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Il pivot della storia: Mackinder e la nascita della geopolitica

Nel cuore dell’Eurasia si gioca il controllo del mondo. Che cos'è l’Heartland di Mackinder? E perché è così importante per capire cosa sta succedendo in Medio Oriente e in Ucraina?

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Perché il Medio Oriente appare da generazioni come una polveriera destinata a esplodere ciclicamente? E perché l’Ucraina è diventata l’epicentro di una nuova guerra europea, in un’epoca che speravamo post-bellica? Queste domande non possono ricevere risposte semplici, né si esauriscono nelle scelte contingenti dei leader politici. Eppure, forse, ci sono spiegazioni comuni per le situazioni che si verificano regolarmente nelle stesse aree del mondo.

C’è una dimensione analitica che affonda le radici nella configurazione stessa dello spazio. La chiamiamo geopolitica, e la definiamo come «l’influsso che i fattori geografici hanno sulla politica degli Stati […] e quindi sulla storia delle varie entità politiche e dell’insieme dell’umanità» (Treccani). Tra i pionieri di questa disciplina, spicca la figura di Sir Halford John Mackinder, geografo, politico ed esploratore britannico nato nel 1861, che all’inizio del XX secolo propose una visione rivoluzionaria: la geografia fisica, lungi dall’essere un semplice sfondo, era da considerare al centro della politica mondiale.

Nel suo celebre saggio del 1904, The Geographical Pivot of History (“Il perno geografico della storia”), Mackinder lanciò una teoria destinata a segnare profondamente il pensiero geopolitico e le strategie internazionali per oltre un secolo. Il cuore della sua proposta era un’idea semplicissima: il controllo della regione centrale dell’Eurasia – che chiamò Heartland – avrebbe garantito il predominio su tutto il pianeta.

Una mappa che rappresenta la pivot area teorizzata da Mackinder (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Heartland.png)

La teoria nasceva in contrapposizione con buona parte del pensiero storico e geografico in auge in quel momento. Per secoli, il dominio mondiale era stato legato al controllo dei mari: potenze come la Gran Bretagna, o il Portogallo e i Paesi Bassi prima di lei, avevano costruito imperi fondati sulla supremazia navale, sul controllo delle rotte commerciali marittime e sulla capacità di propagare la propria forza attraverso gli oceani. In questa logica, il mare rappresentava la via maestra del potere, mentre la terraferma (soprattutto l’Europa continentale e l’Asia) era vista come un territorio frammentato e vulnerabile. Alfred T. Mahan, ammiraglio e studioso statunitense del XIX secolo, era il punto di riferimento per questa visione basata sul sea power.

Al centro di questa massa continentale, Mackinder individuò appunto l’Heartland: una vasta regione che abbraccia l’Europa orientale, la Russia interna e l’Asia centrale, ricca di risorse naturali, difficilmente accessibile via mare e protetta da barriere naturali. Il controllo di quest’area avrebbe permesso a una potenza di esercitare un dominio incontrastato sull’intero continente eurasiatico e, di conseguenza, sul mondo. Come Mackinder stesso avrebbe riassunto la sua teoria nel 1919:

Who rules East Europe commands the Heartland;
who rules the Heartland commands the World-Island;
who rules the World-Island commands the world.

Le implicazioni di questa teoria sono state enormi, influenzando gli equilibri e le strategie geopolitiche di tutto il XX secolo. Mackinder lanciava un monito specifico alla Gran Bretagna e alle potenze marittime: il loro dominio sarebbe stato messo in discussione dalla crescente capacità delle potenze terrestri di mobilitare risorse e uomini su vaste distanze. La Germania e la Russia, in particolare, rappresentavano la minaccia più grande perché potevano unire le ricchezze dell’Heartland con la loro crescente potenza industriale.

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La Prima Guerra Mondiale e la Rivoluzione russa confermarono la rilevanza di questi sospetti. Mackinder aggiornò la sua teoria per includere una visione più estesa dell’Heartland, comprendendo tutta l’Europa orientale fino al Baltico e al Mar Nero. Sostenne l’idea di creare stati cuscinetto per impedire l’unione di grandi potenze terrestri e mantenere un equilibrio di forze.

Con il senno di poi, nel corso della Seconda guerra mondiale, della Guerra Fredda e dei conflitti attuali, la teoria di Mackinder è sembrata spesso profetica: il contenimento dell’Unione Sovietica e la difesa dell’Europa orientale erano fondamentali nella strategia americana, in un confronto che aveva uno dei suoi scenari più intensi proprio nell’Heartland. Le alleanze NATO e i sistemi di difesa erano tutti orientati a impedire che Mosca potesse consolidare un controllo completo sulla regione.

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Diventa facile a questo punto provare a leggere con la stessa chiave conflitti contemporanei ed evoluzioni del commercio. La guerra in Ucraina, esplosa nel 2022, è stata vista da alcuni analisti proprio alla luce della teoria dell’Heartland: la Russia starebbe cercando di riaffermare la sua influenza nell’Europa orientale e in aree che garantiscono profondità strategica, accesso al Mar Nero e un controllo più stabile del cuore del continente. Nel frattempo, la Cina ha lanciato l’imponente Belt and Road Initiative, un piano che mira a migliorare i collegamenti commerciali terrestri con il resto dell’Eurasia e a ridurre la dipendenza dalle rotte marittime. Nel Medio Oriente, da decenni ormai teatro di crisi e conflitti apparentemente insolubili, la logica del potere terrestre si intreccia con quella marittima, energetica e ideologica. La sua posizione tra Africa, Asia e Europa la rende un nodo essenziale nelle strategie delle potenze regionali e globali, in una complessità che sembra rispecchiare il paradigma di Mackinder.

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Chiaramente, la teoria non è immune da critiche, e anzi, è proprio la sua longevità a imporci di adeguarla ai cambiamenti della tecnologia, dell’esercizio del potere e del modo di fare la guerra avvenuti nell’ultimo secolo. Il principale limite individuato da molti studiosi è il determinismo geografico, cioè l’idea che la posizione fisica di uno Stato o di una regione sia di per sé sufficiente a determinarne il destino politico e strategico; il rischio è di ridurre la complessità storica e culturale a una variabile secondaria.

Il pensiero di Mackinder rifletteva anche una concezione novecentesca del potere, ancora legata alla mobilitazione fisica delle risorse e al controllo territoriale diretto. Ma nel XXI secolo le forme del potere si sono evolute e moltiplicate. Non è più sufficiente controllare territori e risorse materiali: oggi la sovranità si esercita anche nello spazio digitale, non solo in quello fisico. Allo stesso modo, le guerre non si combattono più solo con carri armati e divisioni corazzate, ma con attacchi informatici, campagne di disinformazione, manipolazione delle piattaforme digitali. Il potere si misura nella capacità di condizionare i flussi: non solo quelli di merci e risorse, ma anche quelli di dati, algoritmi, capitali e immagini. Significa che tra potere terrestre e potere marittimo si è inserito un ulteriore elemento di complessità, non altrettanto tangibile.

Per questo, molti analisti contemporanei ritengono che la teoria dell’Heartland, pur mantenendo una validità storica e una forza interpretativa di fondo, debba essere radicalmente aggiornata. Il pivot della storia non è più (solo) un punto geografico sulla mappa, ma un intreccio di snodi energetici, digitali, simbolici.

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Daniele Rizzi

Nato nel '96, bisognoso di sole e di pace. Sono specializzato in storia medievale, insegno lettere alle medie. Mi fermo sempre ad accarezzare i gatti per strada.

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