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Parigi in lockdown. Confinamento e distanza sociale nella città dei flâneur

10 minuti di lettura

Stare chiusi in casa a Parigi è diverso rispetto ad altre città. Riceviamo e pubblichiamo il reportage di Federico Castigliano, autore del libro Flâneur. L’arte di vagabondare per Parigi (acquista).

La via si apre come un sipario davanti a me. Il sole inonda le facciate simmetriche ed eleganti, in stile Haussmann. È un mezzogiorno di aprile a Parigi. L’aria è pulita, il cielo è blu. Sto percorrendo la Rue de Chateaudun. Mi guardo attorno ma non c’è nessuno. Le serrande abbassate e qualche macchina ai lati della via. Le insegne spente, i parcheggi vuoti. Giro a destra verso la rue La Fayette, il viale rettilineo che conduce all’Opéra. Cammino a passi svelti, furtivo come un bandito. La città, senza i suoi abitanti, senza i rumori, è un labirinto di pietra. Il quartiere rappresentato nei quadri impressionisti di Monet, di Édouard Cortès, appare adesso uno scenario metafisico e inquietante, una pittura alla De Chirico. Le ombre si allungano sul boulevard. Sagome lontane incedono a passi lenti, cariche di pacchi e di borse per la spesa. I gesti dei pochi passanti si fanno solenni alla luce intensa del meriggio. Oltrepasso le vetrine sprangate delle Galeries Lafayette. Poi la massa dell’Opéra Garnier, rovina di una civiltà scomparsa. I monumenti non sono che scrigni vuoti, mere strutture architettoniche che nessuno fotografa più. Manca l’eco lontana dei secoli, quel filo sottile che ci collegava a chi in passato ha percorso e vissuto questa città. Manca la folla in cui Baudelaire amava immergersi, come in un’orgia ineffabile dove l’io può scomparire. Parigi, dove il volto dei passanti, le insegne e le vie ci parlavano un linguaggio cosi singolare, è ora muta.

© Federico Castigliano
Parigi
© Federico Castigliano

La città è in lockdown da venti giorni. Restano aperti i negozi di alimentari e di prima necessità e ci è concessa un’ora d’aria per passeggiare, per portare a spasso il cane o per fare la spesa. Ma senza allontanarsi troppo. Certo, questo è un momento difficile per tutti. Metà del genere umano è chiuso in casa, non può recarsi al lavoro né abbracciare i propri cari. Nel mondo intero si ha la percezione di vivere un momento storico. Ma qui il confinamento, reso necessario per arginare l’epidemia, acquisisce un significato ancora più profondo e simbolico. A Parigi, infatti, il lockdown coincide con il divieto della flânerie, cioè di quell’abitudine di vagabondare liberi e senza meta per le vie della città, che si era affermata durante la seconda metà del XIX secolo, diventando una pratica sociale e una fonte di ispirazione artistica. La Parigi moderna, ristrutturata da Haussmann, si presenta al passeggiatore solitario, il flâneur, come un paesaggio da ammirare e, al tempo stesso, come uno spazio interiore, un salotto in cui vivere come a casa propria. La città moderna con la sua folla, i monumenti e le sue gallerie diventa un teatro che incanta con il suo panorama vivente.

© Federico Castigliano
Parigi
© Federico Castigliano

Come è possibile che questa città, la “terra promessa” dei flâneur, ci chieda ora di astenersi dal suo spettacolo, di restare barricati nelle quattro mura di una stanza? Certo, per il bene di tutti è necessario rinunciare a una parte delle nostre libertà individuali. Ma qui più che altrove si ha la percezione di assistere, durante il confinamento, alla fine di un’epoca, o a una fase di regressione che desta non poca inquietudine sul nostro futuro. Si stava chiusi in casa anche a Wuhan o in altre città del mondo colpite dall’epidemia. Ma Parigi non è una città fatta di torri, di centri commerciali e di autostrade. Con quei bistro dai tavolini tondi disposti lungo i boulevard, dove si sta seduti uno accanto all’altro come al cinema, a vedere la gente che passa. Con i suoi lungofiumi dove la gente fa un picnic seduta a terra, mentre chiacchiera e contempla il tramonto. Parigi è una casa aperta a tutti, è una trama ininterrotta di storie e di destini. Qui risulta più difficile, quasi impossibile, immaginare il “distanziamento sociale”. Forse, come ha scritto recentemente Éric Zemmour in un articolo sul “Figaro”, il confinamento e l’abolizione delle libertà individuali sono il prezzo da pagare per un ritardo tecnologico dell’Europa, che non ha saputo reagire in modo efficace alla propagazione del virus. Non eravamo certo pronti ad affrontare un’epidemia del genere. Ma, mi viene da sperare, si potranno in futuro progettare soluzioni alternative, se questo stesso scenario dovesse riproporsi. Nei giorni che hanno seguito lo scoppio dell’epidemia, a Parigi sono scomparsi i turisti e abbiamo assistito anche qui alla sequenza di eventi abbastanza caotica che ha caratterizzato la crisi sanitaria in altre grandi città: l’iniziale sottovalutazione o sprezzo del pericolo, poi all’improvviso il panico e l’assalto ai supermercati, la fuga in massa dalla città e infine il silenzio. Parigi ha chiuso i battenti. Sarà solo un breve intervallo, un intermezzo nello spettacolo? Lo spero.

© Federico Castigliano
Parigi
© Federico Castigliano

Continuo la mia breve camminata tra i boulevard della rive droite. Raggiungo la stazione Richelieu-Drouot. Era qui il cuore pulsante della Belle Époque. Era tutto uno sfavillare di teatri, di ristoranti e di cabaret, di luoghi consacrati ai divertimenti che la nuova modernità poteva offrire. Oggi, tutto è attesa e silenzio. Eppure, nel pianeta sconvolto dall’epidemia, dove pare si rafforzino i regimi autoritari, si innalzino muri e si chiudano frontiere, una passeggiata per questi viali mi trasmette una strana sensazione di leggerezza. A guardarla bene, anche così vuota e spettrale Parigi resta una città “aperta”. È uno spazio che, per le sue peculiari caratteristiche urbane e sociali, permette all’individuo di muoversi in tutta libertà e al contempo lo obbliga a confrontarsi con l’altro. Basta dare un’occhiata alle insegne dei negozi chiusi, ai nomi dei bar e dei ristoranti, alle targhe commemorative che si susseguono sui muri. Parigi è la “meraviglia mostruosa” di Balzac, la città-mondo che ha accolto e esaltato nel corso della sua storia. Idee, espressioni artistiche e culture diverse: dalla commedia dell’arte italiana alla musica jazz, dalla pittura russa alla letteratura americana. E come il flâneur, personaggio emblematico della modernità europea, passeggiava per la città curioso, un “io insaziabile di non-io”, cosi noi bramiamo di ritornare tra le vie di Parigi per metterci in scena, ma anche per confrontarci fuori dai muri con le differenze e con l’alterità. Attendiamo con pazienza la fine di questo confinamento. È giusto ora restare a casa, ma speriamo che tutto ciò non cambi la nostra essenza. Che il nostro domani sia ancora il territorio della libertà, della leggerezza e della flânerie.


Federico Castigliano, Dottore di Ricerca in Letterature Comparate (Università di Torino), è Professore Associato in Italianistica. Dopo aver lavorato per diversi anni in Francia, attualmente insegna all’Università di Studi Internazionali di Pechino. È autore di “Flâneur. L’arte di vagabondare per Parigi” (2017). I suoi scritti sovrappongono lo stile saggistico a quello narrativo e si incentrano sul rapporto tra individuo e spazi urbani, esplorando le possibilità della città di oggi.


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