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Referendum costituzionale, le ragioni del Sì: intervista a Andrea Romano

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Andrea Romano, storico e deputato, già ricercatore per la Fondazione Istituto Gramsci e responsabile della saggistica di Giulio Einaudi Editore, è da più di un anno condirettore de l’Unità, insieme a Sergio Staino. Più volte distintosi come sostenitore della riforma costituzionale, Romano ha cercato di inserire sempre il testo proposto nel contesto storico più ampio cui appartiene. Protagonista di numerosi scambi d’opinione televisivi, è stato uno dei più infaticabili promotori del Sì al referendum costituzionale.

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Onorevole Romano, lei più volte ha ribadito che il dibattito sulla riforma costituzionale è stato viziato da una demagogica corsa al ribasso. Secondo lei, come siamo arrivati a questo punto?

«Non nascondo che il mio essere schierato per il Sì possa rendere la mia risposta più di parte. Non per questo credo di non essere obiettivo quando dico che il fronte del No abbia più volte sollevato argomentazioni demagogiche, del tutto estranee dal merito del testo costituzionale, dalla deriva totalitaria alle ingerenze di JP Morgan, che ritengo assolutamente paradossali. Io non voglio dilungarmi molto in questa contrapposizione da tifoserie e personalmente condivido la linea del fronte del Sì che ha invitato a un dibattito, punto per punto, sul merito di cosa andiamo a cambiare».

Andiamo allora nel merito del testo. Se dovesse elencare le ragioni per le quali ritiene giusto votare Sì al Referendum costituzionale cosa indicherebbe?

«Parto da un’osservazione spesso criticata, che però mi pare auto-evidente: il sistema politico italiano va cambiato e questo lo ripetiamo da anni. Non entro nella diatriba di quanti anni siano trascorsi da quando si è iniziato a dire che si doveva modificare la Costituzione. Mi limito a osservare la necessità di una revisione del testo costituzionale. La domanda allora è come fare. Io personalmente condivido le proposte che sono state avanzate nel testo costituzionale. Credo profondamente che rivedere il bicameralismo paritario sia fondamentale per mettersi al passo con gli altri paesi europei e uscire da questa unicità che ci contraddistingue. Trovo inoltre doverosa una revisione delle competenze tra Stato e regioni, laddove con la riforma del 2001 si è creato un pasticcio con le competenze concorrenti che hanno portato a un ricorso ogni tre giorni e, come ultimo, alla bocciatura della legge Madia sullo snellimento del sistema burocratico pubblico. Non concordo con coloro i quali dicono che si creerà un conflitto permanente e nemmeno con coloro che criticano la clausola di supremazia nazionale. Trovo che i quindici anni intercorsi dal 2001 abbiano ampiamente dimostrato come alcune politiche, penso ai trasporti, alla sanità e all’energia, sia meglio restino prerogativa dello Stato. Ciò che però apprezzo molto di più di questa riforma è l’incremento degli strumenti di partecipazione popolare diretta. Da anni si chiedeva una revisione del quorum per i referendum abrogativi e finalmente abbiamo la possibilità con 800.000 firme di abbassare il quorum dal 50%+1 degli aventi diritto (che rimane se vengono raccolte ancora 500.000) al 50%+1 dei votanti delle ultime elezioni politiche. Non solo, apprezzo le leggi di iniziativa popolare, che seppur portate da 50.000 a 150.000 firme, saranno lette e analizzate in parlamento per obbligo costituzionale. Non capisco quindi le reazioni di chi si lamenta della riforma e non posso non trovare scandalosa la reazione di coloro che preferiscono soltanto lamentarsi piuttosto che proporre soluzioni alternative».

Veniamo a una questione di cui molti spesso dibattono e su cui ancora c’è molta confusione. Cosa cambia con la riforma rispetto all’Ue?

«Sull’Unione Europea si sono dette tante cose, ricollegandole a questa riforma. Cerchiamo in primo luogo di demistificare un mito che circola nella campagna demagogica, ossia che in costituzione viene introdotto il vincolo per l’Italia a sottostare ai diktat di Bruxelles. In realtà, se prendiamo l’articolo 117 si legge che «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali», laddove il termine Ue si sostituisce al precedente «ordinamento comunitario» per il semplice fatto che quando la costituzione fu scritta l’Ue non esisteva ancora. Chiarito quindi che la costituzione in sé non cambia i rapporti dell’Italia con l’Ue, non possiamo non negare che l’impatto politico di questo voto sarà importante. Lo scontro che si consuma tra Sì e No mostra con estrema chiarezza due visioni divergenti sull’Unione. Il fronte del Sì è spiccatamente europeista e infatti ha avuto l’appoggio degli ambienti internazionali e europei, mentre il No è rappresentato dagli euroscettici. Questo governo ha dimostrato di saper governare e soprattutto di sapersi far rispettare sul piano internazionale. Dire Sì a questo referendum significa proseguire positivamente e con ancora maggiore forza la nostra battaglia in Europa. La scelta è semplice: da un lato, prediligiamo piegarci alla logica della lamentela e, dall’altro, scegliamo di essere efficaci ed efficienti e accogliere con positività il cambiamento».

 

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Francesco Corti

Dottorando presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano e collaboratore dell'eurodeputato Luigi Morgano. Mi interesso di teorie della democrazia, Unione Europea e politiche sociali nazionali e dell'Unione. Attivo politicamente nel PD dalla fondazione. Ho studiato e lavorato in Germania e in Belgio.

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