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Riscoprire “I Promessi Sposi” a teatro

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10 minuti di lettura

Attorno ai Promessi Sposi di Manzoni ruota un’annosa polemica. Umberto Eco ad esempio segnalava che è l’imposizione scolastica a incidere sull’impressione diffusa che il romanzo sia noioso. Soltanto un mese fa Marco Filoni su Pagina99 segnalava che dopo 147 anni di Manzoni obbligatorio è arrivato il momento di cambiare. Anche il corpo docenti è diviso, e poiché i quindicenni fanno ormai fatica a capire il linguaggio di Manzoni, molti optano per una riduzione antologica.

Più che pensare a un’espunzione radicale dai programmi, forse occorre soltanto trovare nuove modalità di approccio, per avvicinare i giovani alle ragioni che ne fanno un classico. E se il classico è quel libro, come insegna Calvino, che non ha mai finito di dire ciò che ha da dire, sono interessanti anche gli esperimenti trasversali, come ha compreso il Centro di Studi Manzoniani (CNSM), impegnato anche nello studio della ricezione del romanzo. In questo orizzonte rientra anche la mostra che dal 25 febbraio al 7 maggio 2017 si è svolta presso WOW-Spazio Fumetto (Milano, Viale Campania 12) sulla fortuna del romanzo nelle illustrazioni e nei fumetti.

http://www.museowow.it

E a teatro? I Promessi Sposi hanno già calcato le scene. Nel lecchese ad esempio, Teatro Invito propone ormai da anni una camminata teatral-itinerante in Villa Manzoni, che prevede incontri con i personaggi del romanzo; inoltre da pochi giorni ha presentato una veste rinnovata del suo spettacolo-cult Promessi! (ispirato a un’intuizione di Pasolini: la vicenda viene raccontata da Renzo ai propri figli). 

A Milano invece presso lo spazio di Sala Fontana (adiacente alla splendida cornice dei chiostri bramantei di Santa Maria alla Fontana) vanno in scena i Promessi Sposi di Michele Sinisi, che guida un affiatato gruppo di undici attori per una rilettura in chiave contemporanea, con una carica misurata di autoironia. Si tratta di una fine indagine calibrata sui lettori del XXI secolo, figli di un’epoca pop e post-moderna.

Fin da subito si imposta un gioco con lo spettatore, uno stimolo alla memoria, pieno però di sorprese. Come inizia il romanzo? “Quel ramo del lago di Como…”, e poiché tutti lo sapete a memoria e ve lo aspettate, eccovi invece servito Don Abbondio (un ottimo Stefano Braschi), che avanza raccontandoci la vicenda in prima persona, attraversando la platea, in mano come breviario il tomo dei Promessi Sposi. Intanto i bravi, in completo elegante, camicia aperta sul petto con spavalderia, aria strafottente, occhiali da sole e un improbabile ciuffo rosso, lo attendono, arrampicati su una struttura in ferro, dove campeggia la scritta di un writer “non s’ha da fare”. Naturalmente, il matrimonio. Con ironia, il riferimento potrebbe essere a questo spettacolo, che non ambisce a una ripetizione mimetica del romanzo (quindi: non s’ha da ri-fare) e al tempo stesso sorride sulle potenzialità dissacranti di tale operazione. E il paesaggio lacustre? Lo conoscete bene: quello che importa è il variegato paesaggio umano.

© Sonia Santagostino

Il pubblico è catturato. Le teste annuiscono, tra le poltrone si colgono sussurri di chi ha già capito il riferimento e ha riconosciuto il personaggio. Ma il colpo di scena è dietro l’angolo.

Anzitutto nei cortocircuiti temporali, segnati ad esempio dagli abiti: la saggia Agnese nel chiodo in pelle, il cardinale Borromeo impaludato in ricche vesti porporine; Perpetua in grembiule e cuffietta, incapace di frenare la sua parlantina, mentre don Rodrigo è donna, perché «la cattiveria è seducente e bellissima», come dice Sinisi, che affida questi due personaggi alla stessa attrice, un’istrionica Stefania Medri. E accanto all’impetuoso Renzo (Donato Paternoster) ecco Lucia (Giulia Eugeni), il personaggio forse più difficile da rendere in chiave contemporanea: la ricordiamo come la casta “madonnina infilzata” spesso in lacrime, qui invece è una ragazza moderna e dinamica, che sfoga la sua inquietudine pattinando sui roller. Fra le diverse figurine macchiettistiche, si distingue un esilarante Azzeccagarbugli napoletano (Gianni D’Addario) che nuota letteralmente tra i suoi incartamenti, un po’ Bersani («siamo mica qui a pettinare le bambole») un po’ Di Pietro. Mentre aumenta l’attesa per la notte degli imbrogli, forse il più teatrale dei capitoli, Sinisi di nuovo stupisce, creando un mimo notturno senza parole.

© Sonia Santagostino

Uno snodo meditativo che si merita applausi a scena aperta dal pubblico commosso è l’ “Addio monti”. Il celeberrimo passo viene recitato in video da una staffetta di stranieri. La lingua di Manzoni risciacquata in Arno si carica di accenti allogeni, con i sapori esotici di Africa, Asia orientale, steppe russe e altipiani andini, in un ritmo sincopato dalla sillabazione stentata, che si scioglie anche nella fluidità perfetta dei giovani nati qui. Il lirismo della pagina manzoniana sembra acquistare una dignità nuova e solenne: gli occhi brillano e la voce si incrina sulle parole “casa” e “addio”, e la nostalgia di Renzo e Lucia diventa universale.

Nuove sorprese attendono lo spettatore nel secondo tempo, dal respiro più meditativo, come accade nel romanzo, che si allarga a orizzonti più ampi. Sinisi riflette sui demagoghi manipolatori delle masse, attraverso un Ferrer con faccia dipinta e guanti da giocoliere-prestigiatore. Ma soprattutto, il momento della conversione dell’Innominato (interpretato dallo stesso Sinisi) è il rovello dell’uomo contemporaneo, che ha scoperto la morte di Dio e non cessa di interrogarsi. La fede ingenua di Lucia, che stringe il rosario e invoca la salvezza, non può bastare più. Che cos’è Dio? Forse l’energia del mondo, incanalata dall’ingegno umano in un interruttore, forse la mano del regista che può in un teatro creare il buio, oppure è una forza che continuiamo ad attendere, come insegna Beckett, e ci poniamo nella posizione di Tommaso, pronto a credere solo se tocca il costato di Cristo.

© Sonia Santagostino

E poi la peste. Oggi è la minaccia nucleare (come sembrano evocare le tute asettiche dei monatti) oppure la corruzione imperante, il sospetto e l’ideologia malata che fomenta l’odio. Mentre nella parodia di un’interrogazione scolastica si ripercorrono le tappe storiche del flagello, ecco che in una teca su ruote compare la riproduzione in 3D di una pulce enorme, orripilante feticcio del Male invisibile che ancora ammorba il mondo contemporaneo.

In questi ultimi quadri alcune interferenze sonore sono volutamente disturbanti (ma forse esagerate) e forse l’episodio della morte di don Rodrigo un po’ sopra le righe. La morte della piccola Cecilia conserva invece intatta la sua tragicità, nella lettura della pagina manzoniana, perché la rappresentazione avrebbe rischiato di sfociare in parodia. Alla fine tutto si risolve in leggerezza. Fra’ Cristoforo improvvisa un tip tap sotto un getto d’acqua e cominciano a scorrere le note di I’m singing in the rain: pioggia catartica e riconciliazione con il romanzo, impresso nella nostra memoria come immobile presenza libresca, ma capace di parlare all’oggi in una veste di brillante contemporaneità.

 

I Promessi Sposi
di Alessandro Manzoni
adattamento e regia di Michele Sinisi
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale – Milano
Teatro Sala Fontana, Milano
6-25 giugno 2017

 

Gilda Tentorio

Grecia e teatro riempiono la mia vita e i miei studi.
Sono spazi fisici e dell'anima dove amo sempre tornare.

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