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Modernità liquida: la formula teorica del nostro tempo

6 minuti di lettura

Zygmunt Bauman è una figura molto caratteristica per il nostro tempo. Almeno per due motivi. Abbiamo innanzitutto la possibilità di concentrarci sulla vita personale di quest’uomo. Sulle vicende che ha affrontato, come dice Donatella Di Cesare nella sua introduzione a Modernità liquida uscita ieri con il Corriere della Sera, vivendo all’ombra del totalitarismo.

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Bauman dal 1944 al 1947 operò nel controspionaggio e negli apparati di sicurezza, avendo una «esperienza diretta nel cuore dell’amministrazione sovietica», come scrive Di Cesare. Inoltre Bauman fu il primo, in Modernità e Olocausto (1989), a «vedere il genocidio (degli ebrei) non tanto come un prodotto del nazismo tedesco, bensì quanto come un esito inscritto nell’organizzazione burocratica della modernità».

Identità e isolamento

I temi dell’identità e dell’isolamento sono centrali nelle sue ricerche sociologiche e politiche. Possiamo dire che le ricerche e le riflessioni di Bauman vanno ben oltre la sociologia in quanto hanno una forte eco politica e una profondità di ragionamento raggiunta dalla dimensione filosofica delle sue riflessioni.

La grande domanda di fondo è: le identità sono solidi accentramenti oppure vorticanti frammenti della realtà?

Bauman lamenta una profonda incapacità di vivere la solitudine, che si differenzia dall’isolamento. Intanto l’isolamento può essere fortuito, come dice Martin Heidegger nel suo corso friburghese del 1931-32 sul Teeteto di Platone, «l’isolamento non è qualcosa che si può scegliere»; l’isolamento si vive passivamente, in quanto si viene isolati molto più di quanto ci si isoli da soli.

L’isolamento come attività di isolarsi vuol dire rimanere in compagnia di sé stessi, circondarsi della propria interiorità. Nell’isolamento di questo tipo abbiamo la solitudine della persona che medita con sé stessa. Bauman rimprovera all’uomo moderno globalizzato, frammento tra frammenti, una costitutiva incapacità a rimanere solo con sé stesso a pensare comunicando con la propria coscienza (consciousness). Così l’individuo moderno nelle attese della sua giornata, in treno o in fila a fare commissioni, preferisce ricorrere al social network, e cioè sceglie di non restare solo con sé stesso, ma di cercare una compagnia forzata.

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L’alternativa sarebbe guardarsi intorno e osservare di essere un frammento, mischiarsi con il respiro diacronico del consorzio umano. Che è però non poi così diverso che rapportarsi agli altri sui social. Quello di cui Bauman non tiene conto è la doppia dimensione della nostra vita – virtuale e reale, digitale e analogica.

L’algoritmo di una realtà fortemente globalizzata come la nostra può solo produrre tassonomie di porzioni e frammenti di realtà, di cui l’individuo umano è sicuramente l’esempio più riuscito. L’identità individuale, che fonda quella della comunità in base alla nozione di appartenenza plurale a un tutto unico,  se messa in questione si rivela niente affatto altro che una modalità logica di stabilizzazione della realtà caotica e frammentaria della nuova società globalizzata. Sembra però che il globalismo si sposi bene con la teoria della modernità liquida.

Modernità liquida

Come precisa Di Cesare :

«Alla fine degli anni Novanta Bauman giunge ad una formula teorica tratta da una metafora: “modernità liquida”. La formula è destinata ad un enorme successo. La liquidità assurge a sigillo dell’epoca attuale, incerta, flessibile, vulnerabile. Tutto è possibile – nulla sembra davvero realizzabile».

Bauman vuole dirci che in un’epoca flessibile come la nostra in cui tutto è possibile è proprio qui che diventa arduo e complicato realizzare alcunché. Il taglio fortemente anarchico dell’introduzione a cura della filosofia mostra la vera essenza contemporanea della modernità liquida.

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In queste pagine Di Cesare torna a fare riferimento ad alcune teorie, come quella che vede la politica sovranista odierna come un’amministrazione che tende a liquidare gli “scarti della globalizzazione”, cioè in generale quei deboli – tra i quali compaiono in gran numero gli immigrati – ai quali non viene garantita assistenza primaria, rifiutati nella loro identità di inutili, perché non possono essere in grado di consumare :

«La underclass è dunque il vero capro espiatorio della modernità liquida. così, in un tremendo cortocircuito, il naufragio della società liquida viene subdolamente spacciato per il fallimento degli esclusi, quegli inutili, superflui, non integrati e non integrabili che fluttuano alle frontiere interne ed esterne».


Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.

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