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Osvaldo Bagnoli e lo scudetto dell’Hellas Verona

9 minuti di lettura

Esisteva un tempo, nemmeno troppo lontano, in cui la nostra serie A, ogni domenica, vedeva scendere in campo questi campioni: Maradona (Napoli), Platini (Juventus), Rumenigge (Inter), Falcao (Roma), Zico (Udinese), Passarella (Fiorentina) e tanti altri. Il gotha del calcio mondiale calcava i campi della nostra penisola. Inutile giraci intorno: economicamente parlando i presidenti calcistici italiani, in quegli anni, non se la passavano male. Ciò che appare singolare è che tutte le squadre potevano contare su un paio di calciatori stranieri di eccellente livello. Nell’estate del 1984, a Verona approdarono due giocatori: un terzino e un attaccante. Entrambi disputarono un eccellente europeo con la maglia delle rispettive nazionali: il tedesco Briegel e il danese Elkjaer-Larsen. L’Hellas di quegli anni era senza dubbio una squadra ostica per chiunque. Ritornata da poco tempo in serie A si mise subito in luce conquistando la qualificazione in Coppa Uefa e una finale di Coppa Italia (sconfitta dalla Roma). Fra le cosiddette provinciali, il Verona era certamente una delle compagini più importanti: grande pubblico, un allenatore pragmatico come Osvaldo Bagnoli, i due acquisti stranieri sommati a un nucleo importante di italiani. Insomma, nell’estate del 1984 c’erano tutti gli ingredienti per un’altra stagione positiva. Nessuno però avrebbe mai potuto immaginarsi una cavalcata del genere.

La rosa dell’Hellas. stagione 1984-85.
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Osvaldo Bagnoli approdò sulle rive dell’Adige la prima volta nel ’57, da calciatore. Osvaldo è un uomo della periferia di Milano, nato e cresciuto nel quartiere della Bovisa; ha mosso i primi passi calcistici nell’Ausonia, storica squadra giovanile milanese. La svolta della sua vita (non soltanto della carriera) arriva nell’estate del 1981. L’ambizioso presidente dell’Hellas Verona Celestino Guidotti lo volle a tutti i costi come allenatore della sua squadra, promettendo, di fatto, un ricco calciomercato; Bagnoli non deluse le attese e al primo anno ottenne la promozione in serie A e l’anno successivo, come si è detto, centrò addirittura la qualificazione europea. La qualità principale del mister (non ancora il Mago della Bovisa) oltre a una sana dose di pragmatismo tattico (pochi fronzoli perché, d’altronde, il calcio è un gioco molto semplice), consisteva nel saper ridare nuova linfa a calciatori avviati verso una parabola discendente. Allenando una provinciale ci sono soltanto due opportunità per potere reggere il confronto con società più ricche: o si punta tutto sui giovani, i quali però hanno bisogno di molto tempo per poter maturare, oppure si possono comprare a basso prezzo presunti “bidoni” scartati dalle altre grandi squadre. Bagnoli allestì la propria macchina da guerra con i vari Tricella (ex Inter), Di Gennaro e Bruni (entrambi scartati dalla Fiorentina), Galderisi e Fanna (riserve della Juventus). Il mister riesce a resuscitare ex giovani promesse finite nel dimenticatoio e a ciò si aggiungono i due stranieri del nord Europa, il tedesco e il danese. La città nell’estate del 1984 può sognare in grande. Già, ma quanto in grande?

Osvaldo Bagnoli portato in trionfo.
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Effettivamente leggendo la rosa dell’Hellas balza agli occhi un dato incontrovertibile: il mister Bagnoli (senza staff tecnico, ma solamente con un vice-allenatore) ha a disposizione solamente 17 giocatori. Una miseria per una squadra giovanile, figurarsi per una compagine che punta ai piani nobili della serie A. Osvaldo dirà che quell’anno è stato anche molto fortunato: ci furono pochissimi infortuni e mai in contemporanea. Non avendo grosse stelle fu necessario puntare tutto sul collettivo. Nove elementi della rosa parteciparono alla festa del gol e i due centravanti, ovviamente, portarono a casa il bottino maggiore: 11 centri per Galderisi e 9 per Briegel. Il Verona balzò in vetta della classifica fin dalla prima giornata: la Juventus di Platini, campione in carica, scomparve presto dalla scena, mentre l’Inter di Rumenigge provò a resistere, invano, alla corsa degli scaligeri. L’Italia intera cominciò presto a considerare l’Hellas come una solida realtà che può ambire al titolo; sui giornali e nei salotti televisivi si fecero innumerevoli disamine tattiche sul Verona di Bagnoli. Al mister venne chiesto di rivelare qualche segreto relativo alla sua squadra. Il Mago della Bovisa si schernì: «Il Verona gioca un calcio tradizionale, che noi facciamo pressing lo leggo sui giornali. Io in campo non l’ho mai notato. Scusate, mi chiedete una ricetta che non so». Finta umiltà? Un modo per non rivelare niente e restare abbottonati? In realtà è molto probabile che Osvaldo Bagnoli fosse sincero. Il suo modo di intendere il calcio era molto semplice: «Il tersin fa il tersin; il median fa il median», ripeteva spesso il mister con il suo modo di parlare, un dialetto che mischia la sua origine milanese con il veronese d’adozione. Grazie a queste ricette da osteria spartana piuttosto che da ristorante stellato, il 12 maggio 1985 l’Hellas Verona andò a giocare a Bergamo contro l’Atalanta. Era sufficiente un pareggio per poter festeggiare lo scudetto con una giornata d’anticipo, e un pareggio, puntualmente, arrivò.

Il Bentegodi ribolle di passione.
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Dei tre scudetti italiani vinti in provincia (Verona, Cagliari, Sampdoria), quello dell’Hellas è senza ombra di dubbio il meno atteso. A Cagliari giocava un certo Gigi Riva, il centravanti azzurro più forte di sempre, mentre la Sampdoria del presidente Mantovani era una società molto ricca. Oltretutto, come si è ricordato all’inizio, gli anni ’80 rappresentarono un periodo straordinariamente florido per il nostro campionato. Vincere il tricolore davanti a gente come Maradona e Platini è un’impresa che oggi acquisisce un significato ancora più ampio, anche perché nel XXI secolo (esclusa l’iniziale sosta romana) lo scudetto è transitato solamente a Milano e Torino. Un anno fa, di questi tempi, lo scudetto del Verona venne menzionato molte volte come metro di paragone dell’impresa che stava compiendo il Leicester di Claudio Ranieri in Premier League. Anche il Verona, così come la squadra campione d’Inghilterra, nella stagione seguente al titolo deluse le aspettative, come d’altronde è lecito immaginarsi dopo un’impresa del genere. Osvaldo Bagnoli rimase ad allenare l’Hellas Verona fino al 1990, anno in cui la sua creatura retrocedette in serie B, anche a causa di un fallimento societario. Il Mago della Bovisa ha vissuto altre due esperienze da allenatore: una eccellente al Genoa (raggiunse la semifinale di Coppa Uefa, dopo aver eliminato il Liverpool vincendo – prima squadra italiana – ad Anfield) e una in chiaroscuro all’Inter (secondo posto ed esonero nella stagione successiva). Oggi mister Osvaldo è un ottuagenario non più addentro al mondo del calcio. Dopo aver smesso di allenare (a soli 59 anni) si è stabilito a Verona (e in quale altra città, se no?), dove si fa cullare dai ricordi di un’impresa che, al momento, appare irripetibile.

 

Giacomo Van Westerhout

Classe 1992, possiedo una laurea magistrale in ambito umanistico. Maniaco di qualsiasi cosa graviti intorno allo sport e al calcio in particolare, nonostante da sportivo praticante abbia ottenuto sempre pessimi risultati. Ho un debole per i liquori all'anice mediterranei, passione che forse può fornire una spiegazione alle mie orribili prestazioni sportive.

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