori artisti ed intellettuali al livello mondiale del XX secolo.

Osservatore dei cambiamenti sociali, omosessuale nell’Italia conservatrice del secondo dopoguerra, suscitò polemiche e forti dibattiti per la radicalità delle sue posizioni, delle sue critiche alla società italiana che scopriva allora il consumismo. Comunista, era anche critico nei confronti del Sessantotto.

Nella sua opera poetica, si ritrova una raccolta di poesie in friulano, riunite nel 1975 nel libro La nuova gioventù, poesie friulane 1941-1974. Quest’artista, molto famoso nel mondo intellettuale, ha dedicato una parte del suo genio alla creazione poetica nella lingua madre, nel dialetto della sua regione d’origine, dandogli una visibilità mondiale ed un’importanza immensa. Un dialetto parlato da 600 000 persone è entrato nella storia moderna della poesia e letto – con traduzione ovvio – nel mondo intero. Parlando del friulano – lingua madre – Pasolini diceva : «una lingua non sua, ma materna, non sua, ma parlata da coloro che egli amava con dolcezza e violenza».

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Camminando per le strade di Parigi, sono entrato nella libreria La tour de Babel, via del Re di Sicilia nel 4° distretto. Libreria italiana storica dei quartieri culturali del centro di Parigi, cercando una novità sugli scaffali. Arrivando alla poesia, ho visto queste parole “poesie friulane”, questa grafia strana ed impronunciabile per il corso, parlante italiano e dialettale, che sono. I poemi erano tradotti da Pasolini stesso. Al filo della mia lettura, riflettendo alle problematiche del nostro dialetto1 italo-romanzo, mi sono reso conto della necessità di scrivere un articolo su questo libro, e su ciò che dobbiamo ritenere della sua pratica dell’uso letterario dialettale.

La nuova gioventù è l’ultimo libro pubblicato in vita da Pasolini. Nella presente edizione, che riprende la forma di quella del 1975, sono raccolti le poesie friulane La meglio gioventù (1941 – 1953), il loro rifacimento La seconda forma de “la meglio gioventù”  (1974) e una ultima sezione chiamata Tetro entusiasmo (1973 – 1974), citando Dostoevskij.

Con questo articolo, abbiamo l’ambizione, attraverso l’opera di Pasolini, di proporre una riflessione più larga sull’uso del dialetto – o “lingua regionale” – in Francia, usando il caso specifico del corso, le somiglianze intrinseche all’uso poetico del dialetto, ma anche le realtà d’oggi che non sono le stesse.

Dell’uso del dialetto nella poesia

Pasolini è un artista italiano. Quest’affermazione, logica e quasi ridicola, avrà un’importanza nel seguito del nostro proposta. Perché in Italia gli scrittori non avevano vergogna di fare uso del dialetto accanto alluso dell’italiano “standard”. È la questione che arriva naturalmente : perché non in Francia? La risposta a questa domanda si trova nel studio della situazione istituzionale delle lingue regionale di Francia. All’inizio del XX secolo, la Repubblica francese ha messo in piazza una politica linguistica che aveva per obiettivo solamente l’uso dell’unica lingua ufficiale, il francese.


Secondo l’analisi di Marco Antonio Bazzocchi
2, Pasolini utilizza tutta l’ampiezza lessicale della lingua, cioè passa dalla lingua parlata “nella comunicazione quotidiana dai contadini”, quella lingua che ha il “fascino della vocalità”, alla lingua formata dalle sue ricerche linguistiche, dello studio del vocabolario, formando “forme espressive complesse” attraverso un lavoro sulle variante geografiche del friulano.

Possiamo generalizzare queste trasformazione del dialetto nel suo uso poetico. Nel Corso, i poeti – che siano scrittori o improvvisatori – avevano quest’arnese poetico frequente di toscanizzare la lingua all’uso Crusca per dare al dialetto una forma mischiata tra lingua vernacolare del popolo e lingua “nobile” delle Lettere. Per esempio nella poesia d’Anton Francescu Filippini – prima metà del XX secolo – si ritrovano assai “toscanizzazioni”3, l’esempio del poema Ai morti di Ponte Novu può dare un’idea più precisa di questo fenomeno:

Spanticà vogliu u dolu di ‘a mio terra
Mamma chi vede i figlioli obligati
di chere pane a chi tumbò l’antichi.

Questi versi portano lo spirito poetico italiano, che infatti era la base della cultura poetica corsa. In d’altri poemi, i “di e” si trasformano in “delle”, i “à i” in “ai” ecc. Paul Desanti, nel suo lavoro sui poeti Filippini, Giovacchini et Angeli spiega che queste toscanizzazioni rispondono sia a un’ambizione poetica – assonanze, allitterazione – che a un progetto politico che passava per un ravvicinamento con l’Italia, la lingua essendo di modo logico uno dei punti principali.

È interessante vedere che per la poesia, e solo per questa forma, Pasolini sceglie la lingua madre per scrivere. Dove il romanzo, il teatro ecc… portano con loro l’invenzione, la riflessione sulla storia e sulla società, cioè una apertura sull’altro, sull’alterità costituita dalla trasformazione del sé e dell’altro nella creazione romanzata o nella presa di posizione di un assaggio. La poesia ha questo rapporto naturale e tradizionale con l’intimo. La poesia porta in sé stessa la relazione fondamentale alla mamma, la relazione alla casa, al focolare dell’infanzia, ai primi anni della “formazione” del poeta nell’osservazione del suo ambito.

Quest’intimità ci rimanda alla lingua della casa, e dunque al dialetto, alla relazione romantica che possono avere questi poeti con le parole della nonna, della mamma, dei vecchi che sono adesso morti, e con questo “piccolo mondo”. Quindi, il dialetto ha queste due “utilità”, usi sarebbe più giusto, della comunicazione paesana, al senso del suo paese, intimo della casa e del suo paese, e della poesia, arte maggiore dell’osservazione della natura, della camminata bucolica o romantica, del paese lasciato.

Il poema che apre la raccolta, intitolato Casarsa :

Fontana di aga dal me paìs.
A no è aga pì fres-cia che tal me paìs.
Fontana di rustic amòur.4

O ancora i primi versi di Il soldàt di Napoleòn nel 1953:

Adio, adio, Ciasarsa i vai via pal mond,
Mari e pari, iu lassi, vai cun Naopleòn.
Adio, veciu paìs, e cunpàins zovinùs,
Napoleòn al clama la miej zoventùt5

Ritroviamo il riferimento al “paìs”, lasciato con tristezza, obbligato ma deciso, dall’autore, accompagnando Napoleone nella sua campagna friulana. La gioventù ancora presente si esprime nelle speranze – che non sono allora tradite – animando l’artista.

C’è questa ambizione antropologica nella poesia dialettale di dare alle parole del quotidiano una dimensione artistica – d’altronde ciò che hanno fatto i poeti della Pléiade francese per dare al francese questa dimensione, o Dante alla lingua italiana, in epoche dove, in Italia e in Francia, la lingua della poesia era il latino, e la lingua del quotidiano era la lingua vernacolare derivata del latino volgare.

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L’immaginario generato nella poesia dialettale non è lo stesso di quello che esce dalla poesia nell’italiano standardizzato. La prima ragione è quella che abbiamo citato sopra: è l’immaginario dell’intimo, che Pasolini si permette di trattare in friulano per via del suo inconscio. La seconda ragione che spiega questa differenza negli immaginari prodotti dagli usi del dialetto o della lingua standard è la coscienza del pericolo di sparizione che pesa sul dialetto. Particolarmente nell’ideologia di Pasolini, che si mostrò critico nei confronti della globalizzazione, possiamo immaginare che ebbe la coscienza che con la globalizzazione, le piccole lingue dei piccoli popoli, sarebbero esposte al rischio d’essere sopraffatte prima dall’italiano e dopo – ciò che accade oggi – di una anglicizzazione della lingua italiana stessa. Perciò, viene la necessità di scrivere in friulano.

Nell’immaginario della poesia Pasoliniana nascono anche le preoccupazioni religiose, con poemi che fanno direttamente referenze alla Bibbia; sono presente i miti, dalla romanità dall’Impero all’epoca di Napoleone. Si rivelano le paure e la sua coscienza della modernizzazione e della sua situazione critica, già nel 1975.

Dell’utilità della traduzione e del esempio del corso

Una raccolta di poesie in friulano. Trentatré anni di scrittura, di modifiche, di patimenti che sono quelli del poeta. E se l’opera è pubblicata, e senza traduzione, in una lingua minoritaria benché usata, non troverà un pubblico largo. Allora potete contraddirmi che non è la finalità di un’opera (sopratutto poetica) di trovar un pubblico importante, ma questo ragionamento funziona per le lingue che sono vive e che contano molti locutori, dove le opere si perdono nella massa d’altri libri.

Questa situazione è possibile perché c’è abbastanza materia letteraria per accettare la dimenticanza di qualcuno. Per esempio, in francese, si contano a centinaia i poeti dimenticati, eppure la lingua è viva e la sua letteratura si sviluppa sempre. In friulano, o in corso per parlare di un caso che ha sofferto della politica linguistica francese, la poesia non trova il suo pubblico, così piccolo che non ha un effetto reale sul mantenimento della lingua, e cadono nel dimenticatoio assoluto.

Ecco la nostra idea: difendere una traduzione progressiva delle opere maggiori della poesia dialettale, in italiano o in un altro linguaggio con una massa critica di locutori importante (parecchi milioni e con un uso reale), per darli una visibilità che permetterà di portare l’etnia di questa lingua persa alla sua lettura e infine al suo apprendimento. Quanto vale la chiusura su una base di locutori in grado di leggere le sue creazioni di venti mila persone al massimo per il corso? La questione posta è qual’è la finalità di questa andatura?

Se l’obiettivo è l’assolutismo artistico, allora si, possiamo proseguire in quella via, e mirare alla sparizione del corso, con un lasciato che avrà un interesse per quattro o cinque universitari da qui a cinquant’anni. Se l’obbiettivo dell’andatura letteraria dialettale è la salvezza della lingua, allora – nel caso del corso – c’è bisogno di dare a quelli che non sono locutori una possibilità d’accedere al testo, giustamente perché possano impararlo.

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Ai locutori francesi, che tutti i corsi lo sono, una traduzione francese permetterà a tutti i corsi di cominciare la lettura di Santu Casanova, di Anton Francesco Filippini o di Alanu di Meglio, i cui testi sono inaccessibili al corso che non ha nessuna conoscenza della sua lingua. Una traduzione in italiano darà la possibilità ai poeti – morti o vivi – d’aprirsi sul mercato italiano (70 milioni di locutori nel mondo) con un’edizione bilingue come le Poesie friulane, ciò che permette di diffondere il dialetto, di darli le opportunità di mantenersi. Sarà anche una possibilità per i corsi che praticano l’italiano d’andare più facilmente al corso in una coerenza socio-linguistica e geografica che permette un dialogo fra le due lingue.

Per concludere questa cronica, invitiamo i nostri lettori a leggere La nuova gioventù nell’edizione Garzanti, per il piacere della grafia friulana, per la sorpresa di ciascun verso, della rima aspettata e non venuta, della sonorità della traduzione di Pasolini. Si vede anche la sua evoluzione, dal giovane di venti anni all’uomo di cinquanta, le tentazioni e le disillusioni politiche, la lingua è lo specchio di questo fiume che corre, senza sapere veramente dove ha deciso di fermare la sua corsa. Al pubblico corso, leggete Pasolini, D’Annunzio, Eco, De Luca ecc. Ai pubblici curiosi degli altri usi dialettali, andate a scoprire Anton Francescu Filippini, Santu Casanova, Marco Angeli e tutti i poeti mitici della prima metà del XX secolo6 poetico corso, vedrete la bellezza della lingua corsa nella sua purezza e nei suoi scambi con il toscano della Crusca e di Dante.

Pasolini fu un artista completo, proteiforme, “tocca a tutto” di genio. Possiamo odiare la sua visione della società, della religione, del mondo, della sessualità o dell’arte, ma non leggere, non guardare, non interessarsi a ciò che ha fatto sarebbe une errore tamanta7. L’abbiamo visto con questo articolo, il suo uso del dialetto materno può dare parecchie idee alla gente che in Italia, in Corsica – per firmare nel bacino italico – o anche in altri posti vogliono salvare il dialetto“di li so loca” come diciamo in Corsica.

Marc’Antonu Faure Colonna d’Istria

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1 Dialetto è inteso qui al senso italiano delle lingue che coesistono con l’italiano “standard”. Che i difensori della lingua corsa non vedono in questo termine qualche disprezzo o forma di riduzione del corso.

2 Poesia. Lengàs dai frus di sera (Linguaggio dei fanciulli di sera) di Pier Paolo Pasolini

un’analisi di Marco Antonio Bazzocchi. www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it/molteniblog/da-meglio-a-nuova-gioventu-desiderio-vs-leggerezza-di-marco-a-bazzocchi/

3 Analizzate nel libro « Trois Poètes irrédentistes » di Paul Desanti (in francese).

4 Fontana d’acqua del mio paese. Non c’è acqua più fresca che nel mio paese. Fontana di rustico amore.

5 « Addio, addio, Casarsa, vado via per il mondo, il padre e la madre li lascio, vado via con Napoleone. Addio, vecchio paese, e compagni giovincelli, Napoleone chiama la meglio gioventù ».

6 Per scoprire la poesia corsa, il meglio è di comprare l’Antologia fatta da Matteu Ceccaldi e pubblicata alle edizioni Alain Piazzola.

7 Immensa (dialetto corso).

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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