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Referendum, le ragioni del Sì:
intervista a Stefano Boeri

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9 minuti di lettura

Stefano Boeri, urbanista, architetto – autore del Bosco verticale, famoso in tutto il mondo – e docente al Politecnico di Milano, è da sempre impegnato nell’attività politica meneghina e non solo. Già assessore a Cultura, Moda e Design del Comune di Milano, Boeri si è recentemente schierato a sostegno del al referendum costituzionale del 4 dicembre e, insieme a numerosi altri rappresentanti del mondo della cultura e dello sport, ha firmato un appello a favore della riforma costituzionale.

Richiamandosi a un immobilismo che da troppo tempo rallenta il nostro paese e alla necessità di avere istituzioni politiche in grado di rispondere alle esigenze della società in cui viviamo, Boeri ha ribadito che votare per questa revisione costituzionale sia un «gesto logico e naturale».

Professor Boeri, lei ha sostenuto che il superamento del bicameralismo perfetto renderà le scelte politiche più effettive. Potrebbe spiegarci meglio cosa intende?

«Vorrei fare un esempio concreto. Prendiamo la legge sulla musica dal vivo. Quando ero assessore al Comune di Milano ho lanciato l’iniziativa “Più Musica Live” con cui chiedevo al ministro Bray che si uscisse da quella situazione paradossale per cui fare musica in Italia dal vivo era diventato difficilissimo a causa di un groviglio di permessi, licenze, autorizzazioni che rendeva oneroso e complicato organizzare momenti di ascolto dal vivo, sia per chi la musica la fa sia per chi la ospita. La mia proposta, come si può ancora leggere su change.org, suggeriva di modificare una norma in modo da stabilire delle regole ragionevoli, come l’autocertificazione in rete degli spettacoli, una soglia massima di spettatori, orari condivisi per la musica su tutto il territorio nazionale. Richiamandomi esplicitamente alla legge “Live Music Act”, in vigore in Inghilterra, avevo avanzato questa proposta e mi aspettavo che, in accordo con Siae e l’ex Enpals, si potesse trovare una soluzione con la semplice introduzione di un comma alla legge sul pubblico spettacolo. Quello che ho visto è stata invece una follia. La legge, che aveva una maggioranza nella commissione alla Camera, si è bloccata al Senato per un capriccio irrilevante. Qui è stata modificata e poi rimandata alla Camera, che ha dovuto ridiscuterla e rimandarla nuovamente al Senato e poi di nuovo alla Camera. Nel frattempo è trascorso più di un anno e mezzo prima che quella che doveva essere una procedura semplice e veloce si trasformasse in legge. E stiamo parlando di un solo articolo di una legge, capace però di moltiplicare le occasioni di lavoro per migliaia di giovani. Assurdo».

Passiamo al secondo punto fondamentale della riforma: la modifica dell’articolo 117. Il professor Settis ci ha detto che, per come è scritto l’articolo, si creeranno numerosi conflitti di competenze tra Stato e regioni. Un esempio può essere il fatto che in materia di beni culturali la valorizzazione e la tutela saranno di competenza statale mentre la promozione sarà regionale. Lei cosa ne pensa?

«Vorrei provare a vedere l’articolo nel suo insieme e collocarlo anche storicamente. La necessità di rivedere il rapporto Stato-regioni si pone come misura necessaria dopo che, con la precedente riforma costituzionale (del 2001, ndr), si è creato un conflitto di competenze tra Stato e regioni, del quale i continui ricorsi, nell’ordine di uno ogni tre giorni, da parte degli enti regionali nei confronti dello Stato sono una chiara testimonianza. Poste queste premesse, io credo fermamente che sia giusto, e lo sostengo da urbanista, che lo stato riaccentri su di sé le piene competenze su tre settori: energia, sanità e trasporti. Non è possibile che la strategia energetica di un Paese sia decisa o limitata da una singola regione. Allo stesso modo, credo sia giusto che infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza, che porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale, siano competenza statale. Per quanto riguarda l’obiezione di Settis, un intellettuale che stimo profondamente, capisco il problema che solleva rispetto a un possibile conflitto nella gestione dei beni culturali e nella gestione del patrimonio artistico e ambientale. Ha ragione e questo è un punto di debolezza in una scelta invece nel suo complesso giusta e opportuna».

Si parla ripetutamente del rischio di degenerazione democratica contenuto implicitamente in questa riforma, specialmente se vista in combinato disposto con la legge elettorale. Lei che idea ha su questo punto?

«Chiariamo prima di tutto un punto fondamentale: la riforma costituzionale è una cosa mentre la legge elettorale un’altra. Se poi sulla seconda si è già mostrata un’intenzione di cambiamento, credo il discorso ora sia poco fruttuoso. Mi voglio invece soffermare sulla possibilità o meno di involuzioni democratiche presenti nel testo. Come ho detto prima, io sono uno strenuo sostenitore della necessità di coinvolgere la società civile nei processi di democrazia deliberativa. Per questo non posso che accogliere con favore la proposta di rendere obbligatoria la lettura e la discussione delle leggi di iniziative popolari che abbiano raccolto 150.000 firme. Ugualmente ritengo giusto, per chi indice un referendum abrogativo raccogliendo 800.000 firme, abbassare il quorum richiesto al 50% + 1 di coloro che hanno votato nelle precedenti elezioni politiche. Non voglio con questo dire che il testo costituzionale sia perfetto e non contenga nessun errore o che su alcuni punti poteva essere scritto meglio, ma, se devo tracciare un bilancio e analizzare il pacchetto nel suo complesso, allora non ho dubbi nel dire che approvo con convinzione questa riforma. E aggiungo, lasciando da parte le riflessioni sulla riforma, che nell’azione del Governo vedo dei passi in avanti che non avevamo da anni. Da trentacinque anni giro il mondo per lavoro e non nascondo che per la prima volta sento i colleghi stranieri e i miei amici all’estero avere finalmente un’idea positiva dell’Italia. Non è una cosa di poco conto e benché il mio giudizio sulla riforma prescinda dalla valutazione dell’operato del Governo, credo davvero che la direzione verso cui stiamo andando sia quella giusta».

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Francesco Corti

Dottorando presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano e collaboratore dell'eurodeputato Luigi Morgano. Mi interesso di teorie della democrazia, Unione Europea e politiche sociali nazionali e dell'Unione. Attivo politicamente nel PD dalla fondazione. Ho studiato e lavorato in Germania e in Belgio.

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