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L’omosessualità nella letteratura medievale

13 minuti di lettura

Quando si pensa al Medioevo è quasi inevitabile pensarlo come un’epoca oscurantista, buia, in mezzo tra l’Epoca classica e quella moderna. Eppure è una visione errata. Prima di tutto perché ogni epoca è l’evoluzione – o, meglio detto, con una parola scevra di qualsiasi rimasuglio di darwinismo sociale – trasformazione della società precedente. Dunque, non considerare il Medioevo come epoca influenzata dall’Epoca classica è assurdo, così come pensare che l’Epoca moderna non sia il frutto del Medioevo. Addirittura su alcune tematiche, chissà se a causa dell’influenza medievale o meno, vi è stata una certa involuzione nell’epoca successiva al Medioevo, e una di queste tematiche è sicuramente l’omosessualità.

L’Epoca moderna generalmente condanna l’omosessualità, e lo fa in modo molto sostanziale, con delle legislazioni atte a contrastare il fenomeno. Pensate che si arriverà, nella democraticissima Inghilterra, ad avere una legge contro l’omosessualità, con una pena di due anni di lavori forzati, che sarà attiva fino al 1963, epoca storicamente ancora successiva a quella moderna. Si penserà sicuramente che invece nel Medioevo la pena andava anche al di là di quell’act inglese che prevedeva una pena già alquanto terribile. Invece non è così.

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Allora qui si vuol parlare della condizione degli omosessuali nel Medioevo, usando un elemento molto utile per le ricerche storiche, perché più soggettivo, e forse più vero e vicino a chi quell’epoca l’ha vissuta sulla propria pelle: la letteratura.

Boccaccio, l’omosessualità nel «Decameron»

Tutti noi abbiamo affrontato il Decameron almeno una volta nella vita. E ciò che più colpisce è questa concordia strana, ma dolce, tra un registro linguistico alto e una serie di novelle, di racconti, che invece molto spesso sfociano in una dimensione dissacrante, per alcuni tratti addirittura sconcia.

Così forse basterebbe ribadire che Boccaccio è un uomo del Medioevo per dare una definizione un po’ più reale e veritiera alla storia di quest’epoca, ma non ci basta. Perché Boccaccio, oltre a parlare spesso di sesso, rapporti adulterini e cose che andavano, diciamo, contro i costumi e la morale, arriva a superare forse la propria epoca, nel momento in cui parla di omosessualità. E lo fa in modo molto libero, senza aver paura di qualsiasi fantomatica pena della Santa Inquisizione, che per inciso, nel ‘300 esisteva già da un secolo, ma non bruciava né streghe né infedeli. Più che altro bruciava gli oppositori politici, ma questa è un’altra storia.

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Ciò che ci interessa però è una novella in particolare: la decima della quinta giornata. E ci interessa perché il protagonista è un omosessuale e lo si capisce fin da subito. Pietro di Vinciolo, che abitava a Perugia, città dove tutti sapevano della sua condizione, decide di prendere moglie, giusto per non far malignare più il paese. Ma la sorte gli gioca un brutto scherzo, perché la donna che casualmente sceglie è una donna che Boccaccio definisce dal «pel rosso e accesa», a cui non basterebbero due mariti per essere soddisfatta sessualmente. Infatti, ad un certo punto, la moglie si accorge che il marito non è particolarmente interessato a lei e allora, come è solito in molte novelle del Boccaccio, decide di tradirlo. Lo tradisce con il garzone di paese, che invita a casa sua a cenare, una sera che Pietro è da amici. Pietro però torna a casa prima e quello che si apre è un altro scenario narrativo solito in Boccaccio: la moglie tradisce, il marito torna a casa prima e la donna usa l’astuzia per nascondere l’amante, che il marito un po’ tonto non troverà. Solo che questa volta Pietro scopre il garzone e lo fa perché questi, nascosto sotto una grossa bacinella nella stalla, si dimentica la mano fuori dalla bacinella, e un asino con gli zoccoli gliela schiaccia. L’urlo è così forte che Pietro accorre e si trova davanti l’amante della moglie.

Omosessualità
Fonte: Ente Nazionale Giovanni Boccaccio

C’è da aspettarsi, in un momento del genere, forse da parte anche di un uomo della nostra epoca, una reazione scomposta, almeno arrabbiata. Eppure Pietro rimane tranquillo e mansueto. Anzi, decide addirittura di invitare l’amante della moglie a cenare con loro. Pensate che pittoresco quadretto famigliare, pare quasi la foto natalizia di una famiglia presa da un cinepanettone. Eppure questo comportamento ha uno scopo. La narrazione di Dioneo si ferma e non si sa bene cosa succeda dopo, ma la novella non si chiude qui, ma si riapre con il garzone nel centro della città di Perugia in uno stato confusionale. Non si sa chi lo abbia accompagnato lì e non si sa se ha passato la notte con Pietro, con la moglie o con entrambi. La cosa rimane in dubbio.

Ma ora, al di là della situazione dai tratti un po’ comici, ciò su cui si deve riflettere è la modernità del pensiero di Boccaccio. Ci aspetteremmo che l’autore, dopo questa novella, dovesse finire immediatamente sul rogo. Ma non fu così. Anzi, il Decameron ottenne un vasto successo nelle corti medievali e venne letto e riletto, scritto e ricopiato in numerosissimi codici amanuensi. C’è però un momento della storia in cui il Decameron verrà messo fuori legge, e non è l’Epoca medievale, bensì l’epoca successiva, quella del Rinascimento. In pratica, mentre il mondo celebrerà la bellezza delle opere di Michelangelo, o l’acume di Leonardo Da Vinci, il Decameron di Boccaccio verrà messo nell’indice dei libri proibiti, ed è l’epoca della controriforma.

Un fabliau particolare, il prete e il cavaliere

I fabliaux sono quei componimenti di Epoca medievale di forte carattere dissacrante. La loro struttura metrica è quella di lasse di octosyllabes, simili a quello che sarà poi il novenario italiano, e copiano questa struttura poetica dai lais, componimenti tipicamente cortesi, dove i temi erano amore platonico, dolore e struggimento di dame e cavalieri che non riescono ad appagare i loro alti desideri amorosi, dai tratti di finamor. Il tutto tradotto in una lingua altissima, aulica e mai sconcia. Dunque i fabliaux sono una parodia bella e buona. E la cosa bella è che venivano letti e recitati sia al pubblico ignorante, composto da contadini e popolani, che ad un pubblico più intellettuale.

Il fabliau qui proposto ha due personaggi principali: da una parte c’è un prete taccagno e venale, figura in sfregio alla forte autorità dell’epoca che potevano avere gli uomini di Chiesa; dall’altra un cavaliere, che non è poi così attento al codice cavalleresco cortese. Il cavaliere chiede di essere ospitato dal prete, il quale non ha nessuna intenzione di soddisfare la richiesta. Allora il cavaliere decide di pagare il prete, il quale fiuta l’affare, ma ad una condizione, che questi possa assaggiare tutto della casa. Il prete tragicamente accetta. Il cavaliere, che non vuole pagare nulla al prete, comincia a fare richieste strane. All’inizio chiede di poter avere un rapporto sessuale con la figlia del prete, la quale era ancora vergine, e il prete deve accettare. Poi chiede la stessa cosa, ma questa volta alla moglie del prete (all’epoca i preti potevano sposarsi, poi nel tardo Medioevo si deciderà di imporre la castità agli uomini di Chiesa, per ragioni patrimoniali e di eredità reclamata dai figli di questi sui possedimenti della Chiesa, ma la cosa diventerà sostanziale solo dopo la controriforma). La moglie, per la cronaca, ne rimane anche soddisfatta. Un po’ meno il povero prete che sente i due divertirsi con molto gusto. Alla fine il cavaliere, per ottenere l‘esenzione del pagamento, fa una richiesta incredibile se pensiamo che si parla di Medioevo: chiede un rapporto sessuale al prete il quale rimane un po’ sorpreso. Alla fine non accadrà nulla, ma il prete per spuntarla dovrà arrivare non soltanto ad annullare il debito del cavaliere, ma addirittura a dargli del denaro.

Omosessualità

Insomma, il prete non ha chiamato quelli della Santa Inquisizione per bruciare il cavaliere, ma decide di pagare. Questo è indicativo, così come nella novella di Boccaccio, del fatto che l’omosessualità, seppure di certo non era apertamente accettata come dovrebbe essere oggi, non era nemmeno condannata in modo così violento come nelle epoche successive. E la ragione è molto semplice: agli uomini del Medioevo non interessava nulla della questione. Ma d’altronde non interessava porre limiti in generale alla sfera sessuale, e infatti, per riprendere Boccaccio, di storie di preti lussuriosi e di donne e uomini fedifraghi ce ne sono a bizzeffe. L’importante era più che altro non infastidire i potenti e i potentati dell’epoca, tra cui il Papa, che istituisce la Santa Inquisizione, ad esempio, semplicemente per reprimere le eresie che erano politicamente scomode. Ma di eretici e di persone considerate eretiche nella storia ce ne sono sempre state molte e lo erano, più che per dei motivi puramente religiosi, per motivi politici. E ci sono ancora oggi, purtroppo.

Allora concludiamo dicendo che forse il Medioevo andrebbe visto in un modo un po’ diverso, anche perché è un’epoca culturalmente vivacissima e non così oscurantista. Semplicemente si può dire che è un’epoca ingenua, ma è quell‘ingenuità che non ha dietro intenti di cattiveria. Forse la cattiveria è da ricercare in altre epoche, ma non si è qui a parlare di questo.

Vladislav Karaneuski

Classe 1999. Studente di Lettere all'Università degli studi di Milano. Amo la letteratura, il cinema e la scrittura, che mi dà la possibilità di esprimere i silenzi, i sentimenti. Insomma, quel profondo a cui la parola orale non può arrivare.