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“Little Sister”: l’epica della
quotidianità nel cinema
di Hirokazu Kore’eda

7 minuti di lettura

Nel mondo occidentale, la tradizione cinematografica giapponese giunge come un’eco lontana, e solo pochi grandi maestri, tra cui Zhāng Yìmóu (Hero, La Foresta dei Pugnali Volanti, Lettere da uno Sconosciuto) e il premio Oscar d’animazione Hayao Miyazaki (Il mio vicino Totoro, La città incantata, Il castello errante di Howl) godono dell’approvazione del pubblico. Naturalmente il cinema giapponese è un mondo molto più complesso e variegato di quanto non appaia, ed esplorarlo è un’avventura assolutamente unica. Fra i molti generi trattati, dal film storico (chiamato Jidai Geki, genere prediletto in Giappone) al comico, uno in particolare colpisce per la sua estrema grazia e sensibilità, ed è il cinema intimista, che con occhio attento analizza le dinamiche familiari del Giappone moderno diviso fra l’amore per la tradizione e l’avvento di un’inarrestabile contemporaneità. Ed è proprio qui che si possono incontrare i piccoli capolavori di Hirokazu Kore’eda, cineasta nipponico noto per i suoi drammi familiari tra cui Father and Son (2013) che ha trionfato alla 66ª edizione del Festival di Cannes. Ultima delle sue creazioni è il film Little Sister (2015), la cui regia è liberamente ispirata al manga femminile Umimachi Diary.

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Ambientato nella splendida cornice di Kamakura, una verdeggiante città a sud ovest di Tokyo nota per la presenza di molti templi antichi, Little Sister osserva la vita di tre giovani sorelle, Sachi Kouda (interpretata da Haruka Ayase) maggiore delle tre e infermiera presso l’ospedale locale, Yoshino Kouda (Masami Nagasawa), impiegata dalla travagliata vita sentimentale, e Chika Kouda (Kaho), commessa in un negozio di articoli sportivi. Divise tra il lavoro e relazioni turbolente, le vite delle giovani confluiscono nella splendida casa ereditata dalla nonna materna, nella quale convivono in un precario equilibrio, senza però essere davvero amalgamate o unite.

Ma un evento inaspettato sconvolgerà la loro esistenza quando loro padre, con il quale non parlano da quindici anni, viene improvvisamente a mancare, lasciando la sua ultima e giovane figlia orfana. Ed è così che le tre sorelle Kouda vedranno entrare nella loro quotidianità la sorellastra Suzu Asano (Suzu Hirose), una ragazza di quattordici anni che, come un collante a presa rapida, unirà questo piccolo mondo di donne rendendolo compatto e indivisibile.

Nata dal secondo matrimonio del padre, la piccola Suzu porta su di sé il peso di una triste consapevolezza. Il padre, che amava e accudiva durante la malattia, aveva abbandonato le sue sorelle, e sua madre era la causa del tradimento che distrusse la loro famiglia. Entrando in punta di piedi in questa realtà che sente di aver compromesso, Suzu riempie con la sua presenza il vuoto che circonda le sorellastre, portandole ad essere più mature e consapevoli, e dando loro la forza di cambiare, ma soprattutto restituendo il senso di famiglia.

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Intraprendere la visione di Little Sister è come affacciarsi alle finestre altrui per sbirciarne i segreti e le noiose routine, scoprendo nelle abitudini umane odissee complicate e dolorose. Con grande delicatezza Hirokazu Kore’eda affronta tematiche come il divorzio, il tradimento, l’abbandono, senza mai sfociare nel banale o nell’eccessivo sentimentalismo, rappresentando un quadro familiare esattamente per quello che è, senza inutili fronzoli hollywoodiani. Il film è un nudo e crudo dipinto della vita, una vita fatta di sofferenze ma anche di gioie, di sentimenti autentici che scaturiscono dalle cose semplici. Il sapore del pesce fresco, la fioritura dei ciliegi, una birra di troppo oppure una storia d’amore finita sono gli ingredienti da cui Kore’eda fa sorgere l’essenza più vera dell’esistenza.

Imprescindibile è il ruolo di Kamakura, questa piccola parentesi di tradizione in un Giappone all’apice del progresso, che con le sue montagne protegge e in certo senso culla questo complicato nucleo femminile. Le riprese di questi tipici paesaggi nipponici, così nostalgici e mesti, sono intense e cariche di significato; sono infatti le montagne di Kamakura ad accogliere, come in un abbraccio, l’arrivo della piccola Suzu, così come la fioritura dei pruni e dei ciliegi accompagna i suoi momenti di spensieratezza. Infine, è proprio la costa della città, con il suo mare agitato e il clima ventoso, che spingerà le sorelle verso il loro futuro insieme, verso quei giorni di tempesta che potranno affrontare solo se unite.

Little Sister non è certo un kolossal, e chi si accinge a entrare in questo mondo non deve aspettarsi svolte straordinarie o incredibili colpi di scena. Molto apprezzato dalla critica nazionale e internazionale, ha invece ricevuto molte critiche dal pubblico, che l’ha definito noioso e troppo statico. Indubbiamente il film non è movimentato, non vi sono effetti speciali né scene estremamente drammatiche. Si potrebbe anche affermare che nel film non accada assolutamente nulla. Ma è il tutto che invece scorre sullo schermo. Non sono singoli avvenimenti o fatti incredibili, ma la vita nella sua più totale naturalezza e semplicità. Il tutto dell’esistenza, l’essenza della famiglia, degli affetti, dei rapporti umani.

Dolce, raffinato e intensamente delicato, Little Sister è un fiore cinematografico di grande bellezza e sensibilità, uno scorcio nei segreti dell’essere sorelle, dell’essere donna, ma soprattutto dell’essere umani, creature viventi alle prese con quel meraviglioso dramma che è la vita.

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Anna Maria Giano

Mi chiamo Giano Anna Maria, nata a Milano il 4 marzo 1993. Laureata Lingue e Letterature Straniere presso l'Università degli Studi di Milano, mi sto specializzando in Letterature Comparate presso il Trinity College di Dublino.Fin da bambina ho sempre amato la musica, il colore, la forza profonda di ciò che è bello. Crescendo, ho voluto trasformare dei semplici sentimenti infantili in qualcosa di concreto, e ho cercato di far evolvere il semplice piacere in pura passione. Grazie ai libri, ho potuto conoscere mondi sempre nuovi e modi sempre più travolgenti di apprezzare l'arte in tutte le sue forme. E più conoscevo, più amavo questo mondo meraviglioso e potente. Finchè un giorno, la mia vita si trasformò grazie ad un incontro speciale, un incontro che ha reso l'arte il vero scopo della mia esistenza... quello con John Keats. Le sue parole hanno trasformato il mio modo di pensare e mi hanno aiutata a superare molti momenti difficili. Quindi, posso dire che l'arte in tutte le sue espressioni è la ragione per cui mi sveglio ogni mattina, è ciò che guida i miei passi e che motiva le mie scelte. E' il fine a cui ho scelto di dedicare tutti i miei sforzi, ed è il vero amore della mia vita.

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