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Luciano Gallino, Stalingrado del pensiero critico

13 minuti di lettura

di Aurelio Lentini

«La lotta di classe esiste eccome! La lotta di classe esiste eccome! Non fatevi fregare dalla lotta di classe solo perché non avete coscienza di essere voi stessi una classe!». Forse, se Luciano Gallino fosse stato un po’ più sanguigno, ai suoi nipoti avrebbe gridato frasi del genere con il volto paonazzo.

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Invece, da due giorni il Professor Luciano Gallino non può più gridare. Sarebbe inutile adesso aggiungere alla marea di ricordi che ancora stamattina ne dipingono la storia umana e intellettuale, redatti da fortunati che hanno avuto il privilegio di conoscerlo, qualcosa di ovvio e di già detto. Noi non conoscevamo Luciano Gallino, se non di fama, ma ci sentiamo tra i suoi nipoti  – ai quali ha voluto dedicare i suoi ultimi libri [1] – ai quali già manca tanto.

Con Luciano Gallino non se ne va un professore o un sociologo, bensì un uomo un po’ più che umano, un uomo ideale, una Stalingrado del pensiero critico. Tale e tanta è stata la resistenza che con le sue idee ha opposto all’assalto a 360° del pensiero neoliberista dominante che il paragone con la città modello della resistenza contro il nazismo non può sembrare eccessivo. Luciano Gallino ha resistito fino all’ultima cartuccia, pur di continuare a sparare la verità che, come ricorda oggi Marco Revelli sul Manifesto, il mondo non è come ce lo raccontano.

La sua scomparsa apre una voragine, una ferita profonda che però egli ci ha già suggerito come lenire. Tuttavia con Luciano Gallino se ne va un esempio vivente di intellettuale militante, la cui critica lucida e puntuale è servita negli ultimi anni a tenere viva la scintilla dell’alternativa. Uno, se non il più importante tra gli esempi di cui si è fatto portatore è stato il modo di intendere l’analisi sul mondo: un sociologo – materia già di per sua stessa natura interdisciplinare – che ha rivendicato la necessità di ampliare lo spettro e gli strumenti per l’indagine, che ha compreso i limiti stessi della sociologia nell’affrontare una crisi ormai a tutto tondo, profondamente umana prima che economica, filosofica o psicologica. Ci vuole tutto, in breve, per provare a capirci qualcosa; anzitutto la consapevolezza di dover restare umani, di sapere leggere, come lui ha fatto, le persone nei numeri, e non i numeri nelle persone, onde evitare il rischio di cadere nel tranello della profonda disumanizzazione da cui tutti siamo attanagliati.

Fonte: www.huffingtonpost.it
Fonte: www.huffingtonpost.it

Pilastro (la concezione dell’uomo) in base al quale Luciano Gallino ha potuto demolire il fantoccio morale del finanzcapitalismocome egli stesso lo ha definitoattaccandolo con parole che non sono equivocabili: «La concezione dell’essere umano perseguita con drammatica efficacia dal pensiero neoliberale  ha lo spessore morale e intellettuale di un orologio a cucù». La stupidità delle classi dominanti – stupidità è la parola da lui usata – la si misura in chi crede, eticamente e moralmente prima che politicamente, nella funzione governamentale della finanza e delle banche, nel primato dell’economia sull’umanità, nel mantra dello sviluppo ad ogni costo, pure quando il costo è la crisi sociale e umanitaria. Di chi, con il Jobs Act, pretende davvero di aver risolto il problema dell’occupazione e di averla aumentata:  «i disoccupati erano oltre 3 milioni, i giovani senza lavoro sfioravano il 45%, il Pil aveva perso 10–11 punti. E che fa il governo? Introduce nuove norme per facilitare il licenziamento riprendendo idee dell’Ocse vecchie di vent’anni. Come non concludere che siamo dinanzi a casi conclamati di stupidità».

Ciò che aumenta non è il lavoro, ma «il lavoro precario; il sottosalariato, la pauperizzazione delle classi medie, le nuove forme di povertà».  Luciano Gallino lo sa bene, e al tema del lavoro ha dedicato studi che serviranno come bussola per gli anni a venire. Non ultimo, tornando all’inizio, La lotta di classe dopo la lotta di classe nel quale con ragionata pazienza smonta uno per uno i falsi miti del pensiero post-liberista; a cominciare dal fatto che la lotta di classe sia morta: niente affatto, si è solo rovesciata. Mentre fino agli anni Settanta la lotta per ottenere maggiori diritti la si misurava soprattutto dal basso verso l’alto, negli anni seguenti i poteri forti sono sistematicamente e rabbiosamente passati al contrattacco per superare le conquiste che i lavoratori avevano ottenuto a caro prezzo, fino a ridurre le classi a brandelli, non solo nell’arena del conflitto sociale, ma da tutti i punti di vista. La vittoria del turbocapitalismo incontrollabile la si sconta soprattutto sul campo etico, politico, ideologico e culturale. Non si tratta di una lotta di classe misteriosamente scomparsa nel nulla, della morte di una serie di ideologie, vive da parecchi secoli, nell’arco di una decina d’anni: si tratta della vittoria incontrastata di una delle classi, di una sola delle ideologie, che ha fatto piazza pulita pure delle macerie nelle quali aveva ridotto i suoi avversari. La fine delle ideologie è insieme la più grande presa in giro e la più grande ideologia con la quale si abbia mai avuto a che fare.

In questa lucidità terrorizzata, Luciano Gallino è consapevole della terribile necessità di affrontare il problema nel suo insieme, e allo stesso tempo delle enormi difficoltà che ciò comporta. Più vicino  – forzando un po’ la mano – agli aforismi in cui Guy Debord, nella Società dello Spettacolo, evidenziava come il Capitale avesse raggiunto un’infinita capacità di accumulazione non più solo di merci, ma di spettacoli, di narrazioni¸ di discorsi¸ di comunicazioni; e fosse ormai in grado di permeare di sé ogni aspetto della società, dalle questioni di fabbrica alla cena in famiglia, dalle questioni macroeconomiche allo spirito con cui il nonno da la paghetta al nipote; e dunque, posto questo, non fosse più in alcun modo possibile metterne in discussione una parte senza metterlo in discussione per intero, allo stesso modo Luciano Gallino si rende drammaticamente conto di questa presenza più che leviatanica e di quanto le nostre armi siano spuntate contro di essa. Egli non solo rivendica l’impegno di tutte le discipline (dall’economia all’antropologia, alla psicologia) per affrontare la crisi, ma anche e soprattutto  il bisogno di muoversi nel mondo, militando in questa battaglia, dietro le barricate della Stalingrado del pensiero, con chi c’è rimasto e con chi ci vuole stare. In questo mondo egli ci fornisce una serie di ragioni per le quali la battaglia è stata persa e dunque gli elementi necessari per poterla continuare.

Il turbocapitalismo si è mosso su un livello – quello internazionale – e a una velocità cui nessun movimento o sindacato nazionale ha potuto stare al passo. Pensare a fare la lotta di classe a Mirafiori oggi vorrebbe dire essere più stupidi di quelli che comandano, perché, e Gallino anche in questo si inserisce in un filone proficuo della ricerca sociologica, la lotta di classe si fa con i lavoratori cinesi il cui salario minimo è 0.75 dollari. Bisogna esportare le conquiste e i diritti dove non ci sono, per difenderli. Altrimenti si è costretti ad arretrare.

Ma anche arretrando bisogna resistere. Bisogna mantenere il dissenso. Molto vicino a posizioni adorniane, Luciano Gallino ha evidenziato la necessità di continuare a manifestare il negativo, la visione alternativa, la contraddizione. Sicuramente l’intellettuale giusto al momento sbagliato, in un periodo storico in cui forse nessuno può riuscire a emergere, ad uscire da Stalingrando, Gallino sapeva di dover continuare.

Perché è giusto continuare.

Ma presto gli sarebbe mancato il tempo, dunque l’ultimo, dolcissimo sforzo di rivolgersi a a noi, ai suoi nipoti. A noi resterà il rimpianto per la sua morte, ma deve sopravvivere quella rabbia dannatamente lucida, quella determinazione a resistere, a lottare, a continuare.

Studiate, diceva Luciano, studiate perché per combattere c’è bisogno di capire. Allora studiamo i libri di Luciano di Gallino come fossero un manuale di istruzioni per l’alternativa. Per continuare a credere che il mondo, davvero, non sia brutto come ce lo raccontano.

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Le ultime opere di Luciano Gallino:

– Globalizzazione e disuguaglianze, Roma-Bari, Laterza, 2000.
– Il costo umano della flessibilità, Roma-Bari, Laterza, 2001.
– L’impresa responsabile. Un’intervista su Adriano Olivetti, Torino, Edizioni di Comunità, 2001.
– La società italiana. Cinquant’anni di mutamenti visti dai “Quaderni di sociologia”, a cura di e con Paolo Ceri, Torino, Rosenberg & Sellier, 2002.
– La scomparsa dell’Italia industriale, Torino, Einaudi, 2003.
– Per una politica industriale. Istruzione, scelte tecnologiche, strutture istituzionali, distribuzione del reddito, in Sergio Ferrari e Roberto Romano, Europa e Italia. Divergenze economiche, politiche e sociali, Milano, F. Angeli, 2004.
– L’impresa irresponsabile, Torino, Einaudi, 2005.
– Italia in frantumi, Roma-Bari, Laterza, 2006.
– Tecnologia e democrazia. Conoscenze tecniche e scientifiche come beni pubblici, Torino, Einaudi, 2007.
– Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità, Roma-Bari, Laterza, 2007.
– Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l’economia, Torino, Einaudi, 2009.
– Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Torino, Einaudi, 2011.
– La lotta di classe dopo la lotta di classe, intervista a cura di Paola Borgna, Roma-Bari, Laterza, 2012.
– Il colpo di stato di banche e governi. L’attacco alla democrazia in Europa, Torino, Einaudi, 2013.
– Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti, Torino Einaudi, 2015

[1] FinanzcapitalismoIl colpo di Stato di banche e governiIl denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti.

 

 

Redazione

Frammenti Rivista nasce nel 2017 come prodotto dell'associazione culturale "Il fascino degli intellettuali” con il proposito di ricucire i frammenti in cui è scissa la società d'oggi, priva di certezze e punti di riferimento. Quello di Frammenti Rivista è uno sguardo personale su un orizzonte comune, che vede nella cultura lo strumento privilegiato di emancipazione politica, sociale e intellettuale, tanto collettiva quanto individuale, nel tentativo di costruire un puzzle coerente del mondo attraverso una riflessione culturale che è fondamentalmente critica.

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