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Innamorati di Primo Levi: 3 libri per iniziare

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22 minuti di lettura

Scrittore, chimico, partigiano, sopravvissuto: uomo. Tutto questo era Primo Levi (1919-1987), scrittore torinese di origine ebraica che ha vissuto l’orrore dell’Olocausto, e che nella sua appendice all’edizione scolastica di Se questo è un uomo del 1976 motiva nel seguente modo la sua sopravvivenza:

Forse mi ha aiutato anche il mio interesse, mai venuto meno, per l’animo umano, e la volontà non soltanto di sopravvivere (che era comune a molti), ma di sopravvivere allo scopo preciso di raccontare le cose a cui avevamo assistito e che avevamo sopportate. E forse ha giocato infine anche la volontà, che ho tenacemente conservata, di riconoscere sempre, anche nei giorni più scuri, nei miei compagni e in me stesso, degli uomini e non delle cose, e di sottrarmi così a quella totale umiliazione e demoralizzazione che conduceva molti al naufragio spirituale.

Primo Levi, però, andò incontro allo stesso destino di sopravvissuti alla Shoah morti suicidi e schiacciati dal peso della violenza vissuta come Jean AméryPaul Celan e Tadeusz Borowski. Nonostante tutto, ci ha lasciato un patrimonio letterario che è anche testimonianza della Storia e della violenza che tanti innocenti hanno subito. 

Quella di Primo Levi è un’opera che bisogna leggere non solo affinché tutto ciò non accada più, ma anche perché continua ad accadere, perché il pensiero di Primo Levi è ancora attuale, specie se si considera la condizione di disumanità che vivono molti rifugiati e profughi nel resto del mondo.

Chi era Primo Levi?

Sono un uomo normale di buona memoria che è incappato in un vortice, che ne è uscito più per fortuna che per virtù, e che da allora conserva una certa curiosità per i vortici, grandi e piccoli, metaforici e materiali.

Primo Levi

Primo Levi nasce a Torino il 31 luglio 1919 da una famiglia di ebrei piemontesi originari della Spagna e della Provenza – di cui racconta le origini in Argon, primo racconto de Il sistema periodico – composta da suo padre Cesare, laureato in ingegneria elettronica, sua madre Ester Luzzati, e sua sorella Anna Maria.

Al Ginnasio-Liceo D’Azeglio si appassiona alla biologia e alla chimica, arrivando a iscriversi nel 1937 al corso di chimica presso la facoltà di Scienze dell’Università di Torino. Primo Levi consegue la laurea a pieni voti nel 1941. Essendo in vigore ai tempi le leggi razziali, il suo diploma riporta la dicitura «di razza ebraica».

Dopo aver lavorato in una cava d’amianto a Lanzo e alla fabbrica di medicinali Wander a Milano, Primo Levi inizierà ad avere contatti con il Partito d’Azione clandestino, fino a prendere parte alla resistenza partigiana in Val d’Aosta. Il 13 dicembre 1943 viene arrestato assieme a due suoi compagni e condotto al campo di Carpi-Fóssoli. Nel 1944, il campo passa sotto il controllo dei tedeschi, e Primo Levi viene deportato ad Auschwitz, dove giungerà dopo un viaggio durato cinque giorni.

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La detenzione di Primo Levi ad Auschwitz durerà fino al gennaio 1945. Levi riuscirà a sopravvivere grazie alla sua conoscenza del tedesco e alle sue conoscenze di chimica, che gli permetteranno di lavorare assieme a tanti altri prigionieri come lui, ma riuscirà anche a non ammalarsi, tranne quando contrae la scarlattina alla fine della sua prigionia. A proposito della sua esperienza ad Auschwitz, Primo Levi dirà quanto segue in una delle sue interviste con Philip Roth:

Devo dire che l’esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto… C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo.

Tornato in Italia, Primo Levi difficilmente riuscirà a inserirsi nella società disastrata del dopoguerra, anche per via dell’ossessione per la sua esperienza ad Auschwitz, che racconterà in Se questo è un uomo, pubblicato nel 1947 da De Silva, casa editrice di Franco Antonicelli, con una tiratura di 2.500 copie. Del suo reinserimento nella società e dell’inizio della sua carriera di scrittore, Primo Levi parla in questi termini nel racconto Cromo, contenuto ne Il sistema periodico:

Ma io ero ritornato dalla prigionia da tre mesi, e vivevo male. Le cose viste e sofferte mi bruciavano dentro; mi sentivo più vicino ai morti che ai vivi, e colpevole di essere uomo, perché gli uomini avevano edificato Auschwitz, ed Auschwitz aveva ingoiato milioni di esseri umani, e molti miei amici, ed una donna che mi stava nel cuore. […] Scrivevo poesie concise e sanguinose, raccontavo con vertigine, a voce e per iscritto, tanto che a poco a poco ne nacque poi un libro: scrivendo trovavo breve pace e mi sentivo ridiventare uomo, uno come tutti, né martire né infame né santo, uno di quelli che si fanno una famiglia, e guardano al futuro anziché al passato.

Nonostante un matrimonio felice con Lucia Morpurgo nel 1947, la nascita dei figli Lisa Lorenza nello stesso anno e Renzo nel 1957, e la vittoria di premi letterari prestigiosi come lo Strega, il Campiello e il Viareggio, Primo Levi continuerà a vivere con il peso di Auschwitz, soffrendo di quella che sarà definita la «sindrome del sopravvissuto», che lo porterà al suicidio nella sua casa di Torino l’11 aprile 1987.

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Nell’intervista del 1986 per La Stampa, Philip Roth affermava quanto segue a Primo Levi: «Direi che c’è un’anima sola, capace e senza saldature: che non sono inscindibili soltanto il sopravvissuto e lo scienziato, ma anche lo scrittore e lo scienziato». Nell’opera di Primo Levi, infatti, convivono tre anime: quella del chimico, del sopravvissuto e dello scrittore. Levi riesce a coniugare queste tre anime attraverso la scrittura, che lavora la materia della sua vita come uomo e sopravvissuto ad Auschwitz per fare letteratura.

Primo Levi ha scritto romanzi come La TreguaSe non ora, quando?, raccolte di racconti come LilítRanocchi sulla luna e Storie naturali, ma anche saggi come I sommersi e i salvati e L’altrui mestiere, dimostrando non solo di essere uno scrittore di testimonianze della Shoah, ma anche un abile scrittore di narrativa.

Di questo grande autore, vi proporremo tre libri, messi in ordine sparso di pubblicazione, che mirano a mostrare i diversi aspetti della vita di Primo Leviil chimico, lo scrittore e il sopravvissuto, dunque l’uomo. 

Per iniziare: «Il sistema periodico» (1975)

Che la nobiltà dell’Uomo, acquisita in cento secoli di prove e di errori, era consistita nel farsi signore della materia, e che io mi ero iscritto a Chimica perché a questa nobiltà mi volevo mantenere fedele. Che vincere la materia è comprenderla, e comprendere la materia è necessario per comprendere l’universo e noi stessi: e che quindi il Sistema Periodico di Mendeleev, che proprio in quelle settimane imparavamo laboriosamente a dipanare, era una poesia, più alta e più solenne di tutte le poesie digerite in liceo: a pensarci bene, aveva perfino le rime! Che, se cercava il ponte, l’anello mancante, fra il mondo delle carte e il mondo delle cose, non lo doveva cercare lontano: era lì, nell’Autenrieth, in quei nostri laboratori fumosi, e nel nostro futuro mestiere.

Il modo perfetto per conoscere Primo Levi è senza dubbio con la lettura della sua raccolta di racconti Il sistema periodico del 1975. Si tratta di racconti più o meno autobiografici che prendono ciascuno il titolo da un elemento della tavola periodica con cui Primo Levicombinando l’attività di chimico a quella di scrittore, mette ordine alla sua vita dalle origini della sua famiglia narrate in Argon, passando per gli studi universitari in Zinco e Ferro, il lavoro nei laboratori in miniera in Nichel, l’esperienza da partigiano e prigioniero ad Auschwitz in Oro e Cerio fino al confronto con il passato, rappresentato dalla figura del chimico tedesco Lothar Müller, in Vanadio.

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Questi racconti ci mostrano anche un Primo Levi alle prese con la narrativa, come in Piombo, dove narra il viaggio del cavatore di piombo Rodmund in cerca di fortuna al villaggio di Bacu Abis, e in Mercurio, che narra la vita del caporale Abrahams a Desolazione, un’isola vulcanica fittizia. Ci mostrano, inoltre, l’uomo Primo Levi, con tutte le sue difficoltà e sconfitte, alle prese con l’amore per Giulia Vineis in Fosforo, il tentativo fallito di ricavare l’allossana dallo sterco delle galline in Azoto o le difficoltà nel produrre assieme al collega Emilio il cloruro di stagno in un laboratorio casalingo in Stagno.

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Il racconto più bello è sicuramente l’ultimo della raccolta, Carbonio, che narra il viaggio nel tempo e nello spazio di un atomo di carbonio che passa da un composto all’altro fino ad arrivare al cervello del narratore. L’atomo di carbonio diventa simbolo dell’umanità, di cui Primo Levi fa parte, e che entrando nel cervello dello stesso lo investe del compito di mettere ordine alla sua vita e a quella degli altri, come solo un chimico e uno scrittore sa fare, per raccontare il mestiere della vita, fatta di sconfitte, vittorie e miseria. Il sistema periodico è, quindi, un inno alla vita e alla capacità dell’essere umano di rialzarsi e sopravvivere a ogni situazione.

Questa cellula appartiene ad un cervello, e questo è il mio cervello, di me che scrivo, e la cellula in questione, ed in essa l’atomo in questione, è addetta al mio scrivere, in un gigantesco minuscolo gioco che nessuno ha ancora descritto. È quella che in questo istante, fuori da un labirintico intreccio di sì e di no, fa sì che la mia mano corra in un certo cammino sulla carta, la segni di queste volute che sono segni; un doppio scatto, in su ed in giù, fra due livelli d’energia guida questa mia mano ad imprimere sulla carta questo punto: questo.

Per proseguire: «La chiave a stella» (1978)

Io credo proprio che per vivere contenti bisogna per forza avere qualche cosa da fare, ma che non sia troppo facile; oppure qualche cosa da desiderare, ma non un desiderio così per aria, qualche cosa che uno abbia la speranza di arrivarci.

Vincitore del Premio Strega nel 1979, Primo Levi pubblica nel 1978 La chiave a stella, un romanzo che definisce «la mia opera prima». Questo romanzo – scritto a trent’anni da Auschwitz e dalla pubblicazione di Se questo è un uomo – è quello più ottimista della produzione dell’autore torinese, con cui rinnova il filone della letteratura industriale che era in voga negli anni Sessanta.

In una non meglio precisata località della Russia, l’io narrante – dietro cui si cela Primo Levi, poiché è un chimico recatosi in Russia per fare dei controlli su una partita di vernici risultata difettosa – incontra Libertino Faussone, un montatore di ponti, tralicci e derrick che racconta della sua Odissea di operaio specializzato in giro per il mondo – India, Russia, Alaska e Africa – confrontandosi con tutte le difficoltà relative al suo lavoro affrontate grazie alla sua fidata chiave a stella, alle sue capacità e alla sua etica del lavoro.

Nonostante la sua esperienza con il lavoro ad Auschwitz fosse logorante e disumanizzante, La chiave a stella di Primo Levi è considerato il suo «libro più ottimista», poiché l’autore mostra una rinnovata fiducia nell’uomo, ma anche nel lavoro, che non è più quello sfibrante e monotono delle catene di montaggio o dei campi di concentramento – quest’ultimo anche disumanizzante -, ma risulta un mezzo per raggiungere la dignità spirituale di ognuno di noi e, dunque, la libertà.

Nell’ascoltare Faussone, si andava coagulando dentro di me un abbozzo di ipotesi, che non ho ulteriormente elaborato e che sottopongo qui al lettore: il termine «libertà» ha notoriamente molti sensi, ma forse il tipo di libertà più accessibile, più goduto soggettivamente, e più utile al consorzio umano, coincide con l’essere competenti nel proprio lavoro, e quindi nel provare piacere a svolgerlo.

Innamorati di Primo Levi: «Se questo è un uomo» (1947)

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi; Ripetetele ai vostri figli.

Dopo un iniziale rifiuto da parte di Einaudi nel 1947 (che lo ripubblicherà nella collana dei Saggi nel 1958), Primo Levi pubblica per De Silva di Franco Antonicelli Se questo è un uomo, oggi testo fondamentale per conoscere l’insensatezza e l’assurdità della barbarie commessa dai nazisti nei campi di concentramento.

Testo iniziato durante la detenzione a Monowitz-Buna, vicino Auschwitz, e ripreso al ritorno in Italia, Primo Levi racconta il suo periodo in campo di concentramento dal 1943, anno in cui è stato catturato dalla Milizia fascista e condotto a Fossoli, vicino Modena, al 1945, anno in cui il campo è stato evacuato. Il tutto narrato, come racconta l’autore nella postfazione all’edizione scolastica del 1976, con «il linguaggio pacato e sobrio del testimone», poiché «il testimone in giudizio adempie alla sua funzione, che è quella di preparare il terreno al giudice. I giudici siete voi».

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Con fare memorialistico, sociologico e letterario, Primo Levi narra una vera e propria discesa all’Inferno e tutte le dinamiche che governavano i Lager, dalla depersonalizzazione dei prigionieri all’organizzazione del lavoro. L’autore, inoltre, racconta le vite dei prigionieri dei Lager, come l’amico Alberto, Piero Sonnino o i francesi Arthur e Charles. Ciò che emerge da questo testo è anche la difficoltà di restare umani in un contesto in cui è impossibile distinguere tra bene e male. Tra i capitoli più belli di questo libro rientra «Il canto di Ulisse», in cui Levi prova a ricordare e a recitare al francese Jean il ventiseiesimo canto dell’Inferno cercando allo stesso tempo di recuperare la memoria della sua umanità.

Se questo è un uomo di Primo Levi costituisce una parte importante della nostra storia, poiché più di tutti è riuscito a narrare le barbarie commesse dai nazisti senza mostrare odio verso i criminali nazisti, ma portando i lettori a una migliore comprensione di ciò che è stata la macchina dell’orrore dei campi di concentramento. L’esistenza di questo testo dimostra, inoltre, la possibilità di sopravvivere al male dell’uomo, un male che come tutte le esperienze umane ha una fine, ma allo stesso tempo il dovere morale di fare testimonianza affinché tragedie come l’Olocausto non accadano più.

«Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre».


In copertina: Artwork by Madalina Antal
© Riproduzione riservata

Fonti

Per le interviste di Philip Roth a Primo Levi su “La Stampa”: P. Roth, Salvarsi dall’inferno come Robinson, 26 novembre 1986 e «Il mio western degli ebrei ribelli», 27 novembre 1986, contenute in Primo Levi, Il sistema Periodico, Einaudi, Torino, 1994, e Primo Levi, Opere complete – Volume III, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino, 2018.

Per l’appendice all’edizione scolastica di Se questo è un uomo del 1976: Primo Levi, Se questo è un uomo. La tregua, Einaudi, Torino, 1989.

Per ulteriori informazioni sulla vita e le opere di Primo Levi, consultare il sito del Centro Internazionale di Studi Primo Levi: https://www.primolevi.it/it .

 


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Alberto Paolo Palumbo

Laurea magistrale in Lingue e Letterature Europee ed Extraeuropee all'Università degli Studi di Milano con tesi in letteratura tedesca.
Sente suo quello che lo scrittore Premio Campiello Carmine Abate definisce "vivere per addizione". Nato nella provincia di Milano, figlio di genitori meridionali e amante delle lingue e delle letterature straniere: tutto questo lo rende una persona che vive più mondi e più culture, e che vuole conoscere e indagare sempre più. In poche parole: una persona ricca di sguardi e prospettive.
Crede fortemente nel fatto che la letteratura debba non solo costruire ponti per raggiungere e unire le persone, permettendo di acquisire nuovi sguardi sulla realtà, ma anche aiutare ad avere consapevolezza della propria persona e della realtà che la circonda.

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