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"Prima di noi" di Giorgio Fontana. Copertina a cura di © Sellerio Editore

«Prima di noi» di Giorgio Fontana: una grande storia italiana

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23 minuti di lettura

Nel gennaio 2020, la casa editrice Sellerio ha pubblicato Prima di noi (acquista), nuovo romanzo di Giorgio Fontana, scrittore classe 1981 e vincitore del Premio Campiello 2014 con Morte di un uomo felice, anche questo pubblicato dalla casa editrice di Palermo. Il monumentale romanzo dell’autore originario di Saronno ha fin da subito catturato l’attenzione della critica, al punto che lo scrittore Marco Missiroli lo ha definito un grande romanzo italiano.

La trama di «Prima di noi»: le quattro generazioni Sartori

Se, infatti, in Morte di un uomo felice l’autore affronta solo una parte della storia del nostro paese, ovvero la stagione terroristica degli anni Settanta-Ottanta, in Prima di noi, invece, narra quasi un secolo di storia italiana, vale a dire dal 1917, con la disfatta di Caporetto, fino al 2012. I protagonisti di questa storia sono la famiglia Sartori, il cui capostipite Maurizio, originario del Friuli, apre il romanzo abbandonando i suoi compagni feriti e andando al casale di Nadia Tassan, che metterà incinta e inizialmente abbandonerà, per poi ritornare da lei dopo aver rincontrato il padre della giovane.

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A questo iniziale abbandono e successivo ritorno seguiranno le vicende della seconda generazione di Sartori, ovvero GabrieleDomenico e Renzo, i quali vivranno l’avvento del Fascismo e la Seconda guerra mondiale. Da Gabriele e Renzo, che lasceranno Udine alla volta dell’hinterland milanese, in particolare Saronno il primo e Sesto San Giovanni il secondo, dove muoveranno i propri passi la terza generazione di Sartori, ovvero Eloisa e Davide, figli di Gabriele, e Diana e Libero, figli di Renzo, che vivranno un periodo di grande tumulto del nostro paese, costituito dalle lotte operaie, il Sessantotto e gli Anni di piombo. 

Il romanzo si chiude, infine, presentando le storie dell’ultima generazione di Sartori, ovvero Dario, figlio di Libero, e Letizia, figlia di Eloisa, le cui vicende si muovono sullo sfondo del berlusconismo e del precariato giovanile, un periodo che si estende dal 1992 al 2012, fatto di incertezze e paure, ma anche questo pregno di eventi di rilevanza internazionale come le vicende della ex-Jugoslavia prima e il conflitto siriano poi.

Prima di noi
“Prima di noi” di Giorgio Fontana. Copertina a cura di © Sellerio Editore

«Prima di noi»: la grande epopea familiare

Il romanzo Prima di noi di Giorgio Fontana si presenta come una grande epopea familiare, la cui grandezza è data non solo dalla mole del volume, di quasi novecento pagine, ma anche dal periodo storico che la storia copre. Il romanzo, infatti, è suddiviso in 11 parti e copre tutto il Novecento fino ad arrivare agli anni Dieci del XXI secolo. Ciascuna parte è suddivisa in base al periodo storico che ricopre e il filo conduttore è la presenza della famiglia Sartori, una famiglia di persone semplici che vivono le loro vicende sullo sfondo della grande Storia, a cui prendono parte stando ai margini, come Maurizio e Renzo che assistono al discorso di Benito Mussolini a Udine, oppure Renzo e Libero che assistono al discorso di Enrico Berlinguer al Congresso del Pci a Milano e la partecipazione di Davide al conflitto in Jugoslavia come fotoreporter.

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Nonostante sia molto corposo, il romanzo ha una prosa molto limpida e scorrevole, spesso costellata da dialoghi ma anche da annotazioni di diari (in particolare quelli di Gabriele e di Eloisa) e da lettere, come quelle che Gabriele scrive all’amico fraterno Luciano Ignasti e al fratello Renzo, oppure quella che Nadia lascia al figlio Gabriele. Una prosa che il più delle volte fa uso di termini dialettali provenienti dal friulano e dal milanese, ma che è molto attenta a descrivere i luoghi in cui si svolgono le vicende, come le campagne del Friuli o le fabbriche dell’hinterland milanese. Tutti questi dettagli danno al romanzo l’idea di un grande racconto popolare e realistico. Come scrive Giorgio Fontana nei ringraziamenti posti in appendice al romanzo:

«Le storie di Maurizio Sartori e Gabriele Sartori si ispirano, pur romanzandole quasi del tutto, alle vite di mio bisnonno Giovanni Fontana e di mio nonno Luigi Fontana. Senza i racconti orali, i diari e gli scritti di quest’ultimo, Prima di noi non sarebbe mai nato: il mio debito nei suoi confronti è incalcolabile.»

Un romanzo, dunque, che prende spunto dai racconti del nonno dell’autore e che è frutto di un grande lavoro di documentazione, come dimostra il fatto di citare come fonti il Centro studi libertari – Archivio Giuseppe Pinelli la Società Filologica Friulana.

L’eredità dei padri come filo conduttore

Come Giorgio Fontana ha ricevuto in dono delle storie da chi è venuto prima di lui, vale a dire suo nonno Luigi, a cui è dedicato il romanzo, così anche tutti i membri della famiglia Sartori si ritrovano in eredità ciò che i padri hanno lasciato prima di loro. Come afferma l’autore nella sua intervista rilasciata per Il Libraio a cura di Jolanda Di Virgilio:

«Posso solo dire che ho scritto le pagine che erano necessarie per raccontare questa storia, il cui cuore tematico è il tentativo di superare una colpa, una condanna, un peccato che dal padre ricade sui figli»

Il filo conduttore di tutto il romanzo, infatti, come annunciato anche dalla citazione in esergo tratta dalle Elegie duinensi di Rainer Maria Rilke, sono l’irrequietezza, la ricerca di realizzazione e di libertà, ma anche i sensi di colpa e i rimorsi verso un passato che non si può cambiare. È questo ciò che caratterizza tutti i membri della famiglia Sartori. Tutto inizia con Maurizio Sartori, il capostipite di questa famiglia, che già all’inizio, soprattutto quando diserta dalla guerra e quando abbandona in un primo momento Nadia, mostra i segni di quell’inquietudine e desiderio di fuggire dalla realtà proprie dei membri della sua famiglia. Lo stesso Maurizio:

«Era un padre identico a suo padre e al padre di suo padre: generare creature era uno sforzo necessario per avere braccia e combattere la morte, un altro figlio un altro poco di vita contro, ma per tutti restava un compito ingrato, per il padre e il padre di suo padre e il padre di quel padre, uomini che avessero potuto si sarebbero impiccati in una grotta pur di non parlare ad anima viva; che forse in altre epoche erano partiti cavalieri o si erano fatti frati pur senza credere in nulla, con il solo scopo di sparire dal mondo e distruggerlo.»

L’eredità di Maurizio Sartori, «l’eredità dei padri» come la definirà Gabriele Sartori, membro della seconda generazione di questa famiglia, è fatta di rabbia, colpa e disillusione. Durante la guerra, Gabriele si renderà conto che, come diceva suo padre, le parole, soprattutto quelle delle poesie e dei libri che legge ma che allo stesso tempo cerca di scrivere da poeta minore, non sono vere, ma vera è la paura dell’avvenire

Renzo, invece, assume «l’eredità di rogna e umori ballerini» del padre, e anche la sua predisposizione a fuggire dal proprio passato, come dimostra il fatto di aver lasciato Udine dopo la fine della guerra, tornandovi solo alla morte della madre, verso la quale prova sensi di colpa per non esserle stata abbastanza vicino durante la vecchiaia, poiché, come dice Gabriele al fratello, «come lui, anche tu non stai bene da nessuna parte». La durezza di Maurizio si mostra anche nel rapporto di Renzo con la figlia Diana, che si fa sempre più difficile una volta venuto a conoscenza dell’omosessualità di quest’ultima. Anche qui Renzo lascerà ben presto spazio ai rimorsi verso il passato, quando, ormai in pensione, deciderà di lavorare alla saldatrice un fiore di metallo da porre sulla tomba della figlia, morta di cancro al fegato, «per scusarsi o guarire da quel dolore insopportabile, dai sensi di colpa delle notti insonni e fredde»

La disillusione e la miseria della vita

Non solo Renzo eredita l’irrequietudine e la disillusione del padre, ma anche i membri della terza generazione di Sartori sembrano avere qualcosa del nonno. Libero, ad esempio, il figlio di Renzo, ne eredita il nome (il nome completo è Libero Maurizio Sartori), ma anche la consapevolezza che «con il tempo l’amore e il dolore perdevano purezza, e così la paura. La paura di essere ridotti a cose», mentre Eloisa e Davide, i figli di Gabriele, hanno ereditato la prima la voglia di ribellione, che si esprime con la sua attività di attivista anarchica, e il secondo la voglia di fuga alla ricerca della felicità, al punto da non volere neanche relazioni stabili, come quella con Sophie, conosciuta a Parigi. Come afferma Gabriele davanti alla figlia Eloisa parlando dei suoi problemi a scuola:

«È difficile e faticoso esigere il meglio. Voi non volete prendervi questa responsabilità; e chi vi dice di no è un nemico. Ma non è così; ed è importante capirlo. Voi volete solo spazzare via tutto: mi sembrate tuo nonno, e non è un complimento.»

Ciò che ben presto Eloisa comprenderà, è che tutti i suoi ideali e sogni finiscono per diventare delusione, e che nell’uomo è presente solo una «stortura irrimediabile», vale a dire una tendenza all’autodistruzione, che si traduce ben presto in rimorso e senso di colpaEloisa lascia l’anarchia per i radicali una volta conosciuto Giulio e dopo che la sua amica Anna spara al capo del personale della ditta Bianconi, il dottor Roberto Villa, evento che mostra il totale fallimento della causa anarchica tanto appoggiata da Eloisa. 

Anche gli altri membri della famiglia giungeranno alla consapevolezza dell’illusione dei propri ideali e, dunque, della miseria delle proprie vite: Renzo ammette il fallimento della lotta operaia, di cui ne ha prova una volta ascoltate le parole dell’amico di sempre Francesco Martinis durante un suo comizio a Udine, che gli appare ora come un «vecchio malconcio che era stato il suo dio in terra»; Libero, dopo che la moglie Marta se ne va in Congo come missionaria, accetta l’impossibilità di una famiglia perfetta e la consapevolezza di dover sempre cavarsela da solo; Diana abbandonerà presto la sua musica impegnata, poiché non le interessano più le rivendicazioni, dato che da donna omosessuale sarebbe stata sempre sola e indifesa; Davide, infine, giungerà alla consapevolezza che la sua vita può essere felice e piena di viaggi ed esperienze interessanti, ma si mostrerà sempre in tutta la sua miseria.

La paura del futuro e la dignità nel dolore

Il destino di inquietudine e colpa dei Sartori prosegue anche con l’ultima generazione, vale a dire con Dario e Letizia. Quest’ultimi sono coloro che sentiranno di più il peso dell’eredità della propria famiglia. Dario, ad esempio, soffrirà l’abbandono della madre, al punto che cerca in tutti i modi di rompere il suo rapporto con Emma, ragazza conosciuta a Dublino durante il suo soggiorno come ricercatore di filosofia al lavoro su un articolo su Ludwig Wittgenstein. Il suo atteggiamento verso la ragazza mostra l’impossibilità di un rapporto normale con le persone per paura di essere abbandonato e a sua volta di abbandonare. Come suo padre Libero prima di lui, anche Dario capirà come «le cose, alla fine, si fossero dimostrate più forti delle sue idee» e come entrare nel mondo degli adulti vuol dire entrare in un mondo fatto di nostalgia, rimorso e occasioni perdute, dove l’unica cosa possibile è la continua ricerca di un posto in cui realizzarsi

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Letizia, come il cugino, sarà anche lei alla ricerca di un posto nel mondo, come dimostrano i tanti lavori che ha svolto, dal foundraising per una Ong al volontariato a Nairobi fino al suo ultimo lavoro in una multinazionale. A differenza del cugino, però, sente di più la responsabilità della vita adulta. Lo stile di vita dei suoi genitori, Eloisa Giulio, e il benessere che le hanno dato è stato tale da caricare Letizia di grosse preoccupazioni per non essere capace a realizzarsi nella vita. Queste preoccupazioni si manifestano sotto forma di attacchi di panico, scaturiti nel momento in cui, dopo la laurea, la giovane non riesce in un primo momento a trovare un lavoro, una situazione che rispecchia molto quella di precariato e spaesamento di tanti giovani alla ricerca di realizzazione, ma con tanta paura verso il futuro. Questi i pensieri di Letizia verso l’eredità pesante dei suoi genitori e della sua famiglia in generale:

«Per decenni, per quasi un secolo la famiglia Sartori aveva costruito una nave partendo dal poco legno disponibile: di generazione in generazione era uscita dal fango e dall’oscurità alzando alberi, tessendo vele, rinforzando lo scafo e accumulando cordame. E infine ecco lei, l’ultimo elemento del processo, una decorazione lignea apposta sulla prua, perfettamente modellata ma in fondo inutile – e con gli occhi aperti sullo scoglio contro cui si sarebbe infranta. Possibile, si diceva, che il passato avesse una tale forza sul presente? Il potere di ciò che accadde prima di noi è tale da forgiare un destino? O era soltanto colpa sua?»

Alla fine, a Letizia non resta che accettare il suo destino, sperando che tutto vada per il meglio, un «destino di ferite interiori» che si trasforma in «una costante paura del futuro», fatto di una continua ricerca della felicità e di un piccolo spazio di libertà. Impossibile risulta, infatti, riavvolgere il nastro della propria vita per evitare le sventure della quotidianità, come fece il giovane Renzo al cinematografo quando riavvolse il nastro del film per non vedere morire la principessa.

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Questo è il motivo per cui alla fine sarà Letizia ad aprire la lettera che la bisnonna Nadia ha lasciato al nonno Gabriele, in cui gli racconta della fuga del padre per paura delle sue responsabilità di genitore, con conseguente visita alla tomba del bisnonno Maurizio, decidendo di dare pietà a tutta la sua famiglia: poiché è lei che comprende che l’unico modo per vivere in una realtà dove le cose sono più forti delle idee è provare dignità nel dolore, vale a dire continuare a cercare la felicità e l’amore nonostante le avversità.

Conclusione: una grande storia italiana

Con l’epopea della famiglia Sartori, Giorgio Fontana ha fatto qualcosa che mai prima d’ora è stato fatto. Prima di noi è riuscito a cogliere lo spirito di un paese intero, l’Italia, percorrendo tutto il Novecento e arrivando fino ai giorni nostri, riuscendo non solo a parlare del passato, ma anche del presente recente, mettendo in mostra le lotte, le ansie e le paure di generazioni di italiani, qui rappresentate dalle quattro generazioni di Sartori.

Maurizio, Gabriele, Renzo, Eloisa, Davide, Diana, Libero, Letizia e Dario sono piccoli uomini e piccole donne che, vivendo ai margini della Storia, hanno costruito una storia fatta di idee, delusioni, rabbia e ricerca di un posto nel mondo, cercando riscatto della colpa ereditata da chi è venuto prima di loro, ma mostrando tuttavia la dignità nel dolore. Nonostante la giovane età, Giorgio Fontana ha scritto il romanzo d’Italia e degli Italiani: popolo di persone in continua lotta con l’eredità pesante del passato, che convive con la paura per il futuro, ma che nonostante tutto trova l’amore nella sofferenza.


Fonti:
Jolanda Di Virgilio, “La scrittura è una questione di onestà intellettuale”: Giorgio Fontana racconta “Prima di noi”, in: https://www.illibraio.it/giorgio-fontana-intervista-1300778/ Data ultima consultazione: 16 febbraio 2020, ore 01:14

 


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Alberto Paolo Palumbo

Laurea magistrale in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee all'Università degli Studi di Milano con tesi in letteratura tedesca.
Sente suo quello che lo scrittore Premio Campiello Carmine Abate definisce "vivere per addizione". Nato nella provincia di Milano, figlio di genitori meridionali e amante delle lingue e delle letterature straniere: tutto questo lo rende una persona che vive più mondi e più culture, e che vuole conoscere e indagare sempre più. In poche parole: una persona ricca di sguardi e prospettive.
Crede fortemente nel fatto che la letteratura debba non solo costruire ponti per raggiungere e unire le persone, permettendo di acquisire nuovi sguardi sulla realtà, ma anche aiutare ad avere consapevolezza della propria persona e della realtà che la circonda.