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Presente e futuro del digitale. L’eredità del periodo Covid-19

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17 minuti di lettura

Nel 2013 Luciano Floridi coniò un neologismo: onlife. Il nuovo termine serviva a dare un riferimento importante rispetto al nuovo modo di vivere delle persone segnato da una commistione del mondo analogico con quello digitale. La principale conseguenza di questo nuovo modo di vivere è che la localizzazione e la presenza vengono scollegate. Una persona può essere locata in un certo luogo ed essere presente in un altro in cui svolge attività.

In questo periodo di pandemia abbiamo visto come questo scollamento determinato dall’irruzione del digitale nelle nostre vite intervenga anche nel mondo del lavoro e dell’apprendimento scolastico: si è al lavoro stando a casa; si è a scuola o all’università pur essendo nel soggiorno di casa propria. Lo smart working e la didattica a distanza o e-school (a proposito del lessico di questi “nuovi” termini si veda la utile spiegazione svolta in questo articolo), infatti, determinano una condizione lavorativa per la quale un impiegato e un docente svolgono la propria professione nell’ambiente domestico (il lavoro da remoto era già in uso per specifiche professioni, dal giornalismo alla moda).

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Quali miglioramenti e quali opportunità nuove comporta questa situazione? Da una parte lo smart working ridefinisce l’orario di lavoro, la responsabilità nello svolgimento dello stesso, dall’altra alcuni lavoratori non sono più costretti a viaggiare per molte ore per andare a lavorare. Lo stesso vale per gli studenti con la didattica a distanza. Ad esempio, per la prima volta nella storia delle istituzioni preposte all’insegnamento accademico, gli studenti sanno in anticipo l’orario in cui svolgeranno il proprio esame, si connettono al meeting digitale e sostengono il colloquio in modalità telematica comodamente da casa loro. Si tratta sicuramente di una acquisizione preziosa in termini di organizzazione didattica, da non perdere in futuro. Non dimenticando i benefici apportati alle condizioni climatiche, sono due gli aspetti positivi che sono stati giustamente segnalati riguardo la DaD e lo smart working: la responsabilizzazione individuale del proprio lavoro e il miglioramento della qualità della vita. Condizioni che le società civili cercano di conciliare almeno a partire dalla Rivoluzione Industriale.  

Il dibattito sulla didattica online

L’e-learning consente ai ragazzi di familiarizzare con il digitale in modo diverso rispetto all’ordinario, e cioè insegna loro a smettere di pensare che la vita online sia esclusivamente lo svago e l’intrattenimento dei social media (che comunque sono anche altro). Sostenere che la didattica online sia “un accessorio” delle lezioni frontali in presenza significa non aver capito niente del tempo storico in cui ci troviamo: quello della rivoluzione digitale e delle ITC. In questa fase si stanno formando gli schieramenti, i poli opposti, ma non si vede ancora il terreno per un dibattito costruttivo. C’è chi denuncia i rischi della didattica online (ad esempio la perdita del valore politico dell’aula e la riduzione della didattica al flusso di nozioni senza incontro) e chi ne evidenzia le molte positività: bisogna augurarsi che presto vi sarà una interlocuzione costruttiva tra gli schieramenti.

Anche se il compito di prendere decisioni non spetta né ai filosofi né agli intellettuali, ma è affare della politica, comunque spetta loro il compito di essere punti di riferimento teorici per le persone, le quali formano una propria opinione anche seguendo i dibattiti della cronaca culturale e non solo politica. E critiche solo oppositive al digitale sono oggi anacronistiche, controproducenti e anti-intuitive.

Serviva una pandemia per accorgerci delle potenzialità del digitale?

L’uso di Internet a scopi didattici vigeva già prima dell’emergenza Covid-19: molti docenti utilizzavano già blog e gruppi Facebook per la diffusione di materiale didattico e per stimolare il confronto dialogico didattico nella vita online. Con la pandemia si è presentata l’occasione per un’integrazione più massiccia tra l’apprendimento digitale e le istituzioni preposte all’insegnamento, cioè un ambito professionale prettamente analogico e offline come quello dell’insegnamento è stato integrato con la dimensione digitale e online. Per alcuni è il momento di opporre resistenza a una situazione che potrebbe diventare permanente. Tuttavia, sebbene in questo periodo si tratti di una sostituzione dell’analogico con il digitale, più che di una integrazione dei due, ciò non significa né che una loro integrazione sia un male, né che la didattica online precluda la condivisione e la relazione collaborativa.

Le identità digitali – lo stiamo vedendo – non sono fittizi simulacri della presenza fisica, ma un modo diverso di interagire. Comunque è fondamentale sottolineare che ci sia voluta una pandemia per riflettere sulla didattica al di fuori degli ambienti strettamente pedagogici per ridefinirla, e arrivare a rendersi conto che il primo e principale metodo di valutazione didattica deve riguardare l’attenzione, la partecipazione e il domandare pertinente del discente. È talmente naturale che viene da chiedersi come mai sia servita una crisi simile perché ciò accadesse.

Quello didattico è un ambiente in cui letteralmente si lavora con le informazioni. Visto che le informazioni hanno la capacità di transitare dall’analogico al digitale e viceversa, l’uso della didattica a distanza, nell’era digitale, sarebbe dovuto essere una naturale evoluzione della didattica in presenza a prescindere dalla pandemia, pur non sostituendola del tutto, come forma sperimentale di neo-didattica digitale volta a elaborare nuove metodologie di gestione e trasmissione del sapere e delle conoscenze. Oltre che come cantiere di un nuovo metodo educativo. La criticità principale della DaD sta, per ora, nel fatto che software e tecnologie progettate per altro vengano ad essere utilizzate nella didattica di E-learning (MS Teams, GSuite), ma esistono piattaforme progettate proprio per questo (Classroom).

Problemi (risolvibili) delle didattica a distanza

È altresì vero che l’uso della DaD, se divenisse metodo di insegnamento obbligatorio, recherebbe con sé seri problemi, mettendo in risalto le disparità sociali ed economiche tra chi può permettersi i dispositivi necessari e chi invece no. Ma nell’era della rivoluzione tecnologica non essere in possesso di dispositivi tecnologici equivale ad essere fuori dal proprio tempo e dal proprio mondo, non essere integrati. È giusto pensare di retrocedere a uno stato di cose pre-tecnologico per garantire l’uguaglianza?

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Che la scuola fisica sia, a volte, un punto di riferimento degli studenti più della propria casa è un aspetto da non dimenticare, ma non è forse un modo migliore di risolvere il problema fornire incentivi economici a chi non può permettersi i dispositivi, e continuando a garantire la presenza, attuare la doppia modalità didattica, attraverso l’integrazione tra digitale e analogico nell’istruzione? È quello che si progetta già da qualche tempo parlando di “didattica mista” (blended learning), che sarà oggetto di discussione alla Milano Digital Week 2020 in una lectio magistralis di Susanna Sancassani, docente di Metodi e Tecnologie Innovative della Didattica al Politecnico di Milano e autrice di un libro sull’innovazione della didattica (Progettare l’innovazione didattica, acquista). Sarebbe da chiedersi quale problema tecnico o etico impedisce che una lezione frontale in presenza possa essere al contempo trasmessa online in una piattaforma universitaria o sui siti internet delle scuole secondarie. Ciò impedirebbe la riduzione della collaborazione del lavoro di gruppo alla condivisione di file e di informazioni che la didattica online produrrebbe secondo chi la critica.

La positiva integrazione tra analogico e digitale

Allontanare il digitale dalle classi vorrebbe dire non aver imparato niente sulle opportunità e sulle migliorie apportate da questo tipo di didattica durante il lockdown (in merito si veda la testimonianza di una giovane docente riportata in questo libro collettivo). È facile riscontrare, infatti, un miglioramento delle prestazioni di ascolto e concentrazione da parte dei discenti, un acuirsi delle capacita di elaborazione delle informazioni e di analisi dei concetti espressi, data dalla situazione di seguire lezioni nella comfort zone della propria abitazione. Responsabilizzazione del proprio lavoro di studio.

Miglioramenti si hanno anche rispetto all’organizzazione della didattica: gli studenti (pendolari e non) non sono obbligati a viaggiare per ore per svolgere un esame o per partecipare a una lezione (con conseguenze ecologiche positive); i professori – nei licei – attuano nuove metodologie di valutazione finalmente basate sulla partecipazione e sull’interesse dimostrato dal discente, creando un circolo virtuoso che consente di ripensare dal principio la didattica: ascoltare e partecipare sono i requisiti per ricevere una buona istruzione e quindi criteri della valutazione di essa, la quale viene decisa dalla comprensione che lo studente mostra attraverso le domande pertinenti. Gli studenti universitari, per la prima volta, sanno con precisione e in anticipo l’orario del proprio esame.

Queste conseguenze positive devono farci pensare seriamente a non gettare via quello che abbiamo imparato da questo nuovo uso del digitale per scopi didattici e lavorativi. Quelle dello smart working e della didattica a distanza sono pratiche che implementano l’immane fenomeno dell’iperconnessione come il fenomeno del nostro tempo. È quantomai indispensabile, nella nostra epoca, quella in cui definiamo il digitale e lo introduciamo nella vita umana professionale e ricreativa, sensibilizzare all’uso di questo e mostrare i benefici e i miglioramenti che esso comporta per esseri analogici come noi. Per fare un esempio di un aspetto positivo, basti pensare all’acuirsi delle capacità analitiche delle persone da quando utilizzano la rete e metodi di videoscrittura per comunicare. 

Digitale e insegnamento: le posizioni di Agamben fanno discutere

La più significativa, tra le conseguenze a latere che ha prodotto la situazione di emergenza che stiamo vivendo, è quella dell’incremento dell’integrazione tra analogico e digitale. Questione che sta creando diatribe senza spazio di confronto per un accordo tra chi la incoraggia e chi la ostacola. C’è una petizione in atto – firmata da docenti universitari e intellettuali –  per sradicare la didattica online dal sistema dell’insegnamento. Non si tratta di un caso isolato, sono comparse lettere aperte che inneggiano alla disobbedienza civile e persuadono a mettere in discussione i benefici della didattica a distanza, come questa.

Addirittura Giorgio Agamben, in una invettiva contro la DaD pubblicata sulla pagina dell’Istituto italiano per gli Studi Filosofici dal titolo Requiem per gli studenti, arriva a paragonare i docenti che accettano di fare lezione online ai docenti che nel 1931 giurarono fedeltà al regime Fascista, parlando di “dittatura telematica”. Con ragione Agamben denuncia la fine dello studentato come forma di vita, fenomeno che, però, non ha nulla a che fare con la didattica online e già in atto da anni. Anzi, per chi scrive, la didattica online ne è la soluzione, in quanto sviluppa una nuova forma di aggregazione disciplinare al passo coi tempi (si pensi, ad esempio, ai blog o ai gruppi Facebook che certi docenti aprono per incentivare il dialogo didattico online). Una critica così forte come quella di Agamben contro l’insegnamento online porta solo al parossismo storico, il rifiuto tecnofobo dell’integrazione tra analogico e digitale. È un attacco al progresso e al miglioramento del settore dell’insegnamento.

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Nonostante queste posizioni, nella cronaca culturale attuale, in molti hanno capito che le tecnologie digitali – soprattutto le ICT –  lungi dall’essere deleterie o prodotti di una vagheggiata “tecnocrazia”, sono risorse indispensabili per vivere meglio, e che il digitale nel suo complesso migliora la gestione e l’organizzazione delle informazioni e delle metodologie lavorative e didattiche. A questo proposito, è stato presentato il manifesto tablet nello zaino, che mette in chiaro con lucidità l’importanza dei dispositivi tecnologici per scuola e lavoro e incoraggia a metterla di pensare che la cultura sia qualcosa di refrattario a internet e al digitale.

Una nuova normalità

Se è vero che in questo periodo l’ago della bilancia pende un po’ troppo verso il digitale, quando la situazione di emergenza sarà finita non si dovranno concentrare gli sforzi per compiere una completa inversione di tendenza per tornare a una vita prettamente analogica sulla scorta di nuove (o vecchie) idiosincrasie verso la vita online.

La vera sfida sarà quella di accogliere e perfezionare una nuova normalità in cui, in modo ancor più naturale, il digitale arricchisce e semplifica la nostra esperienza quotidiana e migliora le nostre prestazioni di lavoro e di studio (già nel 2016 Kenneth Goldsmith sosteneva che il tempo speso in internet non è solo tempo perso). Esistono discipline accademiche che si occupano delle questioni pedagogiche legate al digitale, come «Tecnologie dell’Istruzione e dell’Apprendimento», proprio perché una educazione all’utilizzo del digitale per imparare a coglierne le opportunità dovrebbe diventare parte integrante del curriculum scolastico di ogni studente. 

 


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Lorenzo Pampanini

Classe 1994. Laureato in Scienze Filosofiche all'Università La Sapienza di Roma.