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«Lacci» di Domenico Starnone: il garbuglio della vita coniugale

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23 minuti di lettura

Quest’anno, la 77esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha visto come film d’apertura fuori concorso il film Lacci (titolo internazionale: The Ties) con la regia del regista romano Daniele Luchetti. Un film con un cast d’eccezione, che vede attori e attrici del calibro di Alba RohrwacherLuigi Lo CascioLaura Morante,Silvio Orlando e Giovanna Mezzogiorno, e sceneggiato, oltre che dallo stesso Luchetti, anche da due sceneggiatori di prim’ordine: i Premi Strega Francesco Piccolo e Domenico Starnone.

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Il film altro non è che la trasposizione cinematografica del romanzo proprio di Domenico Starnone, pubblicato nel 2014 da Einaudi, e che all’estero ha riscosso un grande successo: dopo la vittoria della prima edizione del Bridge Prize for Best Novel nel 2015, premio assegnato dall’Ambasciata americana a Roma, è stato pubblicato con il titolo Ties nel 2017 da Europa Editions, casa editrice sorella dell’italiana Edizioni e/o, con traduzione del Premio Pulitzer Jhumpa Lahiri, grande estimatrice dello scrittore napoletano. Sempre nel 2017, quotidiani e riviste come Kirkus ReviewsSunday Times e New York Times lo hanno inserito tra i migliori romanzi dell’anno.

L’uscita della trasposizione cinematografica, dunque, costituisce l’occasione perfetta per leggere o rileggere questo breve e intenso romanzo dell’autore di Via GemitoDenti e i più recenti Scherzetto Confidenza.

La trama di «Lacci» di Domenico Starnone

Lacci di Domenico Starnone tratta la storia della famiglia Minori, composta dai coniugi Aldo e Vanda – ex assistente di Grammatica greca all’università e autore per la televisione lui; ex assistente di commercialista lei – e i figli Sandro e Anna, ormai adulti e con una propria vita. Una coppia apparentemente perfetta, che da Napoli si è trasferita a Roma, acquistando una casa nei pressi del Tevere, e che possiede un gatto, Labes.

Quella che in apparenza sembra una famiglia modelloin realtà non lo è affatto: sposatosi negli anni Sessanta attorno ai vent’anni con Vanda, Aldo ha maturato con il tempo un desiderio di autonomia dalla «macchina priva di senso» che è l’istituzione della famiglia e del matrimonio, arrivando a tradire la moglie con Lidia, ai tempi ragazza di diciannove anni e studentessa di Economia e commercio, e abbandonando, perciò, la sua famiglia.

La voglia di libertà di Aldo, però, durerà poco, e questi tornerà indietro da Vanda e dai suoi figli. La ricostituzione del nucleo familiare sembra funzionare, ma come ci mostrerà Domenico Starnone nel corso del romanzo, «nelle case c’è un ordine apparente e un disordine reale». Quella che metterà in luce a poco a poco l’autore partenopeo altro non sarà che una piccola guerra domestica fatta di gesti, ricatti emotivi e silenzi.

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Copertina del romanzo “Lacci”, a cura di © Giulio Einaudi Editore

Spiegazione del titolo e struttura del romanzo

Il titolo Lacci fa riferimento a un episodio del romanzo in cui Aldo mostra ai figli Sandro e Anna – allora rispettivamente di 13 e 9 anni – come si allaccia le scarpe:

«Mi slacciai una scarpa, poi la riallacciai. Tirai due capi della stringa, li incrociai, passai un capo sotto l’altro, strinsi energicamente. Li guardai, tenevano entrambi lo sguardo sulla mia scarpa, a bocche socchiuse. Con un po’ di nervosismo tornai a incrociare i capi, tornai a passarne uno sotto l’altro, strinsi di nuovo, formai un occhiello. Feci una pausa, incerto. Gli occhi di Sandro cominciarono a ridere di soddisfazione. Anna mormorò: e poi? Afferrai l’occhiello, lo chiusi stringendolo tra le dita, ci passai sotto il capo che mi era rimasto, formai un nuovo occhiello e tirai. […] Alla fine Sandro mi chiese: quando me l’hai insegnato? Decisi di essere onesto: non credo di avertelo insegnato, l’hai imparato da solo, guardandomi. E a partire da quel momento mi sentii colpevole come non era mai successo.»

I lacci, dunque, come metafora dei legami familiari – la traduzione inglese del romanzo da parte di Jhumpa Lahiri rende bene il concetto con il titolo Ties, parola inglese per “legami”- .

Mostrando ai figli come si allaccia le scarpe, Aldo si sente subito colpevole, poiché ha messo in luce un aspetto fondamentale del suo rapporto con i figli e la moglie, e del funzionamento dei legami familiari in generale: può rendersi autonomo quanto vuole, ma non sarà mai pienamente libero. Resterà sempre un uomo che incrocia i capi delle stringhe per soffocarsi, ma allo stesso tempo per soffocare chi gli sta attorno.

Parafrasando lo stesso Aldo, questi si è slegato da Lidia per poi tornare a legarsi alla sua famiglia. Da loro ritornerà, poiché Aldo esiste solo come marito di Vanda e padre di Anna e Sandro. Il suo ritorno, però, è costellato subito da debolezza, soffocamento e tentativo di soffocare ogni sentimento di ribellione, e un silenzio che cela un lento e inesorabile logoramento. Anna, infatti, affermerà che:

«Gli unici lacci che per i nostri genitori hanno contato sono quelli con cui si sono torturati reciprocamente per tutta la vita.»

La particolarità di quello che sulla carta sembra un semplice romanzo sui rapporti di coppia sta nella sua struttura. È composto, infatti, da tre parti – dette “libri”- ognuna narrata in prima persona da un membro della famiglia.

Il primo libro è narrato dal punto di vista di Vanda, ed è ambientato negli Anni Settanta, quando Aldo ha deciso di lasciarla per Lidia, ed è la parte in cui Vanda parla delle lettere che ha inviato al marito. Il secondo libro, invece, è ambientato ai giorni nostri, ed è narrato da Aldo, con dei flashback nel passato in cui narra dalla sua prospettiva il suo rapporto con Lidia e successivo riavvicinamento alla famiglia. Anche il terzo libro, infine, è ambientato ai giorni nostri, ma dalla prospettiva di uno dei figli della coppia, Anna, che discute con il fratello Sandro sulle conseguenze del riavvicinamento di Aldo alla famiglia.

Quello che fa Domenico Starnone, dunque, è dar voce alla versione di ciascun protagonista di questa intricata matassa famigliare, fatta di legami logoranti, che convivono nel silenzio, poiché «per vivere insieme dobbiamo dirci molto meno di quanto tacciamo». L’autore, allora, proponendo tre sguardi differenti, si propone di far emergere il rancore e la sofferenza taciute dei singoli personaggi.

La versione di Vanda: l’egoismo di Aldo

«Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie.» Così inizia il romanzo, e così Vanda si rivolge al marito scrivendogli la sua prima lettera dopo che Aldo ha deciso di lasciare la famiglia per Lidia. 

Vanda scrive delle lettere ad Aldo che sono sì supplichevoli, ma allo stesso tempo si fanno sempre più rabbiose. Vanda sostiene che il marito sia fuori di sé, specie dopo che ha usato la scusa di non voler ripetere lo stesso errore di suo padre nel fare del male alla sua famiglia, oppure quando gli ricorda di averli descritti «come ingranaggi di una macchina priva di senso, costretti a ripetere per sempre gli stessi movimenti insulsi.»

Se prima sembra compatirlo, Vanda comincerà a scatenarsi con più rabbia sul marito, arrivando ad accusarlo di aver rovinato la famiglia:

«Ai tuoi occhi siamo la prova di come hai buttato via la giovinezza. Ci consideri una malattia che ti ha impedito di crescere, e senza di noi speri di recuperare. […] Hai distrutto, andandotene, la nostra vita con te. Hai distrutto il nostro modo di vederti, ciò che credevamo che fossi. L’hai fatto consapevolmente, l’hai pianificato, ci hai costretti a prendere atto che sei stato solo un frutto della nostra immaginazione. Così ora io, Sandro e Anna siamo qui, esposti alla miseria, alla più assoluta assenza di sicurezza, all’angoscia, e tu te la godi chissà dove con la tua amante. La conseguenza è che i miei figli a questo punto sono solo miei, non ti appartengono. Tu hai fatto in modo che il loro padre diventasse una mia e loro illusione.»

Vanda accusa Aldo di aver pensato sempre a se stesso, di essersi allontanato perché la sua famiglia costituiva un ostacolo alla sua felicità e per liberarsi dalle costrizioni della vita coniugale, e pensando a se stesso non ha tenuto conto del disagio e dell’umiliazione inflitta ai suoi figli e a sua moglie, che arriverà a tentare il suicidio dal dolore subito. Sempre quest’ultima rivolge al marito la seguente accusa:

«A te non interessano le persone, come si modificano, come evolvono. Tu delle persone ti servi. Tu alle persone dai spazio solo se ti mettono su un piedistallo. Tu alle persone ti leghi soltanto a patto che ti riconoscano prestigio e un ruolo degno di te, soltanto a patto che, celebrandoti, ti impediscano di vedere che in realtà sei vuoto e spaventato dalla tua vuotezza. Ogni volta che questo congegno si inceppa, ogni volta che le persone prendono le distanze e provano a crescere, tu le distruggi e passi oltre. Non stai mai fermo, hai sempre bisogno di essere al centro di qualcosa.»

Oltre all’accusa di essere un uomo vuoto, passivo, che fa sue le idee che prende dai suoi libri e che continuerà a essere «quello che capita», Vanda lo accusa anche di averla distrutta non solo come moglie, ma anche come persona nel pieno della sua realizzazione. 

Nonostante le accuse e la decisione di far togliere ad Aldo la custodia dei figli, Vanda non riuscirà a rendersi totalmente libera dal marito, al punto da acconsentire a fargli vedere i figli, e ad accettare il suo ritorno a casa in un successivo momento. Il percorso di riconciliazione, però, non sarà facile per nessuno dei due.

La versione di Aldo: liberarsi dai “lacci”, senza riuscirci

Arriviamo adesso alla prospettiva di Aldo. Questa è l’immagine che ora abbiamo di Aldo e Vanda, ormai anziani e in procinto di lasciare la casa romana per andare in vacanza a Gallipoli per una settimana:

«Lei mi organizza la vita da sempre senza nasconderlo, io da sempre seguo le sue istruzioni senza protestare. Lei è attivissima malgrado gli acciacchi, io sono pigro malgrado la buona salute.»

La sottomissione e la debolezza di Aldo sono la condizione secondo la quale Vanda lo ha accolto di nuovo nella sua vita. Un’altra condizione fondamentale è quella di non riaprire più il capitolo del passato – quello del tradimento. Ciò che, infatti, farà Aldo sarà nascondere e cancellare per sempre le tracce del suo adulterio: le lettere che la moglie gli scrisse durante la loro separazione e le polaroid scattate a Lidia e contenute nel cubo che ha comprato durante un soggiorno a Praga.

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Ritrovare le tracce per poi nasconderle, però, porta Aldo a rivivere il passato e a fornirci la sua versione dei fatti. Aldo, infatti, ammette che uno dei motivi che lo ha portato a tradire Vanda è stato il seguente:

«A meno di trent’anni mi sentivo vecchio, e parte – mio malgrado – di un mondo, di uno stile, che nell’ambiente politico e culturale cui aderivo veniva considerato alla fine. Sicché presto, anche se avevo un rapporto forte con mia moglie e i due bambini, avevo subito il fascino di modi di vita che programmaticamente recidevano tutti i legami tradizionali.»

Aldo, dunque, essendosi sposato giovanissimo, sentiva di aver perso subito la libertà nel godere l’amore e ogni suo attimo. L’amore per Lidia è stato funzionale nel cercare di recuperare il tempo perduto dietro alla monotonia della quotidianità coniugale. Un amore che ha riacceso in lui una nuova gioia di vivere, al punto da fargli lasciare il lavoro di assistente universitario per lavorare come autore televisivo per la Rai. 

L’amore per Lidia, però, è destinato a durare poco, e Aldo ritorna da Vanda, poiché lui può solo esistere come marito e padre di famiglia. Deve, però, accettare ogni sua decisione, ogni sua forma d’intransigenza, per poter restare in famiglia.

Aldo, dunque, diventa una persona passiva che cede ai ricatti emotivi della moglie, che ha sì accettato il ritorno del marito, ma che allo stesso tempo cerca vendetta. Egli ammette che «il mio continuo consentire cela che da decenni non c’è niente, assolutamente niente, su cui abbiamo sentimenti in comune.»

Tuttavia, Aldo si concede ancora qualche piccolo atto di ribellione. Esso consiste nella scelta del nome del gatto, Labes, il cui vero significato Vanda scopre trovando aperto il dizionario di latino aperto alla lettera “L” con la voce della parola sottolineata:

«Caduta, frana, crollo, rovina. Uno scherzo dei tuoi. Io chiamavo il gatto con affetto e tu ti divertivi a sentire come il nome, a mia insaputa, risuonava per la casa in tutta la sua negatività: disastro, sventura, sporcizia, infamia, vergogna. Vergogna, mi facevi dire. Sei sempre stato così. Ti mostri affettuoso e intanto sfoghi i cattivi sentimenti per vie traverse.»

Le vie traverse citate da Vanda sono, quindi, il nuovo modo di esprimere il continuo logorarsi che caratterizza la relazione dei due, che incapaci di separarsi l’uno dall’altra, restano uniti come lacci di una scarpa soffocandosi a vicenda e combattendo una guerra coniugale di logoramento senza fine.

La versione di Anna: l’infelicità e la rabbia dei figli

Come scriveva lo scrittore austriaco Thomas Bernhard ne Il soccombente:

«I genitori sanno perfettamente che l’infelicità ad essi connaturata la perpetuano nei figli, ma nella loro crudeltà vanno avanti a fare figli e a gettarli nell’ingranaggio dell’esistenza»

Questa frase è molto esplicativa di quella che è la versione di Anna. Lei, infatti, sostiene che la rovina e l’infelicità dei suoi genitori sia ricaduta su di lei e suo fratello Sandro, diventati di conseguenza incapaci di amare se stessi e di mantenere delle relazioni stabili. Anna comprende che i suoi genitori hanno provato inutilmente a ricostituire la felicità dell’iniziale idillio famigliare, poiché «l’eden non è mai esistito» e «bisogna accontentarsi dell’inferno.»

Quello adottato da Anna è uno sguardo molto impietoso nei confronti della sua famiglia, contro cui in un certo senso medita vendetta, affermando che «ai figli finisci in ogni caso per fare del male e di conseguenza devi aspettarti che ti facciano ancora più male.»

Anna arriva anche a pensare che i figli sono un ostacolo alla propria realizzazione, una rinuncia alle proprie ambizioni. Ha notato tutto ciò nel suo rapporto con il padre, nell’infelicità che coglieva in ogni suo gesto, e anche nella sua incapacità di restare lontano dalla famiglia, decidendo di tornare da Vanda e cedendo ai suoi ricatti senza ribellarsi e senza mai proteggere i propri figli, provocandogli, perciò, ancora più dolore. 

Le riflessioni di Anna giungono, allora, alla seguente riflessione:

«Altro che volersi bene, Sandro, altro che ricomposizione della famiglia. I nostri genitori ci hanno rovinati. Si sono insediati nelle nostre teste, qualsiasi cosa diciamo o facciamo continuiamo ad obbedire a loro. […] Non mi hanno mai amata, dico. E me la prendo con la gratitudine che i figli dovrebbero ai genitori per la vita che hanno ricevuto. Gratitudine? Rido, esclamo: sono i nostri genitori che ci devono un risarcimento. Per i danni che ci hanno causato al cervello, ai sentimenti.»

Conclusione

Con sguardo distaccato, cinico e impietoso, Domenico Starnone ritrae il garbuglio complesso di una famiglia i cui membri, invece di emanciparsi, decidono di vivere il gioco della consuetudine familiare fatto di silenzi, rancori e desideri di libertà mai del tutto sopiti che portano a una silenziosa guerra di logoramento familiare

Dando voce a ogni membro della famiglia – a ogni laccio della matassa che soffoca ed è soffocato -, l’autore napoletano testimonia in maniera spietata e sincera il fallimento nel ricostituire la felicità ormai perduta e il dolore perpetuo che ogni membro è costretto a vivere. In poche parole: la fine del sogno della famiglia perfetta.

Immagine in copertina: dettaglio della copertina di Lacci

 


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Alberto Paolo Palumbo

Laurea magistrale in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee all'Università degli Studi di Milano con tesi in letteratura tedesca.
Sente suo quello che lo scrittore Premio Campiello Carmine Abate definisce "vivere per addizione". Nato nella provincia di Milano, figlio di genitori meridionali e amante delle lingue e delle letterature straniere: tutto questo lo rende una persona che vive più mondi e più culture, e che vuole conoscere e indagare sempre più. In poche parole: una persona ricca di sguardi e prospettive.
Crede fortemente nel fatto che la letteratura debba non solo costruire ponti per raggiungere e unire le persone, permettendo di acquisire nuovi sguardi sulla realtà, ma anche aiutare ad avere consapevolezza della propria persona e della realtà che la circonda.